Al di là del suo leggiadro palindromo, Alberto Asor Rosa – scomparso ieri a 89 anni – è stato il Barone rosso per antonomasia, in senso accademico; ideologo e militante del Pci e del 68, accusato perfino di essere il grande vecchio delle Br, a lungo parlamentare del Pds, ma soprattutto autorevole critico letterario, bizzoso, fazioso ma autorevole e a tratti eccellente. Intellettuale organico con qualche discontinuità e qualche estremismo.
A suo merito opere come Scrittori e popolo nel 1965, un testo sul populismo in letteratura a cui ci siamo riferiti anche Giano Accame ed io ne la Rivoluzione conservatrice in Italia. O altre opere come Fuori dall’Occidente e l’Ultimo paradosso, non scevre di scorci autobiografici, fino alla confessione aperta di un nichilismo apocalittico, con approdo finale a Patmos, l’isola in cui san Giovanni scrisse l’Apocalisse. A suo demerito il ruolo di cattivo maestro dell’operaismo che non disdegnava la violenza purché “progressiva”(lo ribadì non solo negli anni di piombo ma anche di recente); la sua adesione a un comunismo utopistico e settario che potremmo definire aristo-comunismo (un autorevole compagno di rango è Luciano Canfora, un altro è Leone de Castris, aristocratico anche dal profilo genealogico); e poi il suo sprezzante, mai nascosto manicheismo ideologico e perfino antropologico. A differenza di Asor Rosa e degli intellettuali come lui, noi invece crediamo alla civiltà del dialogo, non cancelliamo a causa delle sue tesi inaccettabili e dei suoi atteggiamenti più arroganti, l’insieme del suo magistero letterario, le sue opere notevoli e le sue riflessioni più meritevoli. Asor Rosa cancella o demonizza il nemico, o lo denigra, come fece con Prezzolini; noi invece preferiamo leggerlo e criticarlo, distinguendo in lui il meglio dal peggio, anziché ucciderlo col silenziatore.
A proposito di silenzio, c’è un suo libro intervista con Simonetta Fiori (Il grande silenzio, uscito da Laterza) che è stato un po’ il suo congedo letterario e storico. In questo libro Asor Rosa riprende la tesi vetero-operaista e vistosamente infondata che l’intellettuale nasce con il capitalismo; esprime il rimpianto aristocratico delle vecchie elitè del passato e della saldatura tra oligarchie e intellettuali; ripropone l’assurdo alibi che i comunisti restarono stalinisti a causa delle censure fasciste (i comunisti furono in realtà devoti a Stalin fino alla sua morte e oltre, diversi anni dopo la caduta del fascismo). E giustifica l’asservimento totale della cultura al PCI, con storie di incredibile obbedienza al Partito: “Se Togliatti indicava una strada bisognava seguirla. Senza discussioni”. Accadde pure che dopo alcune sue timide obiezioni un alto dirigente comunista tuonò: “Ci vogliono i campi di concentramento!” E obbligandolo a candidarsi, fu detto al Barone Prof.Asor Rosa: “In questo partito un iscritto non discute i deliberati della direzione. Ubbidisci e basta!” E l’iilustre professore ubbidisce e “scatta sull’attenti come una recluta”- Il bello è che Asor Rosa rimpiange quell’epoca: “Almeno un certo ordine c’era”. L’ho sentito dire anche a vecchi fascisti, che amavano l’ordine ed erano fedeli, come lui, al motto credere obbedire combattere.
A proposito del fascismo, Asor Rosa accetta di passare, come egli stesso dice, per “il più agguerrito neo-revisionista” arrivando a riabilitare il fascismo rispetto a Berlusconi. “Da tutti i punti di vista il berlusconismo è peggio del fascismo”; il fascismo, dice, era almeno dentro una tradizione nazionale, aveva un rapporto stretto con il risorgimento. Il berlusconismo no, svuota le idee dell’avversario e nega tutto, Resistenza inclusa, facendola propria. Vi risparmio la solita analisi sulla dittatura populistica o la democrazia totalitaria, che corrompe dentro e distrugge fuori.
Torna antifascista in servizio permanente effettivo quando dice che dietro il fascista più onesto c’era l’olocausto (che però quel fascista ignorava); ma dimentica di dire che dietro il partigiano comunista più onesto c’erano i gulag e un sistema totalitario che il fascismo solo si sognava… Obiezione elementare, ma inconfutata.
Infine Asor Rosa nella sua intervista-testamento si attaccava ai professori, alla scuola, ai libri di testo ritenendoli – credo con ragione -l’ultima stalingrado del comunismo e dintorni (lui dice “l’ultimo baluardo”). Ma non senza ammettere che il progetto comunista e sessantottino è fallito: “la quantità ha soffocato la qualità”, fu cancellato il merito. Parole sagge dopo un magistero dissennato.
Ho letto diversi interventi di Asor Rosa nel corso dei miei studi letterari. Ricordo di essermi approcciato a suoi scritti critici, in particolare in materia di letteratura trecentesca. Un autorevolissimo studioso, senza dubbio. Mi è dispiaciuto sapere della sua morte. Ci si affezionava ai nomi prestigiosi dei critici che ricorrevano nelle letture, quando un giovane studente come me preparava i suoi esami universitari trascorrendo giornate e nottate matte e disperate sommerso sotto pile di libri e fascicoli di saggi. Ricordo bene, però, che il nome di Asor Rosa era spesso associato a posizioni critiche superate e a letture interpretative parziali o da non accogliere pienamente.