3 settembre 2022 – Mi piace pensare che lo spirito dei primi monaci benedettini possa essere, in un qualche modo, linea guida ed ispirazione a chi appartiene e opera nella Casa della Civiltà.
Ho fatto delle ricerche in tal senso che mi piace riassumere e condividere.
Il Monachesimo ha avuto una parte decisionale nel Medio Evo. L’Italia era nel caos e i barbari imperversavano. I poteri centrali non funzionavano. Quelli periferici si trasformarono in strumenti d’oppressione.
La popolazione si strinse attorno ai monasteri: protezione in cambio di braccia. I grandi conventi si trasformarono in città fortificate, autarchiche, chiuse, isolate dal resto del mondo. I monasteri arruolarono truppe, amministrarono la giustizia, svincolati dall’autorità episcopale.
Riunendo poteri civili, religiosi e militari affrontano emergenze quali guerre, carestie, malarie, peste bubbonica. Ma poi, abusando, finirono per tradire lo spirito evangelico che la regola di San Benedetto aveva cercato di infondergli.
La Regola “Orat et laborat” contenuta in 73 brevi capitoli, rimane ancora oggi uno dei pilastri più alti e una delle testimonianze più originali del Cristianesimo.
I monaci iniziano la giornata alle tre del mattino quando hanno inizio le funzioni religiose: canto dei Salmi, la recita delle orazioni, la lettura del Vangelo o di qualche passo della Bibbia. Al termine della Messa si ritirano in biblioteca. Un sorvegliante appositamente designato dall’Abate, bada che nessuno si distragga dalla lettura dormendo o chiacchierando con il vicino. A intervalli regolari, cioè allo scadere delle cosiddette ore canoniche, lo studio viene interrotto per la preghiera. Alle nove, il prete che spesso vive fuori dal convento, celebra una seconda Messa alla quale tutti hanno l’obbligo di intervenire.
Dopo la funzione ognuno va al proprio lavoro: il cuoco in cucina, i giardinieri nell’orto, i falegnami in officina. Alle undici viene servita la colazione. Ecco il menù: mezzo chilo di pane, un piatto di pesce o carne, contorno di verdura, formaggio e frutta. Una curiosità: la carne di animale a quattro zampe è proibita. La Regola concede una speciale dispensa solo ai vecchi ed ammalati. Ogni monaco ha diritto a mezza pinta di vino e, talvolta, ad una razione supplementare.
A tavola nessuno parla a meno che non sia invitato esplicitamente dall’ abate. Un monaco legge ad alta voce le Vite dei Santi. Dopo mangiato è consentita una pennichella. Poi ricomincia il lavoro e la preghiera.
Al calar del sole, dopo una frugale cena, di nuovo a letto. I materassi sono imbottiti di paglia, di crine o di canne. Dormono vestiti, sandali, tonaca e cappuccio perché non c’è riscaldamento. Un fazzoletto, un coltello ed una penna sono gli effetti personali sistemati ai piedi del letto accanto a una tonaca da lavoro e ad un ricambio di pedalini e mutande. Nessun monaco può scrivere o ricevere lettere, accettare o ricevere doni. Per chi si ammala c’è l’infermeria, il solo posto ove fare un bagno.
Per chi disobbedisce, la frusta. I recidivi sono puniti con l’isolamento e nei casi più gravi con l’allontanamento.
Per le decisioni più importanti l’intera comunità viene convocata in assemblea plenaria ove tutti possono parlare, ma la decisione ultima è presa dall’abate.
Nessuno per nessuna ragione, senza speciale permesso può uscire dal convento o intraprendere viaggio.
La carestia, la malaria, la peste bubbonica decimano la popolazione. Il convento è l’unico luogo ove sia possibile mettere d’accordo il desinare con la cena e sfuggire al contagio.
Il monastero nasce come una cellula di cristianità in mezzo ad una società devastata, destrutturata come scrive Magdi, pari alla nostra odierna. Credo e spero che possa essere un valido modello per farci recuperare identità e valori cristiani molto sbiaditi nella società attuale.
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