Tutti, al giorno d’oggi, possiedono un televisore con decine di canali tematici che offrono una scelta variegata di grande attrattiva, ma negli anni Cinquanta, fino al 1961, la RAI offriva un solo canale ed aveva anche una funzione educativa, oltre che di intrattenimento. Il Maestro Manzi, con la sua storica trasmissione “Non è mai troppo tardi”, attraverso il piccolo schermo, entrava nelle case degli Italiani con il suo stile discreto ed elegante per insegnare a leggere agli adulti di un’Italia  ricca di tradizioni e di valori, ma ancora contadina ed analfabeta.

La RAI cominciò a trasmettere su tre canali solo dal 1979: allora il pubblico, con un’offerta così limitata, anche se di qualità, non si disperdeva in mille diversi programmi e se un personaggio compariva in televisione, godeva immediatamente di una grande popolarità, perché poteva contare sull’attenzione concentrata di milioni di spettatori. Da allora la televisione si è evoluta, e, complice l’avvento di internet, il pubblico riceve (o subisce) tantissime proposte di vari artisti, o pseudo tali, rendendo paradossalmente più difficile per un musicista riuscire a distinguersi e ad emergere.

Ed ecco che i talent shows offrono la ribalta a giovani talenti, evitando loro qualsiasi tipo di gavetta,  e consegnandoli spesso ad un successo tanto immediato quanto effimero, perché, se quel cantante è in televisione, allora esiste, se è in televisione, allora deve essere proprio bravo, se è in televisione, allora merita l’attenzione del mondo.

Ma chi decide coloro che sono destinati ad essere delle stelle?

Un giorno, un manager molto quotato, che segue tuttora diversi musicisti di valore, mi confidò un pensiero crudo ma realistico: “Vedi, – mi disse, prendendomi da parte durante un ricevimento – il pubblico è composto di persone, che prese singolarmente, ad una ad una, sono per lo più incompetenti, ma, messe tutte insieme, diventano un giudice inflessibile ed infallibile”.

Ma come fare ad arrivare al pubblico? Si deve ricorrere alle raccomandazioni? E’ necessario scendere a compromessi, anche se odiosi? Si deve vendere l’anima al diavolo per “arrivare”?

Forse l’artista può anche evitare tutto questo: ma qualcuno dovrà farlo per lui.

Ed è qui che compare la figura, essenziale ed impagabile, del manager: ci sono artisti, che da soli, non sarebbero mai usciti fuori dall’anonimato, se non fosse stato per il loro manager.

Ricordo il mio professore di Greco del Liceo che, molto saggiamente, esortava sempre ad un uso parco dei superlativi e delle aggettivazioni che certificassero l’eccezionalità, se non si voleva che se ne perdesse il valore… Oggi sono tutti “grandi”, “eccezionali”, “mitici”, poi, se andate a vedere (anzi, nel nostro caso, ad ascoltare), capite che di grande, di eccezionale e di mitico c’è solo il marketing.

Del resto, se i giornali dicono che l’artista X è grande, se lo ripetono le televisioni, se lo proclama la radio, se su internet troviamo su di lui commenti entusiastici, vuol dire che lo sarà davvero.

Chi siamo noi per contraddire tante voci autorevoli?

Qualcuno di voi ricorderà certo la famosa beffa delle tre teste scolpite (si diceva) dal grande Amedeo Modigliani, ripescate nel luglio del 1984 nel Fosso Reale di Livorno e celebrate come capolavori da autorevoli esperti, salvo poi venire a sapere, a settembre, vale a dire, due mesi più tardi, che queste sculture altro non erano che pietre scolpite da tre giovani studenti livornesi, che, usciti allo scoperto, fecero capire al mondo quanto fossero temerari i giudizi di certi “grandi” critici.

Se un visitatore entra in un museo, è portato a pensare che tutto ciò che è al suo interno debba essere per forza un’opera d’arte, perché il museo è il luogo deputato per accogliere solo l’arte, ed automaticamente consacra tutto come tale; lo scorso ottobre, però, al Museion di Bolzano, le signore dell’impresa di pulizie del museo trovarono bottiglie vuote, scarpe, vestiti stropicciati, mozziconi, cartacce, nel bel mezzo di una delle stanze, e, senza pensarci due volte, buttarono tutto nella spazzatura, attribuendo tale scempio alla maleducazione dei partecipanti alla festa di inaugurazione di una mostra della sera prima. Ignoravano però (beata ingenuità!) che tutta quella immondizia altro non era che era un’installazione di Goldschmied & Chiari, in arte Goldi&Chiari, due celebratissimi performers di arte contemporanea, che avevano ricevuto la commissione di creare tale “opera” dalla “Casa Atelier” di Museion, ma le zelanti ed ignare addette alle pulizie non avevano pensato nemmeno per un istante di trovarsi di fronte ad un’opera d’arte fatta di stracci e di sporcizia… Nessuno gliel’aveva detto.

Una volta, molti anni fa, avevo invitato a cena un mio amico musicista, grande intenditore di vini, e per l’occasione avevo acquistato una bottiglia di pregiato Marzimino, citato anche nel “Don Giovanni” di Mozart, destinato ad innaffiare degnamente le ottime pietanze preparate da mia moglie; sfortuna volle che, all’ultimo momento, questa preziosa bottiglia si rompesse e che quindi io fossi costretto a travasare del vino da tavola sfuso, senza infamia e senza lode, da una damigiana in un’altra bottiglia vuota, che aveva per l’appunto contenuto un altro eccellente Marzimino consumato settimane prima.

