DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Il saggio sull’ “Epistolario” di Giacomo Leopardi: il possesso spirituale della realtà e Leopardi uomo “maggiore della fortuna”

L’epistolario leopardiano è un prezioso documento letterario e umano della personalità del Poeta. Per De Sanctis è facile accordare all’ “Epistolario” di Leopardi un valore artistico e letterario pieno, in virtù dei criteri che si rifanno alla propria poetica, secondo cui un’opera è tanto migliore quanto più rispecchia il contenuto umano di chi la scrive (e per questo dice che chi si avventuri nella loro lettura, “troverà”, nei testi dell’epistolario leopardiano, “quello che lo scrittore dettò aver l’uomo pensato, sentito e fatto” , per la diretta rispondenza che c’è tra questo materiale vivente e le opere in versi che ne sono il corrispettivo poetico); ma l’Epistolario è un materiale letterario prezioso soprattutto perché documento diretto della vita e dell’esistenza del Poeta, attraverso cui De Sanctis può spiegare, attingendo direttamente alle sue cause e ai suoi moventi esistenziali, la formazione della personalità umana e poetica di Leopardi, nonché individuare i fondamenti del suo pensiero.

 

L’intento di De Sanctis sembra, qui, quello di riscattare e di affermare i propositi esistenziali positivi, dagli altri non intravisti, impliciti nel pensiero leopardiano, generalmente studiato, invece, in un’ottica pessimistica e perciò rinunciataria alla vita e alla realtà dell’esistenza.

Tali propositi sono riconosciuti da De Sanctis nei valori assoluti e universali su cui si fonda tutta la vita del poeta, il quale salvaguarda una propria integrità morale mantenendola, a livello coscienziale, intellettivo e sentimentale, nonostante l’apparente lontananza dagli altri, attraverso un atteggiamento psicologicamente incline alla vitalità e a una pratica esistenziale, anche se di isolamento e di distacco, cui aderisce gioiosamente.

 

Questa pratica è dimostrata dal critico rivalutando il proposito di una rifondazione costruttiva della vita che Leopardi costantemente suggerisce nell’atto stesso di chiudersi in sé, dimostrando, con esso, non la volontà di allontanarsi dagli altri ma l’impossibilità di vivere nel mondo e di soddisfare, all’esterno, con l’agire pratico e una partecipazione diretta e socialmente integrata all’esistenza, l’esigenza stessa profondamente sentita di vita. 

Questi propositi maturano proprio in quella dimensione intima, tutta proiettata all’interno, in cui vive Leopardi, che manca della possibilità di azione e di un intervento “effettivo” nella storia.

 

Egli agisce attraverso un’attività del pensiero che non è “corrosiva”, né tantomeno intaccata da mistificanti alterazioni evasive e di fuga mistica dalla realtà, ma che segue un percorso diverso per giungere, comunque, e con più lungimirante fermezza, alla conquista della realtà stessa, non possedendola materialmente, ma secondo un possesso, mentale, a essa non realmente riducibile.

Dice, infatti, De Sanctis:

 

Ma a Leopardi l’universo fu muto, e la vita senza degno scopo, a cui potesse la forza invitta dell’animo; a lui crudele la fortuna e gli uomini. In giovane età vide sparita per sempre la sua giovinezza; visse oscuro […]; non gli rise mai sguardo di donna, solitario amante di sua mente stessa, a cui ponea nome Silvia, Aspasia, Nerina. Onde, con precoce ed amara conoscenza quello che noi stimiamo felicità, reputò illusione ed inganni di fantasia; gli obietti del nostro desiderio chiamò idoli, ozi le nostre fatiche, e vanità tutto. Così ei non vide quaggiù cosa alcuna pari al suo animo, che valesse i moti del suo cuore; […].

 

 

E ancora:

[…] La quale infermità avvalora quella disposizione di animo, di cui s’è parlato di sopra: ché poco a poco l’infermità dell’animo e del corpo diviene un solo soffrire, con qualità comuni ed indivise, e quella finzione che noi chiamiamo metafora, per la quale lo spirito prende faccia visibile, e i corpi son circonfusi di alcunché di etereo che ce li ruba agli sguardi, diventa in lui una crudele realtà.

 

Si tratta di un riscatto, seppur non privo di dolore, mai alleviato, della vita, attraverso la finzione e la “metafora”, dalla morte nella realtà dell’esistenza materiale.

Significa riconoscere centralità alla dimensione dello spirito, che “prende faccia visibile” e “diventa in lui crudele realtà”, offuscamento in un’eterna opacità, della dimensione del corpo. 

