Canto questa natura immortale
Mi abbandono come tanti
Lascio che parli il respiro delle parole
Inseguendo
La loro danza intorno al castello dei sentimenti
Nel labile intreccio della geometria delle cose
Sento dentro vibrare
Il fugace intimo suono delle corde
Dell’anima
Trafitto dalla spada dei sensi
Mi trascino ferito sull’aspro sentiero dell’esistenza
Sedotto dalle ali del pensiero
Rivivo l’illusione del sogno
Cancellato
Esiliato
Soffocato
Dalla frettolosa corsa degli eventi
Dipingo le pause del mio silenzio
Intreccio
Le note ardite della speranza
Nostalgie e rimpianti
Euforie e lamenti
Passioni e malinconie
Al segno ostile del dolore
Non so ancora se è la luce
Dolce e diffusa dell’autunno
Di questo tempo senza età
O la suggestione che ancora pervade
La ballata delle lance spezzate
E dei mulini indomiti della Mancia
O la magica nota di una
Vecchia melodia
Amica del mio pensiero
Improvvisata la sera dell’incontro
Abbandonata nei cassetti del ricordo
Trascinata fuori dalla polvere
O Il cinguettio di un passero
Fra i rami dondolanti
Del bosco di gaggìe
Sopra la città
O una lirica scritta per
Celebrare
La fine gloriosa dell’anima
Indomita di
Un cavaliere errante
O l’incanto del sogno della prima
Goccia di rugiada
Nei prati
O la luce della principessa delle tenebre
Abbagliante ed intensa
Nel castello colorato di fiaba
Oltre l’orizzonte
O profondi aliti di vento
A sussurrare
Dietro i mulini scricchiolanti dell’altopiano
Sembra non ci siano angeli
In questa notte serena
Solo una stella piccola e lucente
Nella geometria consueta
Tracciata nel cielo
A salutare gli ultimi istanti della vita
Orgogliosa e nobile
Dell’eroe di carta
La mano calda del vecchio servo fedele
Una quercia testimone di secoli
Pochi fiori bianchi sbocciati
Nel miracolo della vita
Gli occhi del cavallo
Stanchi del lungo viaggio
Verso l’eterno
Il pallore trepido della fine
E quell’ultima nota
Tenue
Insistente
Delicata
Perenne
Tanto sottile da confondersi
Con il sospiro
Del flauto
Quasi sospeso
Nell’aria fresca
E serena del mattino
.
.
.
Foto di copertina: Dirck Van Baburen “Il suonatore di flauto”
Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.
È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.
Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.
“Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.
Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.
Grande il nostro poeta. Non sempre commento ma da amante della poesia leggo tutto ciò che scrivi. Grazie Giorgio per queste carezze all’anima.
La tua visita occasionale, cara Susanna, rappresenta per me esattamente il valore che intenderei dare alle mie “riflessioni” cioè l’ambizione di condividere momenti della nostra spiritualità che ci arricchiscono nella loro intima ricerca della verità, dello sdegno di fronte alle intemperie dello status quo , del coraggio necessario a superare gli ostacoli del quotidiano e alimentare la speranza in un futuro migliore.
Grazie a te.