Una volta servito il vino ai commensali, stavo per rivelare quello che era successo, scusandomi per la mancanza di corrispondenza fra il prodotto offerto e la bottiglia, che aveva ovviamente l’etichetta con la scritta Marzimino, pur non avendo nemmeno una goccia di questo nettare al suo interno, quando il mio amico, dopo averne bevuto un sorso, esclamò: “Ottimo, davvero un vino eccellente e corposo: il migliore Marzimino mai assaggiato!”. Lo confesso: non ebbi il coraggio di deluderlo, rivelandogli la verità,  nemmeno quando, successivamente, mi chiese dove mai avessi trovato quel Marzimino, dato che non era più riuscito a degustarne uno uguale…

Potenza della suggestione: l’etichetta e la bottiglia non potevano mentire, e quel vino modesto era diventato un’eccellenza solo grazie alla convinzione che si trattasse di un prodotto di qualità.

Non crediate che nel mondo della musica le cose funzionino tanto diversamente: il musicologo Remo Giazotto (1910-1998) è autore di uno dei più clamorosi falsi d’autore (ma di successo) nella Storia della Musica. Nel 1958 pubblicò il celeberrimo Adagio in sol minore di Tomaso Albinoni, (1671-1751) di cui era un esperto studioso, affermando che si trattava di una composizione del musicista veneziano che lui aveva ricostruito in base a dei frammenti ritrovati fra le macerie della Biblioteca di Dresda, distrutta dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. La verità cominciò ad emergere nel 1998, l’anno della scomparsa del musicologo, quando si scoprì che si trattava di una composizione originale scritta interamente da Giazotto, poiché, contrariamente a quanto sostenuto da quest’ultimo, non fu mai rinvenuto nessun frammento di Albinoni in possesso della Biblioteca Nazionale Sassone. Giazotto sapeva benissimo che, se avesse pubblicato il lavoro a nome suo, e non, come invece fece ufficialmente, in qualità di semplice revisore di un’opera da lui ricostruita su frammenti del celebrato Albinoni, probabilmente direttori d’orchestra come von Karajan non si sarebbero scomodati ad eseguire il brano ed il mondo non lo avrebbe accolto come un capolavoro…

Il carismatico giapponese Mamoru Samuragoch era popolarissimo nel suo paese, tanto da essere chiamato “il Beethoven del Giappone” anche perché affermava di essere totalmente sordo proprio come il musicista di Bonn, fino a quando non si scoprì che in realtà non solo ci sentiva benissimo, ma che non conosceva per niente la musica e che i suoi 20 capolavori erano stati in realtà scritti, nel corso di un decennio, da un modesto insegnante di musica, Takashi Niigaki,  dietro il compenso di 7 milioni di yen (poco più di 50.000 euro), un’inezia rispetto ai proventi che l’impostore aveva incamerato durante la sua “carriera” di sedicente compositore. Non mi risulta, però, che Niigaki, dopo avere ammesso di essere lui il vero autore di quei lavori, abbia ereditato la popolarità di Samuragoch… Evidentemente l’oscuro maestro di musica era privo del carisma necessario per diventare un personaggio, sebbene le note fossero le stesse che avevano commosso migliaia di ascoltatori…

La pubblicità è l’anima del commercio, recita un vecchio detto. Un musicista può essere il più bravo del mondo, ma se non lo dicono i media, nessuno lo riconoscerà come tale.

Un manager, che seguiva diversi musicisti, un po’ per scherzo, un po’ sul serio, diceva sempre ai direttori artistici chi gli chiedevano di proporre un cantante o un direttore d’orchestra da far esibire sul palco dei loro teatri: “Lo volete bravo o famoso?”.

Perché non sempre le due cose vanno insieme…

E a volte il tempo fa giustizia, altre volte no. E questo fa un po’ paura e solleva un interrogativo cruciale: quanti altri Mozart o Beethoven magari sono esistiti senza che ce ne accorgessimo?

E forse oggi, più che mai, è difficile distinguere chi ha del vero talento da chi non ce l’ha, perché tanti, troppi personaggi millantano.

E spesso il pubblico ci casca, con buona pace di chi,  trascurato, sarebbe davvero un grande artista, ma che non riesce a proporsi, se non ad una platea ridotta, e le sue esibizioni restano senza grande eco, perché non ha alle spalle un grande manager ed il supporto dei media.

Dunque, vogliamo un musicista bravo? O solo famoso?

Ma perché non possiamo sempre averlo bravo e, conseguentemente, famoso? E’ così difficile?

3 commenti su “Bravo o famoso?

  1. Grazie Stefano per questo articolo che a mio avviso , evidenzia in modo perfetto tutte le fragilità della società attuale. Un mondo che purtroppo non sa più riconoscere il talento, la qualità mentre sempre più esalta ciò che si può “vendere” meglio. Vale per l’arte come per il resto delle umane attività.

  2. Carissimo Stefano non si finisce di imparare leggendoti. C’è tanto di Storia d’Italia e degli italiani, nonché di conoscenza del mondo dell’arte nella tua esposizione. Tutto interessante e tutto vero. Ovviamente noi scegliamo la sostanza, l’essere bravi, e ci rammarichiamo per il successo dei falsi d’autore diventati famosi grazie alla pubblicità.
    Magdi Cristiano Allam

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