Il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2022 – In attesa del vertice di venerdì (domani 9 settembre), quando i ministri dell’Energia esamineranno una serie di proposte mirate a contenere l’impatto dei rincari energetici, per l’Unione Europea aumenta di ora in ora il rischio di recessione. Che potrebbe essere accelerata dal rialzo dei tassi di interesse dell’Eurozona che verrà annunciato giovedì dalla Bce (Banca Centrale Europea), intenzionata a frenare l’inflazione che ad agosto ha raggiunto il 9,1%.
Secondo un report di Standard&Poor’s, la bolletta energetica dell’Europa (cioè il costo delle importazioni nette di energia) quest’anno «supererà i livelli pre-pandemia di ben oltre 1.000 miliardi di euro», mentre Goldman Sachs avverte che in caso di totale azzeramento dei flussi dalla Russia nel 2023 le famiglie europee potrebbero dover pagare in totale anche 4.000 miliardi in più: il 30% del Pil (Prodotto interno lordo) europeo.
Intanto in tutta Europa gli altiforni si fermano e l’Associazione europea dei produttori europei di metalli non ferrosi, che già da metà agosto hanno annunciato fermi causati dal caro bollette, ha inviato a Bruxelles un appello in cui paventa una «minaccia esistenziale» al futuro del comparto: quest’inverno si decide se queste produzioni, cruciali anche per il processo di transizione Green, vivranno o moriranno, avverte.
Il rischio recessione e la pressione sulle utility (il giro d’affari relativo alla produzione, gestione e distribuzione di servizi quali energia elettrica, gas, acqua) – Oggi anche un funzionario europeo, in vista della riunione dell’Eurogruppo prevista venerdì durante la quale i ministri discuteranno di «coordinamento delle politiche fiscali» in risposta alle ripercussioni della crisi, ha ammesso che il rischio di una recessione dell’Eurozona «non si può escludere». In Germania il calo del Pil è dato ormai per sicuro: l’Ad (Amministratore Delegato) di Deutsche Bank, Christian Sewing, partecipando a una conferenza dell’Handelsblatt a Francoforte ha spiegato che tra prezzi del gas elevati e colli di bottiglia «non saremo più in grado di evitare una recessione».
A questo si aggiunge il rischio di quella che diversi ministri europei hanno definito una possibile «Lehman Brothers dell’energia»: S&P ricorda che «la chiusura di Nord Stream 1» – che Mosca intende confermare fino a quando l’Occidente farà retromarcia sulle sanzioni – «si aggiunge alle pressioni in termini di offerta e di liquidità delle utility europee» che in numero sempre maggiore stanno chiedendo aiuto ai governi per evitare il default.
«Rischi per i servizi di pubblica utilità» – Le società europee di elettricità e gas affronteranno «un inverno ancora più rigido» dopo la chiusura da parte di Gazprom della sua «unica via di approvvigionamento verso la Germania», si legge nel report. Ogni riduzione delle forniture «pesano esponenzialmente sui prezzi di mercato», spiega il responsabile dell’area Emea di S&P, Dubois-Pelerin. Secondo cui le pressioni sull’offerta e la spinta dei governi per lo stoccaggio del gas a qualunque costo «non sono gli unici fattori che continueranno a sostenere prezzi molto elevati del gas e dell’elettricità nei prossimi mesi». Con opzioni di approvvigionamento limitate, «il ripristino dell’equilibrio energetico dell’Europa ora dipende dalla riduzione della domanda in linea con l’obiettivo dell’Ue del 15% per l’inverno». Non solo: «Nonostante l’intervento governativo senza precedenti» sui mercati e sui servizi di pubblica utilità «l’inevitabile riforma del mercato del gas sarà complessa e comporterà molti rischi per i servizi di pubblica utilità».
Quindici acciaierie chiuse in Europa – Sullo sfondo ci sono i nuovi appelli dell’industria energivora a un rapido intervento per salvare la competitività europea. Al 6 settembre, secondo una ricognizione del think tank ucraino “Gmk Center”, 15 acciaierie hanno sospeso o annunciato che sospenderanno la produzione. ArcelorMittal in particolare ha messo in stand-by una capacità produttiva pari a 7 milioni di tonnellate di acciaio grezzo annuo. Le quote di mercato perse dai produttori europei vengono man mano conquistate da prodotto importato, che beneficia di costi dell’energia molto più bassi.
Per i produttori di metalli inverno di «vita o morte» – Intanto il Presidente e il Direttore generale di Eurometaux, l’associazione europea dei metalli non ferrosi di cui fanno parte tra gli altri Kme, Glencore, Portovesme Srl, Laminazione sottile Group, Safimet, hanno inviato una lettera a Ursula von der Leyen e ai presidenti del Parlamento e del Consiglio Ue Roberta Metsola e Charles Michel in cui avvertono che «il 50% della capacità produttiva di alluminio e zinco è già stata costretta a fermarsi a causa della crisi energetica, insieme a significative riduzioni della produzione di silicone e leghe di ferro e impatti sui settori del rame e del nickel. Nell’ultimo mese diverse compagnie hanno dovuto annunciare chiusure a tempo indefinito e molte altre sono sul punto di farlo, in vista di un inverno di “vita o morte” per molte attività. (…) Sappiamo dall’esperienza che una volta che una fabbrica è chiusa spesso la situazione diventa permanente». E se si ferma l’industria dei metalli sarà a rischio anche la “transizione ecologica”: «Metalli comuni, batterie saranno necessari in più ampi volumi per le infrastrutture di rete, i veicoli elettrici, i pannelli solari, le turbine eoliche e gli elettrolizzatori per l’idrogeno». Segue la richiesta di misure temporanee per ridurre i costi e consentire agli Stati di dare aiuti pubblici alle aziende in difficoltà.
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