salto.bz, 5 dicembre 2022 – Possiamo stare sereni, la tenuta del sistema autonomistico è garantita: con 2 anni di ritardo, nella seconda parte del 2023, si svolgerà il censimento linguistico che serve a determinare le consistenze dei gruppi per poi poter distribuire proporzionalmente i ricchi frutti dell’autonomia.
Ironie a parte, c’è però un problema di fondo. Nessuno lo ammetterà mai pubblicamente, ma il fatto che la “conta etnica” sia per la prima volta sganciata dal censimento generale sotto sotto terrorizza amministratori e politici.
I dati potrebbero essere, infatti, falsati da diversi fattori e riservare parecchie sorprese. La domanda che viene da porsi è: visto che il censimento è paragonabile alle fondamenta dell’intera architettura autonomistica, siamo proprio sicuri che la soluzione migliore non fosse semplicemente quella di cristallizzare i dati del 2011?
Non sono poche, come vedremo da una statistica ufficiale ASTAT, le persone dubbiose sul fatto che lo strumento del censimento e la sua figliola, la proporz, producano una reale equità. Anzi, forse andrebbe detto chiaramente che la “proporzionalità” serve a dare una parvenza di equità buona per garantire la pace sociale, ma è semmai garanzia di iniquità.
Non vi è dubbio che per garantire un’equa (in base ai principi costituzionali) divisione delle risorse pubbliche, l’unico criterio dovrebbe essere quello del bisogno e non “dell’appartenenza ad un gruppo etnico”. Un concetto quello della ripartizione basata esclusivamente su base etnica, che nel 2022 dovrebbe far venire i brividi anche ai pasdaran della conservazione.
Se ne potrebbero fare decine, ma facciamo solo un esempio: ottenere una casa Ipes, visti i prezzi di mercato, equivale a una vincita di 500.000 euro al “Gratta e vinci”. Vedersela assegnata prima perché ci si dichiara italiani invece che tedeschi, o il contrario, è un criterio a cui siamo abituati, ma per molti che vedono il tutto da fuori la procedura è un po’ difficile da comprendere.
Certo che reintrodurre ora questo criterio come prevalente rispetto al bisogno dovrebbe essere quasi da esposto penale. Ma, comunque la si veda, è un dato di fatto che la geniale opera di ingegneria costituzionale chiamata Autonomia, unita al mutamento di Zeitgeist, abbia contribuito a garantire la pace etnica e, di rimando, anche quella sociale.
E di questo progresso rispetto agli anni Ottanta hanno dovuto prendere atto anche la gran parte dei critici del sistema, fossero seguaci langeriani o delle destre italiane e tedesche. Detto questo l’impressione è che il censimento nel 2023 si faccia solo perché è un dogma sancito dallo Statuto, ma che il mega sforzo organizzativo per realizzarlo e le conseguenti spese abbiano davvero senso, sarà tutto da dimostrare.
Cosa pensiamo della proporz?
Si diceva della statistica Astat. Occorre premettere che è stata pubblicata il 22 luglio 2022, con mezzo Sudtirolo al mare, ma in questi tempi di camomillizzazione generale sarebbe probabilmente rimasta lettera morta anche se fosse stata pubblicata il 10 marzo.
Cosa dice, dunque, lo studio su “Accezioni del concetto di madrelingua e opinioni sulla proporzionale – Giugno 2022”?
C’è scritto proporz ma va da sé che il concetto sia legato a doppio filo a quello di censimento etnico. Nessuno dei due, infatti, avrebbe senso di esistere senza l’altro.
Primo dato messo in rilievo dall’Astat: al 13% dei cittadini e delle cittadine tra i 18 e gli 80 anni il concetto di “proporzionale” non dice niente.
La percentuale sembra bassa, ma parliamo di almeno 40.000 persone che non hanno idea di a cosa diavolo serva partecipare al censimento linguistico.
