ANSA, 16 settembre 2022 – E’ ufficiale. Un’istituzione europea, il Parlamento, non ritiene più un suo Paese membro, l’Ungheria, «una democrazia». E sarebbe già grave così.
Invece il rapporto approvato a larga maggioranza dalla plenaria di Strasburgo – 433 voti a favore e 123 contrari – va oltre e bolla Budapest come una «minaccia sistemica» per i valori fondanti dell’Ue in virtù di quel «regime ibrido di autocrazia elettorale» costruito da Viktor Orban.
Ogni ulteriore tentennamento, sostengono gli eurodeputati, sarebbe connivenza e dunque si esorta il Consiglio ad intervenire per evitare, da parte sua, possibili «violazioni del principio dello Stato di diritto».
Il rapporto ha suscitato lo sdegno (nonché il blocco compatto alle votazioni) di Budapest oltre che dei gruppi più a destra dell’emiciclo: Identità e Democrazia (ID) e i Conservatori-Riformisti Europei (ECR). Dove militano i rappresentanti di Lega e Fratelli d’Italia. «Riteniamo che un prerequisito di questo rapporto dovrebbe essere l’obiettività, l’uso di criteri chiari e la stretta aderenza ai fatti, ma ciò ancora una volta non è accaduto», ha precisato una nota della delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento Europeo. «Si tratta – si legge ancora – dell’ennesimo attacco politico nei confronti del legittimo governo ungherese, in una fase difficile per l’Europa nella quale a tutti i livelli si dovrebbe perseguire la strada dell’unità e non quella della polarizzazione per motivi ideologici».
La querelle in realtà arriva da lontano perché già nel 2018 – dunque nella precedente legislatura – l’Eurocamera aveva approvato la richiesta di attivare il meccanismo di condizionalità (previsto dai trattati proprio per eventuali violazioni ai valori fondamentali dell’Ue, come democrazia e Stato di diritto). La relazione indicava 12 aree su cui tenere gli occhi aperti. Ebbene. In quattro anni non solo le cose non sono migliorate, sarebbero persino peggiorate.
La Commissione ha aperto delle negoziazioni con Budapest ma, stando a quanto riferito in aula dal titolare della Giustizia, Didier Reynders, non vi sono «sviluppi positivi da segnalare». Così, a quanto si vocifera, l’esecutivo Ue sarebbe pronto a raccomandare «la sospensione fino al 70% dei 22,5 miliardi di euro di fondi di coesione stanziati per il periodo 2021-27» all’Ungheria.
Bene ma non benissimo, per l’Eurocamera. «La mancanza di un’azione decisiva da parte dell’Ue», recita il rapporto, ha infatti contribuito alla creazione del regime ibrido ungherese, ovvero «un sistema costituzionale in cui si svolgono le elezioni ma manca il rispetto di norme e standard democratici».
Praticamente una piccola Russia all’interno dei confini dell’Ue – e forse non a caso Budapest, spesso e volentieri, ostacola l’azione degli altri 26 Paesi membri contro Mosca. Una comunità d’intenti ritenuta da molti sospetta e che a volte colpisce pure i gruppi politici più filorussi del Parlamento Europeo. Tanto per restare ad oggi, ID ed ECR hanno votato contro la proposta della Commissione sugli Statuti e i finanziamenti europei ai partiti (che punta a schermarli da influenze esterne). A onor di cronaca, le delegazioni della Lega e di FdI in questo caso si sono astenute.
E dunque? Gli eurodeputati ora chiedono che il Consiglio la pianti con la melina e attivi in toto l’articolo 7 dei Trattati, che prevede la possibilità d’imporre sanzioni al Paese membro in deficit democratico sino alla «sospensione dei diritti di voto». Procedura che, sottolineano, richiede solo «la maggioranza qualificata». Intanto pare che il governo ungherese – che ha bollato come «un insulto» il voto di oggi – già lunedì prossimo presenterà un pacchetto di riforme considerate necessarie per convincere Bruxelles a non colpire duro e anzi approvare il suo Recovery, ancora parcheggiato nel limbo. «Misure cosmetiche» per avere «i soldi», giurano in tanti a Strasburgo. Ora serve fare sul serio.
«La nostra presenza nel Governo è garanzia assoluta che sarà liberale, cristiano, europeista e atlantista. Se questi signori, i nostri alleati, di cui ho fiducia e rispetto, dovessero partire per direzioni diverse noi non ci staremmo». Lo ha detto Silvio Berlusconi parlando al Tg3.
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