Venezia, 3 settembre 2022 – Monarchia, Aristocrazia e Democrazia, così Cicerone ricorda le tre forme possibili di governo di uno Stato in un dialogo virtuale ambientato nella villa di Scipione. Egli , andando oltre Platone, Aristotele e Polibio, enuncia poi le tre forme di degenerazione a cui esse sono esposte: la monarchia in tirannia per l’eccessivo accentramento di potere in uno solo, l’aristocrazia in oligarchia per la mancanza di equilibrio tra le classi sociali e la democrazia in demagogia per la confusione e disordine delle masse.
Unico rimedio agli inconvenienti degenerativi è l’adozione di una Costituzione mista delle tre come quella romana che supera tutte le altre con i due Consoli (monarchia costituzionale), il Senato (Aristocrazia) e i Comizi popolari per le leggi e la elezione del re (democrazia).
Anche Il greco Polibio è un estimatore della Costituzione romana che portò la Roma Repubblicana alla costruzione di un Impero.
Gli storici e i pensatori delle Scienze Politiche sono ritornati più volte sul tema e, nella panoramica di questi studiosi, non figura mai San Benedetto e la sua Regola Monacorum.
La lettura della Regola nei termini aziendalisti di oggigiorno, che è stata fatta recentemente con il libro “Il monastero come azienda”, consente di annoverare San Benedetto non solo come costituzionalista in armonia con i pensieri ciceroniani, ma anche come realizzatore della forma di governo che Polibio chiama “perfetta” e che dopo quindici secoli continua a funzionare ancora con la presenza di monasteri in ogni luogo.
La traduzione in organigramma dei capitoli due e tre della Regola mostra visivamente il tipo di organizzazione aziendale classica con la variante innovativa della flessibilità strategica, tattica e operativa del monastero come è spiegato nel libro citato prima. Ma se nell’organigramma al posto di Abate mettiamo Re o Presidente, al posto dei Decani mettiamo Ministri e al posto di Monaci mettiamo Popolo, si conviene che il Consiglio dei Decani diventa il Consiglio dei Ministri per la gestione degli affari correnti e l’Assemblea dei monaci diventa il Parlamento per le decisioni strategiche, formazione delle leggi ed elezione del Presidente di una Democrazia Moderna o Re di una monarchia costituzionale.
Così, la Regola di San Benedetto diventa esempio vivo di Costituzione classica per la conduzione di uno Stato: classica secondo Platone, Aristotele e Cicerone e nel contempo innovativa nella normativa di svolgimento delle operazioni, i cosiddetti Regolamenti che altre Costituzioni, venute dopo, demandano “al senno di poi”. Nel libro citato le riflessioni si limitano alla individuazione della democraticità della Unità di comando e al rispetto dei principi di delega che rendono la figura del Patriarca quale primo enunciatore della organizzazione scientifica del lavoro. Ma non è improprio affermare che, secondo i dettami delle scienze politiche, egli è anche Statista. Possiamo dire che come legislatore egli attinga a Cicerone (non dico a Platone o ad Aristotele, perché non sapeva di greco), ma come realizzatore egli è il Giulio Cesare della organizzazione: il Fondatore dell’impero dei monasteri di ogni tempo e in ogni luogo.
Il saggista Daniel Rops ha scritto: “la Regola è l’ultimo capolavoro dello spirito romano”.
Lo storico benedettino Herwegen: “La regola è un codice romano per mentalità e struttura”.
Ci si può domandare, allora, se qualcun altro abbia imitato detta formula “perfetta” di governo per dirla con Polibio. Ebbene sì. La Costituzione della Repubblica Serenissima di Venezia (che ha resistito per dodici secoli alla usura del tempo) è un esempio della formula mista patrocinata da Cicerone. Anche se tutti gli attori provengono dal patriziato, si riscontra: l’unità di comando con la figura del Doge (monarca), il Collegio dei Savi (ministri), e il Maggior Consiglio o Senato (per il varo delle Leggi, l’elezione del Doge e l’elezione dei Ministri come democrazia).
Nel XVI secolo sulla scia degli studi e convincimenti dei Machiavelli, dei Guicciardini e di altri politologi, la Costituzione veneziana (che non è stata scritta di getto, ma si è formata e affinata nel tempo) era vista come incarnazione ideale di “governo misto”, di “governo temperato”, di “governo umanista”. Al riguardo si citava spesso Aristotele e Platone, dimenticando che i veneziani fondatori non conoscevano né Aristotele e né Platone, ma San Benedetto sì.
Come ha evidenziato e acclarato Guido Perocco nel suo libro “Civiltà di Venezia”, la costruzione della città discende da un agglomerato di monasteri benedettini: “Una serie di piccole comunità intercomunicanti ramificata ininterrottamente lungo i canali le calli, in una originale composizione tra spazio interno e spazio esterno regolato da un ritmo diverso rispetto a quello di altre città”. Basti ricordare alcuni fatti significativi avvenuti all’inizio della formulazione governativa che ha retto poi per quasi 12 secoli: tre giovani Patrizi veneziani, divenuti monaci, creano il monastero di San Giorgio Maggiore (982); il Doge Tribuno Memmo, il patron dei tre giovani veneziani prima citati, abbandonando la carica di Doge si fa monaco (991); il suo predecessore Pietro Orseolo I° rinunciò spontaneamente alla carica (978) per farsi monaco, monaco riconosciuto Santo (è rappresentato in Basilica di San Marco col vestito da monaco e il cappello di doge in mano); San Gerardo Sagredo ( 980-1047), l’apostolo di Ungheria, è stato prima monaco e abate dell’abazia di San Giorgio Maggiore. In pieno Medio Evo gli imperatori e ambasciatori che venivano a Venezia erano ospitati nei monasteri dove avvenivano anche i colloqui politici.
La Costituzione della Repubblica Serenissima di Venezia è nata in questo clima e non meraviglia il dire che essa rifletta lo spirito della Regola di San Benedetto.
Sir Henry Wotton, ambasciatore a Venezia di re Giacomo I di Inghilterra (1605-1625), scrisse in un suo rapporto al Re: “Tutta questa misteriosa struttura sa di chiostro”.
Davvero interessanti le considerazioni presenti in questo breve testo. L’importanza del sistema organizzativo dei monasteri benedettini dovrebbe essere rivalutata anche sul piano dell’insegnamento a livello scolastico che, invece, risulta alquanto carente al riguardo.
Cari amici vi invito caldamente a leggere il breve saggio di Alessandro Paglia sul fatto storico che la Regola di San Benedetto si ispirò alla Costituzione dell’Impero Romano e ispirò la Costituzione della Repubblica di Venezia. Ma soprattutto che quel sistema politico merita di essere studiato e considerato, soprattutto in questa epoca buia in cui la civiltà è decaduta, i popoli sono condannati a estinguersi, gli Stati nazionali sono collassati.
La similitudine acclarata tra la decadenza e la fine dell’Impero Romano d’Occidente e tra questa nostra Europa, si riverbera nella similitudine della proposta che grazie alla Regola di San Benedetto consentì la rinascita dell’Europa e nella proposta da noi avanzata come Casa della Civiltà. Buona lettura e proficua riflessione.