Secondo l’istituto di statistica nel complesso lo strumento della proporzionale raccoglie il consenso della maggior parte della popolazione: il 54%. Chi pensa se ne possa fare a meno può esser stimato al 46%, parliamo, dunque, a spanne di 230.000 persone. Un esercito.
Tra chi è proprio contrario alla proporz (33%), metà la vede come “ingabbiamento etnico” e metà semplicemente la ritiene superflua. Nella città di Bolzano si registra il massimo di contrari (50%). Anche chi ha un’istruzione medio-alta è più spesso contrario (42% contro 26% degli altri) al mantenimento della proporzionale. Molto nette sono poi le differenze per gruppo linguistico: tedeschi e ladini sono favorevoli rispettivamente al 62% e all’85%, mentre gli italiani lo sono solo nel 33% dei casi. Tutto normale?
Leggiamo i dati al contrario: chi avrebbe mai pensato che il 48% delle persone di lingua tedesca e il 67% di quelle di lingua italiana fossero contrarie alla proporzionale e, quindi, possiamo desumere, al censimento linguistico? Sono numeri incredibili, che dovrebbero far riflettere anche i custodi dello Statuto dotati di un minimo di onestà intellettuale.
E’ ovvio che la gran parte dei contrari nel 2023 parteciperà per dovere civico alle operazioni censuarie, ma essendo il numero di perplessi così alto, e non essendo prevista alcuna sanzione per chi non si dichiara, non sarebbe giusto chiedersi cosa accadrebbe se anche una piccola percentuale di cittadini dovesse “obiettare”? I dati sarebbero attendibili? E avrebbe senso impiegarli per decidere quante case assegnare “ai tedeschi” e quanti soldi dare alla “cultura italiana”?
Altro aspetto rilevante. I più anziani ricorderanno che nel 2001 i rilevatori entravano nelle case e, i cittadini, dopo aver fornito tutti i dati sull’abitazione e mille altre cose, dovevano compilare la dichiarazione di appartenenza etnica su tre fogli “copiativi”. La dichiarazione nominativa vincolante (quella che veniva poi presentata ad esempio per i concorsi) forzatamente corrispondeva dunque anche a quella che veniva girata all’Astat per calcolare la consistenza del gruppo linguistico. Una vera gabbia etnica.
Nel 2005, per evitare una procedura di infrazione da parte della Commissione europea, su spinta dell’associazione Convivia, la Commissione dei Sei presieduta dall’allora procuratore Guido Rispoli trasformò il censimento linguistico in anonimo, inserendo però tutta una serie di labirintiche limitazioni per complicare i “cambi di comodo”.
Per evitare guai le dichiarazioni nominative rilasciate nel 2001 vennero tenute valide e da quel momento in poi i 18enni ogni anno venivano invitati a presentare la dichiarazione che veniva poi custodita in Tribunale.
Nel 2011, invece, il censimento fu svolto per la prima volta in forma anonima. Cioè: le dichiarazioni rilasciate ai rilevatori che andavano casa per casa vennero considerate solamente a fini statistici e nessuno è poi andato a confrontarle con quelle depositate in Tribunale dal 2001.
La porta della gabbia etnica non era quindi più chiusa a doppia mandata ma socchiusa e dava pure ai soggetti la possibilità di uscire, farsi un giro, e, al limite, entrare in una gabbia etnica diversa. Detto più esplicitamente: una persona di madrelingua italiana (o tedesca) che nel 2001 si era dichiarata ufficialmente tedesca (o italiana) per avere più chance di ottenere un lavoro nel pubblico o per vedersi assegnata una casa Ipes a Bolzano, nel 2011 aveva potuto tranquillamente dichiararsi in modo diverso, senza che questo comportasse alcun problema. Una conquista non di poco conto.
Non si può sapere se alla totalità dei dichiaranti nel 2011 il concetto di censimento anonimo fosse chiaro, ma, un po’ a sorpresa il gruppo italiano ebbe un calo infinitamente più basso di quanto ci si aspettasse.
