In molte occasioni ho trattato delle dinamiche migratorie provenienti dall’Africa, in generale, e proiettate lungo le rotte mediterranee e atlantiche. Ma oggi quale tipologia di migranti percorrono queste “vie” per raggiungere Stati dove restano generalmente in-integrabili? Intanto, le insensate politiche migratorie subite da italiani, maltesi ciprioti, greci e spagnoli, cominciano a essere messe seriamente in discussione. In questi giorni Italia, Cipro, Malta e Grecia, avamposti d’Europa, esclusa la Spagna, hanno chiesto alla Commissione europea di aprire un tavolo di discussione, improrogabile e doveroso, su come gestire più ragionevolmente le operazioni umanitarie nel Mediterraneo.
La questione delle Ong è al primo punto nel programma affrontato. Da tempo queste Organizzazioni non governative, sotto la “bandiera” del soccorso umanitario, battono a tappeto il Mediterraneo in cerca di barconi. Le trame, che legano questo sistema e che lo rendono business, sono conosciute ma non sono rese pubbliche, tanto che lo spirito umanitario non è l’aspetto principale di queste operazioni. L’“affaire” dell’Ocean Viking, nave di soccorso della Ong Sos Méditerranée, con il suo carico di migranti clandestini senza una oggettiva motivazione di rischio umanitario legato alla propria nazione, ha dato fuoco alle polveri che ancora non erano esplose tra Italia e Francia. Nella denuncia gli “avamposti europei” hanno dichiarato che l’attuale gestione dei flussi migratori da parte dell’Europa è iniquo e grava, soprattutto, sui Paesi dirimpettai all’Africa ma anche sui confini marittimi e terrestri con il Vicino Oriente. Il comunicato, firmato dai ministri dell’Interno di Italia, Malta e Cipro oltre che dal ministro dell’immigrazione della Grecia, invoca un intervento della Commissione europea per rivedere velocemente le attuali “regole d’ingaggio” delle Ong e il “sistema correlato”. Le critiche principali si basano sull’ambiguo “meccanismo di solidarietà volontaria”, suggellato in Lussemburgo nel mese di giugno e che avrebbe dovuto permettere la ricollocazione di circa diecimila clandestini in Paesi europei diversi dagli Stati d’ingresso. Infatti, tale “meccanismo” – oltre ad avere tempi lontani dall’efficacia della sua applicazione – ha anche consentito la ricollocazione degli irregolari solo in piccoli numeri.
Inoltre, le critiche dei quattro “Paesi di primo ingresso” sono incentrate sulle navi private “pseudo-umanitarie”, Ong che agiscono in piena autonomia rispetto alle autorità dello Stato competente, cioè quello Stato che “concede di battere la bandiera”. La richiesta di Italia, Cipro, Malta e Grecia è rivolta proprio alle nazioni che assegnano la propria bandiera alle navi umanitarie. Questi Paesi dovrebbero esercitare, realmente, la giurisdizione e il controllo su queste imbarcazioni. Una cosa, però, che è lontana dall’essere applicata. Per l’appunto, questo lassismo – forse non accidentale – degli Stati nel non controllare le navi sotto la propria bandiera, come Francia, Germania, Norvegia, solo per citare i più noti, porta tali imbarcazioni ad attraccare sistematicamente in Italia. Ovviamente, gli addebiti e le responsabilità delle nazioni che conferiscono le bandiere alle Ong sono totali. In attesa e nella speranza che un nuovo accordo reale scaturisca sulla gestione dei migranti, i quattro ministri considerano fondamentale che gli Stati assegnatari delle bandiere si assumano immediatamente le loro responsabilità, in conformità con i loro obblighi internazionali. Dopo aver accennato alla “questione norme e interessi”, ritorno alla domanda iniziale: oggi quali migranti percorrono queste “vie” per raggiungere gli Stati dove restano generalmente in-integrabili?
Qui si apre una voragine colma di riflessioni e di analisi. Brevemente: i clandestini africani provengono, prevalentemente, dall’area saheliana e sahariana, dove gli equilibri politici sono dettati, dal periodo post-coloniale, generalmente da regimi golpisti, cleptocratici e autocratici, omogeneamente operativi e percepiti dalla massa come fisiologici. I flussi migratori non sono direttamente l’espressione di una crisi dello Stato di provenienza, in quanto, secondo i parametri locali, gli avvicendamenti politici e la gestione dello Stato vengono avvertiti esattamente come avvengono: golpe o elezioni farsa, spesso contestate, che riconducono poi a un sanificatore colpo di Stato.
Crisi alimentare e siccità? Altri fattori congeniti su cui le Comunità internazionali operano da sempre, anche in modo fallimentare ed in complessità elevate. In pratica, secondo un recente studio del Fmi – il Fondo monetario internazionale – gli emigranti subsahariani verso i Paesi Ocse potrebbero arrivare ad essere, nel 2050, 34 milioni. Una proiezione analitica sugli scenari socio-demografici basata su questi dati prevede che, nel corso di questo secolo, ci sarà una migrazione verso l’Europa dall’area sub-sahariana da 6 a 12 milioni di persone.
