Dante regista? L’ontologica “cinematicità” della Commedia

Il seguente articolo riporta la relazione descrittiva e analitica, offerta dal sottoscritto, di un intervento di Rosario Castelli, professore associato di Letteratura italiana presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania, in occasione di una conferenza in materia dantesca attinente a uno dei cicli di incontri dell’ADI-SD di Catania. in cui ha proposto una relazione che pone la Commedia dantesca sotto l’ottica prospettica dello specialista dei linguaggi attualissimi dell’arte cinematografica.

L’enorme potenziale letterario della Commedia di Dante è lo stesso potenziale della scrittura in sé, che da sempre, ontologicamente, è fortemente implicata nei diversi piani della sensorialità, specialmente quello visivo. In quanto necessità intrinseca dell’umanità, l’atto narrativo, attraverso il racconto per immagini, preesiste al racconto attraverso le parole. Dante è un autore che mostra una limpida consapevolezza del potere immaginifico della scrittura, che rende la parola strumento comunicativo e di conoscenza ancor più efficace e tangibile.

 

Il cinema ha da sempre attinto alla Commedia per rappresentarla o transcodificarla. I tipi di adattamento cinematografico della Divina Commedia, vanno da quelli più didascalici, che permettono una riconoscibilità certa ed esplicativa dell’opera dantesca, anche sotto forma di trasposizione parziale o di realizzazione di micro-storie dedicate a singoli personaggi; a quelli nei quali il riferimento alla Commedia si presenta come riecheggiamento della fonte dantesca, sotto forma di citazioni di versi famosi dell’opera. A volte, invece, l’allusione o il richiamo esplicito a Dante, ottiene effetti parodici e divertenti. È il caso, ad esempio, di “Totò al giro d’Italia”, in cui lo stesso Dante, durante il film, fa la sua apparizione come personaggio.

Nel porre la questione su quanto di congeniale al cinema ci sia nella Divina Commedia, non è sufficiente addurre il carattere di italianità della scrittura dantesca, rilevando quanto importante fosse il tema dell’identità civile italiana nelle primissime manifestazioni cinematografiche in Italia; non basta, tantomeno, il riferimento al prestigio letterario dell’opera dantesca, che sarebbe servito a liberare il cinema da pregiudizi e da impressioni screditanti, tipici degli inizi.

Invero, la motivazione più profonda della fortuna di Dante nel cinema delle origini, è da ricercare proprio nella forte componente di visualità intrinseca, che la Commedia possiede. In essa l’immaginazione verbale è accentuata e preceduta dalla potenza immaginifica che sostanzia tutta l’opera. È la gnoseologia medievale stessa a essere basata sulla dimensione del “visivo”. L’uomo medievale pensa per immagini. L’atto stesso della conoscenza nasce, nell’uomo medievale, e in Dante, con una percezione iniziale dell’oggetto attraverso la vista, dalla quale la conoscenza procede come atto di svelamento e di scoperta progressiva.

 

Non è un caso, allora, che sia proprio l’Inferno, tra le tre cantiche, quella che ha trovato più fortuna nella transmediazione cinematografica e, prima, in quella delle arti figurative. La commistione di registri stilistici, tipica dell’Inferno, è uno degli indici della capacità di Dante di generare immagini. Dante dà al registro realistico pregnanza concreta, servendosi della trasposizione della realtà mondana nella dimensione ultraterrena (Auerbach).
In questa sede, però, l’interesse diventa quello di individuare con precisione attraverso quali espedienti retorici e stilistici il Poeta sia in grado di descrivere, rappresentare, visualizzare spazi, mimica e personaggi.

 

Dante descrive immagini e scene facendone percepire al lettore il senso del movimento.
La narrazione acquista, così, un imperante carattere di cinematicità e non di staticità. La capacità di raffigurare realisticamente immagini e scene, permette a Dante persino di giocare con la sovrapposizione dei piani sensoriali. Il lettore sembra quasi in grado di percepire stimoli olfattivi, dell’udito e suoni.

