di Pietro Cavalli (Medico)
Quotidianosanita.it, 31 agosto 2022
Gentile Direttore,
al di là di particolari e trascurabili contingenze, quali la guerra in Ucraina, la mancanza di gas, la crisi energetica, il riscaldamento globale, le elezioni in Italia, il bonus psicologo, l’estate 2022 passerà alla storia come un triste periodo segnato dalla carenza di cuochi, aiuto-cuochi, camerieri, lavapiatti, baristi e bagnini. In verità non si tratta solamente di giovani che non hanno più voglia di lavorare, che ambiscono unicamente a fare i tik-toker, che si godono l’aperitivo con i soldi del reddito di cittadinanza, e neppure di parassiti mantenuti dai genitori e senza alcuna ambizione.
Forse sbattersi anche 10-12 ore al giorno per meno di mille euro lordi presi in nero e senza contratto non sembra il massimo della soddisfazione per un giovane che ha tutto la vita davanti: sarà che non ha voglia di lavorare oppure saranno le discutibili condizioni di lavoro a spingerlo a cercare altre soluzioni? In questo contesto potremmo anche allargare i nostri orizzonti e porre la stessa domanda a riguardo dei lavoratori della sanità pubblica. In analogia a quanto sopra riportato, anche molti medici hanno infatti scelto di abbandonare il loro posto di lavoro e deciso di rimettersi in discussione.
In realtà spesso hanno lasciato una nave che imbarca acqua, che costringe a lavorare in condizioni talora primitive e offre compensi del tutto insoddisfacenti. Perché fare turni infernali con paghe da fame quando con tre, quattro guardie al mese da libero professionista prendi gli stessi soldi e ci guadagni pure in salute? Se i camerieri, i lavapiatti e gli aiuto cuochi possono scegliere, perché stupirsi se anche i medici scoprono che la pratica della medicina pubblica non sempre si identifica con lo spirito del missionario?
Sembra proprio l’apparire di una rivoluzione silenziosa: senza botti e senza barricate le scelte individuali e collettive stanno portando ad un cambiamento del quale non solamente i ristoratori e i titolari di stabilimenti balneari sembrano non rendersi conto. Anche i responsabili della sanità pubblica rimangono sorpresi dal fatto che nessuno partecipi ai concorsi per medico ospedaliero e forse non hanno ancora capito che anche i medici, così come i lavapiatti e i camerieri, magari si stanno stufando di turni impossibili, paghe da terzo mondo, burocrazia fuori controllo, assenza di coinvolgimento, direttive regionali spesso incomprensibili e talvolta addirittura sganassoni da parte della clientela.
Meglio, molto meglio lavorare una settimana al mese e fare una pernacchia ai colleghi del pronto soccorso, loro sì con l’animo dell’apostolo e destinati al martirio. Il medico una missione? Dai, non scherziamo. Oggi fare il medico ospedaliero rappresenta solamente un’attività rischiosa, malpagata e subalterna a decisori troppo spesso incompetenti e privi delle più elementari capacità di analisi.
Certo che se siamo arrivati a questa situazione, un po’ ce la siamo cercata. Magari per l’ansia di compiacere Direttori Generali inadeguati e malandrini, magari per affidarci ad un Sindacato che non sembra comprendere l’evoluzione della professione e del suo contesto, magari per la colpevole cessione progressiva di competenze mediche ad altre figure professionali, magari per aver svenduto la nostra intelligenza a sperimentazioni farlocche. In ogni modo se la professione del medico è sopravvissuta a tempi in cui la sanguisuga ed il clistere rappresentavano il massimo della tecnologia disponibile, qualche speranza possiamo continuare a mantenerla.
Di fatto siamo passati in poco tempo da una sanità pubblica considerata tra le prime al mondo alla necessità di importare medici da altri Paesi per garantire non già l’assistenza ai nostri malati, quanto il mantenimento della poltrona all’Assessore e al Presidente di Regione di turno. No, non sono i medici quelli che stanno mandando in rovina il SSN.
A loro è richiesto il risarcimento per ogni possibile “errore”, anche lieve, mentre l’impunità è la regola per tutti gli altri, dai Direttori Generali ai loro referenti regionali, anche a fronte di scelte scellerate che stanno portando alla progressiva marginalizzazione della sanità pubblica. L’unico aspetto positivo di questa situazione è che finalmente quella che una volta veniva definita pomposamente “classe medica” ha trovato degli alleati. Non già tra le mura ospedaliere, non già nelle stanze dei bottoni e neppure tra la “clientela”.
Ormai sono i baristi, i camerieri, gli aiuto cuochi, i bagnini ad indicarci la via da percorrere. Grazie, fratelli.
Pietro Cavalli Medico
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