Ricordo, infine, la frase del francese Jacques Chirac pronunciata 16 anni fa: “Se non sviluppiamo questa Africa, e quindi se non mettiamo in atto i mezzi necessari per il suo sviluppo, queste persone inonderanno il mondo”. Forse l’Africa è una sala d’attesa per oltre un milione di clandestini difficilmente integrabili alle porte dell’Europa?
La questione delle Ong è al primo punto nel programma affrontato. Da tempo queste Organizzazioni non governative, sotto la “bandiera” del soccorso umanitario, battono a tappeto il Mediterraneo in cerca di barconi. Le trame, che legano questo sistema e che lo rendono business, sono conosciute ma non sono rese pubbliche, tanto che lo spirito umanitario non è l’aspetto principale di queste operazioni. L’“affaire” dell’Ocean Viking, nave di soccorso della Ong Sos Méditerranée, con il suo carico di migranti clandestini senza una oggettiva motivazione di rischio umanitario legato alla propria nazione, ha dato fuoco alle polveri che ancora non erano esplose tra Italia e Francia. Nella denuncia gli “avamposti europei” hanno dichiarato che l’attuale gestione dei flussi migratori da parte dell’Europa è iniquo e grava, soprattutto, sui Paesi dirimpettai all’Africa ma anche sui confini marittimi e terrestri con il Vicino Oriente. Il comunicato, firmato dai ministri dell’Interno di Italia, Malta e Cipro oltre che dal ministro dell’immigrazione della Grecia, invoca un intervento della Commissione europea per rivedere velocemente le attuali “regole d’ingaggio” delle Ong e il “sistema correlato”. Le critiche principali si basano sull’ambiguo “meccanismo di solidarietà volontaria”, suggellato in Lussemburgo nel mese di giugno e che avrebbe dovuto permettere la ricollocazione di circa diecimila clandestini in Paesi europei diversi dagli Stati d’ingresso. Infatti, tale “meccanismo” – oltre ad avere tempi lontani dall’efficacia della sua applicazione – ha anche consentito la ricollocazione degli irregolari solo in piccoli numeri.
Inoltre, le critiche dei quattro “Paesi di primo ingresso” sono incentrate sulle navi private “pseudo-umanitarie”, Ong che agiscono in piena autonomia rispetto alle autorità dello Stato competente, cioè quello Stato che “concede di battere la bandiera”. La richiesta di Italia, Cipro, Malta e Grecia è rivolta proprio alle nazioni che assegnano la propria bandiera alle navi umanitarie. Questi Paesi dovrebbero esercitare, realmente, la giurisdizione e il controllo su queste imbarcazioni. Una cosa, però, che è lontana dall’essere applicata. Per l’appunto, questo lassismo – forse non accidentale – degli Stati nel non controllare le navi sotto la propria bandiera, come Francia, Germania, Norvegia, solo per citare i più noti, porta tali imbarcazioni ad attraccare sistematicamente in Italia. Ovviamente, gli addebiti e le responsabilità delle nazioni che conferiscono le bandiere alle Ong sono totali. In attesa e nella speranza che un nuovo accordo reale scaturisca sulla gestione dei migranti, i quattro ministri considerano fondamentale che gli Stati assegnatari delle bandiere si assumano immediatamente le loro responsabilità, in conformità con i loro obblighi internazionali. Dopo aver accennato alla “questione norme e interessi”, ritorno alla domanda iniziale: oggi quali migranti percorrono queste “vie” per raggiungere gli Stati dove restano generalmente in-integrabili?
Qui si apre una voragine colma di riflessioni e di analisi. Brevemente: i clandestini africani provengono, prevalentemente, dall’area saheliana e sahariana, dove gli equilibri politici sono dettati, dal periodo post-coloniale, generalmente da regimi golpisti, cleptocratici e autocratici, omogeneamente operativi e percepiti dalla massa come fisiologici. I flussi migratori non sono direttamente l’espressione di una crisi dello Stato di provenienza, in quanto, secondo i parametri locali, gli avvicendamenti politici e la gestione dello Stato vengono avvertiti esattamente come avvengono: golpe o elezioni farsa, spesso contestate, che riconducono poi a un sanificatore colpo di Stato.
Crisi alimentare e siccità? Altri fattori congeniti su cui le Comunità internazionali operano da sempre, anche in modo fallimentare ed in complessità elevate. In pratica, secondo un recente studio del Fmi – il Fondo monetario internazionale – gli emigranti subsahariani verso i Paesi Ocse potrebbero arrivare ad essere, nel 2050, 34 milioni. Una proiezione analitica sugli scenari socio-demografici basata su questi dati prevede che, nel corso di questo secolo, ci sarà una migrazione verso l’Europa dall’area sub-sahariana da 6 a 12 milioni di persone.
Ricordo, infine, la frase del francese Jacques Chirac pronunciata 16 anni fa: “Se non sviluppiamo questa Africa, e quindi se non mettiamo in atto i mezzi necessari per il suo sviluppo, queste persone inonderanno il mondo”. Forse l’Africa è una sala d’attesa per oltre un milione di clandestini difficilmente integrabili alle porte dell’Europa?