 

Rilevante è, soprattutto, il frequente ricorso alla similitudine, tipico procedimento retorico del poetare dantesco. Dante usa la similitudine ogni volta che gli si presenta dinnanzi una situazione nuova. Il Poeta introduce la scena, anticipandone la percezione dell’immagine con una straordinaria ricchezza di particolari, e fornisce, in un secondo tempo, dettagli denotativi su cosa effettivamente gli si ponga di fronte. Tipica, in tal senso, è, ad esempio, l’immagine della “pece”, ai vv.7-18 del canto XXI dell’Inferno. La conoscenza, in Dante, segue proprio questa fenomenologia: la prima percezione è data dalla vista, che viene, poi, completata dal resoconto interpretativo e dalla rivelazione del significato della scena.

 

Affascinanti sono gli esempi che permettono di rilevare il ricorso di Dante alla tecnica del montaggio, come nel canto X dell’Inferno, ai vv. 1 – 136. Si tratta di un procedimento tipico del cinema; invero, non è certo una invenzione cinematografica. Il modo in cui Dante procede, rivela la sua padronanza della antica tecnica della “dispositio”. Il dialogo tra Dante e Farinata, e poi l’improvvisa apparizione e quindi sparizione di Cavalcante Cavalcanti, sono un esempio fantastico della maestria del Poeta di contrapporre, in maniera fortemente teatrale, personaggi dalle fisionomie psicologiche diversissime.

 

Interessanti sono poi alcuni passi in cui si nota il ricorso di Dante alla tecnica della dissolvenza come nei canti III, IV, V e XXVI dell’Inferno. Da sottolineare, in particolare, il valore dell’espediente narrativo dello svenimento come analessi, quando Dante lascia che il lettore immagini cosa sia successo dopo lo svenimento del personaggio, evitando, così, di spiegare alcuni momenti di passaggio o eventi prodigiosi incomprensibili.

 

Efficace, nella Commedia, anche la tecnica del flashback, di cui evidenti esempi sono quello del racconto di Francesca da Rimini nel canto V dell’Inferno o quello del racconto del conte Ugolino nel canto XXXIII, sempre dell’Inferno.

 

Di grande impatto visivo è anche la tecnica dello “zoom” (canto XXXI dell’Inferno e, soprattutto, canto IX dell’Inferno), specialmente quando Dante, nel restringere lo sguardo, dopo una vista ampia e generale, attiva una commistione sinestetica dei piani sensoriali; o quella dello “slow motion”, cioè del rallentamento della scena (canto XVII dell’Inferno), con un forte amplificarsi di sensazioni e percezioni. Effetto di allungamento scenografico ottiene anche l’abile ricorso a procedimenti retorici che agiscono al livello del significante, con la ripetizione, ad esempio, di consonanti liquide allitteranti, nel verso, che danno il senso della dilatazione sonora e quindi dell’ampliamento di tutta la rappresentazione.

 

Per sottolineare l’attenzione di Dante alla dimensione del suono, ricorrono, poi, le occasioni del fuoricampo sonoro, come nei canti IV e XXXI dell’Inferno; o, ancora, il cosiddetto “Voice over”, secondo la tecnica per cui il Dante narratore parla, rivolgendosi al lettore, sostituendo il Dante personaggio.

 

In conclusione, si propone uno sguardo al film “L’Inferno” del 1911, esempio forse più famoso della translitterazione della Divina Commedia nella storia del cinema, per la fedeltà al testo dantesco e per i rimandi figurativi, ispirati alle famosissime illustrazioni di Gustave Dorè.

 

L’attenzione a questo film fornisce suggerimenti validi per stimolare la riflessione su alcuni problemi di approccio alla didattica, a partire dalle questioni affrontate. Così come “L’Inferno” rappresenta il tentativo di realizzare, attraverso il ricorso alla neonata arte cinematografica, una sintesi tra cultura alta e cultura popolare, tra istanze prettamente letterarie e nobilitanti e aperture a prospettive smaliziate e di fruizione disimpegnata; allo stesso modo la passione per lo studio e per la letteratura devono poter passare attraverso forme di linguaggio con le quali gli studenti hanno familiarità, per avvicinarli e per indurli a riconoscere identità e familiarità di temi con altre forme di linguaggio più tradizionali. Non necessariamente la dimensione visiva rimanda a canali comunicativi da screditare. Non c’è antagonismo tra le diverse forme di linguaggio quando l’obiettivo è capire e farsi capire.

