«Spezzami gambe e braccia, mi servono soldi»: Yacoub e i disperati che dicono sì agli Spaccaossa. La Mafia li sfrutta per fingere incidenti e truffare le assicurazioni. Un film racconta le loro storie

L’Espresso 22 Agosto, 2022

Di Emanuele Coen

Tutto comincia con la strana morte di Yakoub Hadri, un cittadino tunisino di 23 anni, in una strada del quartiere Brancaccio, a Palermo, dominato da uno dei clan più potenti di Cosa Nostra. A insospettire gli inquirenti, più di cinque anni fa, è la perizia compiuta sull’incidente stradale, da cui emerge che le lesioni riportate dalla vittima non sono compatibili con la dinamica tracciata in un primo momento. Parte da qui l’inchiesta che porterà a scoprire che Hadri in realtà non è deceduto per l’impatto, ma perché non è sopravvissuto alle terribili ferite inflittegli dagli “spaccaossa” allo scopo di mettere in scena il finto sinistro e truffare la compagnia assicurativa per ottenere il risarcimento del danno.

Lo pseudo incidente è solo uno dei tanti messi in scena, anche in Lombardia e Piemonte, da una organizzazione criminale siciliana che sfrutta lo stato di necessità, la miseria della gente, per mettere in piedi un business milionario. Nasce così l’inchiesta – la prima, con altri cinque filoni aperti successivamente, uno dei quali ha evidenziato connessioni tra alcuni spaccaossa e i boss di Brancaccio – che ha portato a scoprire decine e decine di truffe, con incassi stratosferici. Malgrado le decine di condanne e i processi in corso, oggi il fenomeno è tutt’altro che debellato, anzi trova terreno fertile in territori governati da altre organizzazioni criminali, ad esempio nella provincia di Avellino, dove esiste chi è disposto a farsi rompere anche i denti.

Il meccanismo è semplice e brutale: da un lato si trova chi decide di farsi fratturare una gamba o un braccio per comprare il pane ai figli ma anche lo smartphone ultimo modello o per pagare le spese per la festa della prima comunione della figlia. Vittime per necessità o per scelta, pronte a farsi mutilare per poche migliaia di euro, le briciole dei lauti incassi della banda. Dall’altro lato i carnefici, chi spacca gli arti di donne e uomini di ogni età per ottenere i risarcimenti dalle compagnie assicurative. Con la complicità di medici, infermieri, assicuratori. Una sorta di welfare illegale in un territorio dove lo Stato è assente o considerato ostile.

Prende spunto dalla cronaca il film “Spaccaossa” di Vincenzo Pirrotta, 51 anni, regista e drammaturgo palermitano, al suo primo lungometraggio dopo una lunga esperienza nel teatro civile, selezionato alle Giornate degli Autori nella sezione Notti Veneziane, all’interno della 79esima Mostra Internazionale D’arte Cinematografica di Venezia.
Una pellicola cruda, dai toni cupi, in dialetto siciliano con i sottotitoli, con un cast quasi tutto siciliano (anzi palermitano), che L’Espresso ha visionato in anteprima. «La vicenda degli spaccaossa mi accompagna da quella mattina in cui una notizia del giornale radio mi colpì come un cancro da espellere», dice Pirrotta: «Ho sentito la forte necessità di raccontare questa vicenda, intanto perché avveniva nel ventre molle di Palermo, la mia città, con tutto il suo feroce incanto».

Dopo qualche tempo Pirrotta ne parlò con Salvo Ficarra durante una partita di calcetto. «Mi disse: “Questa storia deve diventare un film, te lo produciamo noi”», aggiunge Pirrotta, che ha firmato la sceneggiatura insieme a Salvo Ficarra, Valentino Picone e Ignazio Rosato, mentre il film è prodotto da Attilio De Razza e Nicola Picone per Tramp Limited con Rai Cinema. «Man mano che mi addentravo nella storia di cronaca ho avvertito la sensazione di compiere una discesa agli inferi», aggiunge il regista.

Una discesa che Pirrotta ha voluto intraprendere anche come attore protagonista: è lui Vincenzo, 45 anni, un uomo dall’aspetto bruto che tradisce uno sguardo ingenuo. Vive con l’anziana madre Giovanna (interpretata in modo magistrale da Rori Quattrocchi), che nasconde un’anima nera, lo domina e lo porta a tradire sé stesso. L’uomo recluta vittime consenzienti per gli spaccaossa in cambio di una piccola percentuale, vive la sua condizione come un destino ineluttabile. È lui in prima linea, l’anello di congiunzione tra l’organizzazione criminale e le vittime, trovate in strada come Luisa, esile e bella ragazza (Selene Caramazza) tossicodipendente di cui si innamora, che fugge dalla comunità e si rifugia da lui. Un personaggio chiave Vincenzo, che affonda le radici nella cronaca. «Ti ricordi Azzusa, quello del ferro vecchio? C’è suo fratello che vorrebbe affittare piano terra e primo piano, si può?», chiede l’uomo al suo interlocutore al telefono, il capo della banda, alludendo alla volontà della vittima di farsi spaccare una gamba e un braccio per fare più soldi. «Più case affitti, più guadagni».

Quello che emerge dalle inchieste, infatti, è che il più delle volte sono le vittime a chiedere di farsi spaccare le ossa per motivi spesso futili o disperati. Come Machinetta, interpretato da Luigi Lo Cascio, incallito giocatore di video-poker che decide di farsi fratturare una gamba per mantenere il suo vizio patologico, la dipendenza dal gioco d’azzardo. È lui che ricatta Vincenzo, per firmare la pratica dell’indennizzo vuole più denaro.

La trama attinge a piene mani alla realtà. Anche il vecchio magazzino alla periferia di Palermo, all’inizio del film, una sorta di cella semibuia dove un gruppo di persone frantuma con un trolley pieno di pesi da palestra il braccio di un uomo, gettandolo dall’alto, “l’antro del dolore” come lo chiama il regista, sembra il frutto delle testimonianze di chi si è pentito o ha confessato durante il processo. «Mi ha impressionato il mondo dei tormentati e afflitti che vengono coinvolti e adescati», aggiunge il regista-protagonista di “Spaccaossa”: «Voglio raccontare questa meschinità d’animo, la sub-cultura che ammanta le nostre periferie come le altre periferie del mondo, le banlieue parigine e i sobborghi delle metropoli americane, con la stessa dolenza con cui si recitano le stazioni della via crucis».

Ha una vocazione universale la storia degli spaccaossa. La spia di una relazione malata con il potere, l’autorità, le istituzioni. In un mondo in cui ogni mezzo risulta legittimo per ottenere il proprio tornaconto, anche il sacrificio dell’incolumità fisica si giustifica. «È come si sentissero autorizzati a truffare le compagnie assicurative, colpevoli di chiedere il premio per la polizza. Quasi una rivincita contro chi utilizza il proprio potere, anche economico, per fottere la povera gente».

Un atteggiamento diffuso: durante le riprese del lungometraggio, più di una volta il regista si è sentito dire: «Perché racconti questa storia? C’è gente che è stata arrestata, questi poveretti che dovevano fare?». E un’altra volta un uomo, presumibilmente un agente assicurativo, ha fatto irruzione sul set per contestare il lavoro del regista, responsabile di screditare l’intera categoria. «Ho sempre creduto nel teatro civile, perché non dovrei raccontare queste storie?», conclude Pirrotta: «È un cancro che affligge la mia terra, ho il dovere di raccontare». 

https://espresso.repubblica.it/idee/2022/08/22/news/spaccaossa_soldi-362550918/amp/

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