Nell’ultima rilevazione si dichiararono appartenenti al gruppo linguistico italiano il 26,06% dei cittadini (meno 0,41% rispetto al 2001), a quello tedesco il 69,41% (più 0,26%) e a quello ladino il 4,53% (più 0,16%).
«Gli spostamenti sono lievi e si mantengono entro lo 0,5%: questa stabilità dei dati del censimento linguistico rispetto a dieci anni fa dimostra che le dichiarazioni sono ed erano veritiere e che quelle di comodo non erano rilevanti. È una conferma che i cittadini sono soddisfatti all’interno del rispettivo gruppo», disse allora Luis Durnwalder.
Vedendo i dati assoluti assoluti, le dichiarazioni valide per il gruppo italiano erano state 118.120, quelle del gruppo tedesco 314.604, quelle dei ladini 20.548. Le dichiarazioni non valide erano state 4934 (13mila dieci nel 2001 le buste riconsegnate vuote 435 (3mila nel 2001). Le dichiarazioni di aggregazione (il cosiddetto “altro”) sono state 7.625, pari all’1,68%: nel 2001 erano 9.500. Questa ultima possibilità, va ricordato, era stata inserita per le persone che per un motivo o per l’altro (in buona parte misti-lingue o stranieri) non si sentono di appartenere ad uno dei tre gruppi “ammessi dal sistema autonomistico” – italiano, tedesco, ladino – ma, va detto, è una vera presa in giro in quanto comunque queste persone devono alla fine scegliere a quale gruppo aggregarsi.
Le dichiarazioni nominative
Questi, dunque, erano i numeri del 2011 per il censimento anonimo a fini statistici. Da una interrogazione dei Verdi del 2021, apprendiamo che le dichiarazioni nominative depositate in Tribunale (quelle che vengono usate dai singoli cittadini per lavoro, contributi …) erano 475.000 nel 2020, ed, aumentando con un ritmo di 6.000 all’anno (i 18enni) si può desumere che ora siano 481.000.
E quanti saranno gli altoatesini che dovranno partecipare al censimento anonimo nel 2023? «Sono – risponde Timon Gärtner, direttore dell’Astat – circa 480.000 mila, dai circa 535.000 residenti vanno sottratti quanti non sono in possesso della cittadinanza italiana. Non sono previste sanzioni ma al censimento devono partecipare tutti, come avviene con le elezioni. Noi faremo una massiccia opera di comunicazione e confidiamo nella buona volontà della popolazione. Ci si potrà dichiarare tramite i rilevatori che andranno casa per casa con un solo foglio da compilare molto velocemente. I 14enni possono dichiararsi autonomamente, i genitori di figli minori di 14 anni dovranno invece farlo per loro».
Dichiarazioni cartacee nominative depositate in Tribunale a partire dal 2001 e “aventi diritto” per il censimento anonimo del 2023 corrispondono. Perché il prossimo anno il censimento abbia un senso dal punto di vista statistico, dunque, ci vorranno almeno 480.000 dichiarazioni anonime valide.
Si dovrà creare un software ad hoc, iper sicuro in termini di tutela della privacy, e che, per dire, consenta inoltre anche ai cittadini che non vogliono farlo di non scegliere. Immaginiamo si debba anche dare la possibilità di fornire dichiarazioni non valide come le 4.934 persone che lo hanno fatto nel 2011 o di lasciare tutto in bianco come i 435 che l’ultima volta lo hanno fatto sicuramente per protesta. Dal punto di vista informatico forse la cosa non è immediata ma un modo, è certo, si troverà.
Alla luce di quanto scritto finora, visto che si dovranno spendere diversi milioni di euro per la rilevazione e vista la sostanziale coincidenza di risultati tra il 2001 e il 2011 non era più sensato cristallizzare gli ultimi dati disponibili? Siamo inoltre sicuri che sia sensato mettere di fronte alla scelta di schierarsi ragazzini di 14 anni, magari di famiglia misti-lingue o con background migratorio?
https://www.salto.bz/de/article/04122022/le-insidie-del-censimento-2023