MARCELLO VENEZIANI: “Perché ci preoccupa l’Intelligenza Artificiale”

Non abbiate timore dell’intelligenza artificiale, ci rassicura il filosofo Maurizio Ferraris dalle colonne del Corriere della sera. Il bersaglio non esplicitato siamo noi conservatori, ritenuti apocalittici, antitecnologici, un po’ heideggeriani e tanto stupidi. In particolare mi sono sentito chiamato in causa perché in un articolo surreale e metaforico ma non del tutto, annunciavo su Panorama la settimana scorsa che il prossimo premier sarà un robottino, grazie all’intelligenza artificiale (e alla perdita della sovranità politica). “Temere che una macchina possa prendere il potere – replica Ferraris – agitare lo spettro della intelligenza artificiale onnipotente, è soltanto rivelare una nativa mancanza di intelligenza naturale. Ciò che è comprensibile in Albert Speer, ministro degli armamenti del Terzo Reich che a Norimberga si difese invocando l’onnipotenza dell’apparato tecnico tedesco, è inspiegabile in Martin Heidegger, che ha rilanciato l’argomento, e nella turba di filosofi e non filosofi che lo hanno seguito”. Dietro il Genio Imbecille, ci saremmo dunque, noi stupidi senza talento che crediamo alle favole del Golem sulla scia del solito nazista. Vi risparmio le argomentazioni seguenti di Ferraris, alcune condivisibili, altre ovvie, talune intelligenti (ma detto da uno stupido non è un giudizio lusinghiero per Ferraris). Insomma, ci sono domande, sensibilità, ambiti in cui nessuna macchina potrà mai sostituire l’uomo. Le macchine tendono a portare via lavoro agli uomini? “Niente di male, se un lavoro può essere automatizzato in genere è indegno di un umano”. Semmai, conclude Ferraris, concentriamoci su questi problemi e lasciamo perdere tutti i timori e le vane fantasie sul Golem che prenderà il potere.
Rassicurati come uomini e mortificati come dementi sul fatto che le macchine ruberanno il posto agli umani ma non prenderanno mai il potere, ci resta però la preoccupazione. Nessuno pensa che un bel giorno l’Intelligenza artificiale farà un colpo di Stato o instaurerà un regime schiavista e totalitario. Non amiamo i film di fantascienza, non siamo rimasti all’infanzia delle fiabe e non crediamo all’orco cattivo. Ma più sensatamente osserviamo la realtà presente nel suo contesto. Dunque, da una parte l’Intelligenza Artificiale viene impiegata in ambiti diversi e anche inquietanti; ad esempio per generare, come denuncia il filosofo Byong-Chul Han in Infocrazia, un regime di sorveglianza; trasformandosi da Intelligenza in Intelligence. Dall’altra, ci spiegano, ad esempio Cingolani e Metta, ai vertici dell’Istituto Tecnologico, che in virtù dell’intelligenza artificiale avremo “robot in grado di comunicare tra loro e con gli umani, usando lo stesso linguaggio (verbale e gestuale), capaci di comprendere le situazioni fondamentali e persino di prendere piccole decisioni”, possedendo tra i loro requisiti “autonomia”, capacità di “cooperazione”, “socialità”, sorveglianza, sostegno, guida “compagnia, addestramento, educazione e training” e “sostituzione degli umani in ambienti ostili o per lavori gravosi”.(Umani e umanoidi. Vivere con i robot, Il Mulino). Grazie all’intelligenza artificiale e all’uso delle cellule staminali, ci spiegano Lovelock e Boncinelli arriveremo all’autogeneratività, fino a costruire ”organismi perfettamente efficienti”; siamo ben oltre l’eugenetica. Orizzonti sposati dal filosofo Salvatore Natoli, nel suo recente libro Il posto dell’uomo nel mondo (Feltrinelli), che nota “l’estensione del dominio dell’artificiale sulle regioni della mente” fino “a modificare gli schemi cognitivi”.
Non è l’Intelligenza artificiale in sé che ci spaventa ma l’umana idiozia, il delirio di onnipotenza tecnologica, che ne è complice entusiasta. Qual è il pericolo dell’intelligenza artificiale? La sostituzione del mondo reale, delle identità e della natura, con una grande bolla in cui sparisce la realtà e tutto ciò che la costituisce: la storia, il pensiero, la vita, la presenza, i corpi, la natura per entrare in questo universo virtuale e funzionale. Ne è un segnale, ad esempio, il metaverso, come nota il filosofo Eugenio Mazzarella (Contro metaverso).
Ma tutto quel che abbiamo fin qui detto potrebbe rientrare nel rischio consapevole dell’avventura umana, nella scommessa dell’intelligenza umana, nella capacità di cavalcare la tigre della tecnica. Ma se consideriamo il contesto in cui avviene questa scommessa, allora lo spirito critico nei confronti dell’Intelligenza Artificiale esonda nell’angoscia. La crescita rapida ed espansiva dell’Intelligenza Artificiale coincide infatti con la decrescita altrettanto rapida ed espansiva dell’Intelligenza umana, delle sue connessioni vitali e mentali con la storia, con la tradizione, con il linguaggio, con la capacità di progettare il futuro e governare i cambiamenti, la regressione del pensiero, oltre che della religione, col declino dell’arte e l’atrofizzazione progressiva, come una paralisi, delle facoltà naturali, socievoli e intellettuali dell’uomo e con un calo progressivo e allarmante del Quoziente Intellettivo. Si realizza appieno quel “dislivello prometeico”, di cui scriveva Gunther Anders ne l’Uomo è antiquato: ossia cresce la tecnica e decresce la cultura, cresce l’artificiale e sparisce il naturale, cresce il robot e declina l’uomo. Si ingigantisce cioè la forbice tra tecnica e sapere, il mondo artificiale si espande mentre si contrae la nostra capacità di conoscerlo, di capirlo e dunque di governare gli effetti.
Il pericolo, caro Ferraris, non è dunque il golpe delle macchine, l’autogoverno dell’Intelligenza Artificiale; ma la complice stupidità umana unita all’infatuazione per le macchine, alla perdita dell’umanità e al fatalismo tecnologico secondo cui non si può fermare o frenare né cambiare il corso. Se il procedere è automatico e inarrestabile, non c’è più libertà, intelligenza e dignità umana. Non è l’Intelligenza Artificiale in sé il pericolo ma la disumanizzazione radicale che si attua tramite essa. È una preoccupazione stupida? Se lo è preferisco restare uno stupido umano, anziché un idiota servitore e collaborazionista del robot.