7 commenti su “Dante regista? L’ontologica “cinematicità” della Commedia

  1. Caro Davide ,
    Apprezzo la sensibilità del Prof. Castelli e tua naturalmente nel celebrare la potente poetica del grande vate Dante e in particolare l”istituzionalizzazione del fatto che fra i diversi livelli in cui si dipana la sensorialità offerta dalla Divina Commedia, quello “visivo” è di gran lunga il prevalente attraverso la “visualità intrinseca” che la Commedia stessa possiede.Tralasciando la pur convincente analisi sulla valenza cinematografica del messaggio dantesco, il mio commento vuole solo sottolineare quanto sia appropriata questa affermazione e quanto essenzialmente la parola possa solo descrivere, integrare e confermare la preesistenza dell’immagine rispetto al racconto attraverso le parole.
    Nelle riflessioni oggetto della rubrica “Sciàveri di tregua” che , grazie alla sapiente logica mediatica di Magdi, pubblico sul nostro sito “Casa della Civiltà”, io considero esigenza prioritaria quella di anteporre , attraverso il soggetto visivo , i colori e il profilo esplicativo dell’immagine l’espressione poetica e il messaggio offerti dalle parole .
    Non disdegno anche l’ambizione mia di offrire una serie di accoppiamenti sonori che le immagini stesse dovrebbero poter risvegliare nel lettore attraverso la recitazione dei versi stessi.
    Questa ambizione sfocia anche nello sdegno rispetto alla sequela di stupri a cui la nosta lingua viene barbaramente sottoposta nella pratica mediatica e nel coraggio da parte di qualcuno di offrire quel filo di speranza che la concreta produzione linguistica e letteraria di valore apporta alla causa comune di poter godere del messaggio poetico accanto a una cornice emozionale e sensoriale che lo descrive anticipandone la narrazione tramite parole .
    Grazie Davide!
    .

    1. Grazie a te, carissimo Giorgio, per aver apprezzato il mio articolo nel quale è condensato, grazie alla lezione di Castelli, un saggio della inarrivabile potenza creativa di Dante. Nella Cantica dell’Inferno il Poeta predilige, è vero, la dimensione del visivo. Ma egli procede a una progressiva rarefazione stilistica man mano che il viaggio conduce il protagonista attraverso luoghi e dimensioni dell’anima che l’impetuosità delle immagini non basterebbero a esprimere. È altresì innegabile riconoscere quanto all’uomo sia consustanziale la poesia e il suo potere comunicativo ed evocativo. L’uomo si esprime attraverso la poesia, a dimostrazione che l’uomo, dentro di sè, compartecipa anch’egli del potere creativo proprio della divinità.

      1. Eccezionale scoprire come nell’opera, non soltanto il linguaggio figurato e il simbolismo vivido s’intrecciano alla narrazione, ma anche altre tecniche, che precorrono quelle cinematografiche, contribuiscono a fare appello ai sensi. Il genio di Dante si conferma sempre più universale. Molte grazie Davide!

        1. Esatto Silvia. E aggiungere che Dante è enorme, immenso. Il nostro debito nei suoi riguardi è incolmabile. Possiamo dire che Dante ci è padre, nel senso proprio che il suo esempio non ci consente di legittimare tentativi di eluderlo, perché, davvero, ha permeato di sé il futuro. Il che non significa, però, che possiamo permetterci di collocarlo in improbabili posizioni di asservimento nei riguardi delle manifestazioni letterarie e culturali in genere di questo secolo o del precedente, quasi solo per giustificarne la dignità di essere studiate, lette, o semplicemente tenute in conto. Credo che anche nello stabilire rapporti di parentela, si debbano rispettare le giuste precedenze. E questo è un insegnamento che la società dovrebbe acquisire a tutto tondo, anche a prescindere (ma neanche tanto) dal discorso della letteratura. Perché, mi si perdoni la venatura ironica, di genitori che fanno da servi ai figli mi pare che se ne stiano vedendo fin troppi!

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