 

E certamente è una rivalutazione, in pieno, dell’atteggiamento contemplativo, non più ridotto a forma d’allontanamento disimpegnato dalla realtà, né segno, come credevano alcuni, di misantropia o freddezza caratteriale del Leopardi, ma rielaborazione poetica di una materia dolorosa, che esalta tanto più la sua umana dignità quanto più egli è afflitto dalle sofferenze, fisiche e morali. 

 

È proprio la conquista di una dimensione altra, tutta mentale e sentimentale, soggettiva dell’esistenza, e quindi una conquista della dimensione della poesia, dello studio e della meditazione, che dà al Leopardi la dignità, e quindi la magnanimità, di una vita non turbata nella sua sostanziale serenità.

Perché “la dignità adorna l’infortunio” e, attraverso essa, il poeta

 

si rileva più alteramente uomo, maggiore della fortuna;

 

e, soprattutto, 

questa dignità non è posta solo in quella specie di virtù negativa, ch’è detta decoro, ed è quel non chinarsi mai per nessuna cagione ad atto men che nobile e gentile, […] ma vi è una dignità di altra sorte, […] la quale è quel tener l’animo sempre alto su’ casi umani, e non lasciar che altri abbia la gioia di aver potuto anche un istante turbare la tua serenità.

 

Una dignità, quindi, che è una

 

qualità nobilissima ed antica: in questo fiacco secolo, non paziente de’ mali e non ardito a’ rimedi, ammirata più che imitata.

 

Col che si vuole indicare l’eccezionalità della posizione del Leopardi che trova già in questa, che è una condizione psicologica e sentimentale, prima che poetica e letteraria, un motivo della propria irriducibilità alla cultura e, in generale, alle condizioni del suo tempo, rispetto alle quali egli si pone in netto rilievo e in divaricante alternativa.

 

È la conquista, quindi, della capacità di non farsi coinvolgere nel turbolento svolgersi dei fatti e di mantenere un’autonomia meditativa e libera da condizionamenti degeneranti, rispetto a una propria individuale dignità morale, che gli consente di osservarli e di giudicarli obbiettivamente,

 

serbando in mezzo alle calamità il cuore giovane e affettuoso.

 

Il fatto è che Leopardi è votato all’amore proprio perché è naturalmente disposto al dolore. 

Egli si pone in un rapporto, rispetto al proprio tempo, tale che non ne risulta interprete, ma assume un ruolo di profeta di un tempo a venire che porterà a un risveglio, a una rinascita, a un “non lontano risorgimento”.

 

Leopardi si addolora per le sue avversità fisiche, di cui si rammarica, reagendo, come è normale, in maniera sofferta a quel forzato distacco dal mondo che esse comportano, e si addolora, ancor più, per quel male non fisico ma morale, che è dato dall’indifferenza degli uomini, dalla loro corruzione, dal senso di nullità che lo circonda, che si riversa direttamente su di sé, in quanto deriso ed incompreso e, al contempo, vale in senso generale, come segno di tutta un’epoca.

 

Il dolore che “sente” nel guardare al mondo, comporta l’amore che ha vivo dentro di sé, frutto della sua sincera commozione e che egli stesso nutre in riservata e solitaria segregazione.

La misura per un recupero di più vera umanità è proprio l’isolamento e la meditazione.

 

4 commenti su “DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Il saggio sull’ “Epistolario” di Giacomo Leopardi: il possesso spirituale della realtà e Leopardi uomo “maggiore della fortuna”

  1. Si caro DAvide,
    questi tuoi approfondimenti sono mirabili esempi di scienza e conoscenza che ci restituiscono alcuni degli aspetti diventati (anche se con certa e cosciente superficialità) dominio comune dell’etichetta che anche i “migliori” non si stancano di applicare al grande Leopardi . Il tuo lavoro di interpretazione a trecentosessanta gradi (senza compromettenti scorciatoie di giudizio) della produzione poetica ci rende un lodevole e valido servizio dal punto di vista umano oltre che letterario. Non dimenticando che detto servizio ritorna idealmente all’autore stesso come riconoscimento del valore universale del suo messaggio. Il profondo rispetto con cui tu ci aiuti a capire la genesi umana di una concezione del mondo complessa e insieme avvincente come quella di Leopardi è il degno e doveroso atteggiamento che certi “esperti” studiosi sembrano , in nome di colpevoli omissioni e banalizzazioni di pubblico dominio, aver dimenticato.
    Grazie Davide

    1. Ti ringrazio Giorgio. L’idea di poter fare cosa gradita a chi si avvicina alla lettura delle mie analisi, dalle quali coglie qualche valido e interessante elemento, è motivo di grande gratificazione. Che poi si possa dire addirittura che questo poco torni utile finanche al Leopardi stesso non lo so. Cerco di limitarmi a non fare di lui e della sua poetica un abuso interpretativo o una lettura poco pertinente.

Lascia un commento

error: Questo contenuto è protetto