La Verità – 3 febbraio 2023

Perché ci preoccupa l’Intelligenza Artificiale

2 commenti su “MARCELLO VENEZIANI: “Perché ci preoccupa l’Intelligenza Artificiale”

  1. Quando un fifoloso (e non ho sbagliato a scrivere) come Maurizio Ferraris non capisce lo stilebprovocatorio e paradossale di Marcello Veneziani, non è un filosofo, ma una entità dominata dalla fifa: paura di perdere il posto nel giornale in cui scrive, se scrive oltre il temino assegnatoli; paura di non piacere ai benpensanti e alla classe economicamente alta dei suoi lettori.
    Anzi, penso che Ferraris – e con lui una vasta galleria di intellettualoidi – sia già una specie di mutante, un replicante nato dentro un baccello verde e messo chissà come in circolazione.
    Direi anche a Marcello Veneziani di non temere di ciò che scrive sui robottini che governeranno il mondo. Si è sbagliato nella coniugazione del verbo in futuro. Doveva scrivere usando il presente, giacché certi tizi con fattezze umane che ci hanno governato erano in realtà dei robot altamente sofisticati. E come chiamare esseri umani quei congegni meccanici venuti mali ma usati ugualmente per pianificare la riduzione delle masse e inculcargli all’uopo un malefico vaccino? Siamo già dominati da robot, ma non ce ne siamo accorti.

  2. Grande e veramente condivisibile risposta di Marcello Veneziani. Inutile sopravvalutare la capacità umana di resistere agli amorosi sensi dei robot e della propria narcisistica
    onnipotenza tecnologica, perché più cancelli la vita naturale e il pensiero decresce con l’intelligenza, più rimarremo prigionieri di una Metavita senza più uscita, in una Umanità artificiale autoriproduttiva ed autoschiavizzata.
    Come conclude Marcello, meglio uno stupido umano che un idiota servitore e dipendente dai robot e peggio, collaborazionista.

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