LA POESIA di Giorgio Bongiorno: “Nati in pianura”

A noi
Figli della campagna padana
Nati nel cuore di una giornata di nebbia
Ritorna sovente
Nel balenio dell’estate
Quell’odore umido di afa
Che negli anni
Ci è rimasto addosso
Come un vestito di piuma
Rivedi all’orizzonte
La sagoma buia del casale
I primi timidi bagliori dell’alba
Senti poco distante
Il respiro del sonno della città
L’aria greve del grande fiume
La danza dei mulinelli
Il marciapiedi di una stazione ferroviaria
Il disegno scolpito di quel ponte grigio
Ferreo
Rumoroso
I piloni immobili
La rugiada mattutina
Nella golena assetata di luce
La geometria del pioppeto
Il complice silenzio del vento
Il fuoco dell’alba che invade adagio la pianura
Il canto del tordo
Il grido lontano dei renaioli
E quelle barche intente a scivolare
Sul filo appena increspato della corrente
Una bellezza piatta e liscia
Senza confini
Una vista che si dissolve nel nulla
L’orgoglio smisurato
Nascosto dietro
Un senso profondo di libertà
Che da sempre ci portiamo nell’anima

Emoziona
quel bagliore finale e disperato
che arrugginisce la pianura
quando l’estremo sole s’inabissa.
(Jorge Luis Borges)

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Foto di copertina: Luigi Trambaglio, “Nati in pianura”

Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.

È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.

Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.

Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.

Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.

4 commenti su “LA POESIA di Giorgio Bongiorno: “Nati in pianura”

  1. Grazie Simonetta dell’emozione che le mie parole hanno suscitato in te. Questa della trasmissione di sensazioni e dei sentimenti è la più bella soddisfazione per un modesto artigiano della parola quale io ritengo di essere. E questa magica trasmissione è in ultima analisi… “poesia” .

  2. Bellissima!
    Io sono una nativa montanara trapiantata in pianura per amore, ma le sensazioni che hai descritto così magnificamente nella tua poesia, caro Giorgio, la provo anch’io. Sento anch’io il profumo del fiume, della nebbia mattutina e serale, dell’afa estiva (alla quale però sfuggo appena mi è possibile rifugiandomi sulle “mie” montagne).
    Grazie, Giorgio, per avermi fatto iniziare questa giornata con la serenità trasmessa dal tuo componimento.

    1. Cara Andreina,
      io vivo da pensionato ad Aosta e sono nato a Cremona. La mia è pura nostalgia di luoghi che ho solo vissuto nella mia adolescenza per poi recarmi a Pavia/Milano per l’Università. Dalla laurea in poi è stato un continuo peregrinare (Germania, Stati Uniti,Austria, Svizzera) per ragioni professionali fino a pochi anni fa’. Amo ora la montagna ovviamente ma ciò non mi distogle dal pensiero delle radici che , anche se per qualcuno non vale, in me sono salde sia dal punto di vista geografico che da quello spirituale.
      Grazie del tuo apprezzamento.

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