La storia che vi sto per raccontare è autentica e vissuta in prima persona.
È una di quelle storie che vorrei riempissero i telegiornali ma che, ahimè, lasciano sempre il posto a vicende drammatiche, efferate e tragiche.
Si sente dire spesso che una buona notizia non è una notizia. Giornalisticamente è vero. L’essere umano è quasi sempre attratto più facilmente da un fatto cruento che non da una storia a lieto fine.
Per quanto mi riguarda non è così.
Spero di poter toccare la sensibilità del cuore di molti lettori che certamente come me, vorrebbero vivere in un mondo migliore, specie di questi tempi.
Diario di un viaggio in Marocco
Ho 52 anni e frequento il Marocco dal 1979, anno in cui vi arrivai assieme alla mia sorellina e a mia mamma che era allora vice-Console d’Italia presso il nostro Consolato Generale nella città dell’omonimo film con Humphrey Bogart.
Alcuni anni fa ero seduto al tavolino di un caffè su una spiaggia della costa occidentale del Marocco tra Rabat e Casablanca. Abitavo lì accanto, e mi ci recavo quasi ogni mattina portando con me solamente pochi soldi sufficienti a pagare un nous-nous (che in dialetto marocchino significa mezzo-mezzo, ossia quello che da noi chiamiamo caffellatte) e a lasciare una mancia al cameriere.
Ero seduto e guardavo dei bellissimi cavalli arabi che i proprietari usano far camminare sulla spiaggia bagnata dal poderoso Oceano Atlantico, quando un ragazzo sulla trentina e con gli occhi chiari si avvicinò al mio tavolino.
Non è affatto inusuale incontrare marocchini dagli occhi verdi o azzurri. É una caratteristica molto diffusa tra i berberi che sono gli abitanti autoctoni del Marocco, ossia quelli che abitavano questo Paese già dai tempi dell’Impero Romano e che proprio da lì prendono il nome. Berbero infatti deriva dal termine greco-romano barbaro, che indicava chi non parlava il latino o il greco.
Con un sorriso dolcissimo il ragazzo dagli occhi verdi posò sul mio tavolino un biglietto sul quale era scritto in arabo e in francese che egli rappresentava una associazione di sordomuti e che vendeva degli oggettivi per potere sovvenzionare la propria comunità. Mi fece capire a gesti che potevo scegliere l’oggetto che preferivo e che avrei pagato il prezzo che desideravo.
Gli risposi in arabo, facendo attenzione ad articolare lentamente affinché lui potesse leggere il mio labiale, che mi restavano solamente, mostrandogliele, due monete da dieci Dirham l’una (circa €1 a moneta) e gliele diedi. Le accettò con un sorriso che traduceva gioia e sorpresa (un caffè costa dieci dirham) ricoprendomi di benedizioni.
Mi invitò a scegliere l’oggetto ma gli feci capire che non era necessario che me ne desse uno in cambio. Insistette e per non ferire la sua dignità accettai a condizione che fosse lui a farlo al posto mio. Così me ne porse uno che io presi senza neppure guardare e che riposi in una tasca.
Una storia commovente
In quel momento si avvicinò al tavolino un vecchio mendicante, di quelli le cui rughe sul volto sembrano raccontare storie di vita incredibili. Con grande rammarico gli dissi che non avevo più denaro e che quel poco che mi era rimasto l’avevo dato al giovane sordomuto.
Il sordomuto, sempre a gesti, mi fece capire che desiderava dividere il denaro che gli avevo pocanzi dato con il vecchietto, chiedendomi se la cosa mi dispiacesse.
Era talmente evidente la commozione nei miei occhi per quel gesto di fratellanza, di altruismo, di condivisione, che non ebbi bisogno di rispondere, così che il sordomuto diede una delle due monete al mendicante.
I due si abbracciarono, mi salutarono con un grande sorriso benedicendomi agli occhi di Allah e si allontanarono ognuno per la propria strada.
Io rimasi lì, senza inghiottire né sputare, con lo sguardo appannato fisso verso l’orizzonte.
Mia madre era deceduta da un mese. Mamma da anni collezionava oggetti a forma di rana, di ogni tipo. Dopo aver percorso un centinaio di passi che separano la spiaggia da casa mia, infilando la mano in tasca per prendere le chiavi del portone, toccai l’oggetto che il sordomuto aveva scelto per me. Lo tirai fuori e lo posi al centro del palmo della mano e mi accorsi che era un ciondolo tempestato di tante piccole rane.
https://www.romait.it/marocco-un-racconto-in-prima-persona.html
Mi ha molto colpito il tuo racconto Marcello sia per la vicenda che li ha visti protagonisti sia per il segno della rana. Queste due persone, che certamente non vedremo mai nei grandi consessi internazionali dove vanno quelli che si ritengono i migliori, hanno dato a tutti noi una grande lezione morale di altruismo e fratellanza.
Io credo davvero che la tua mamma abbia voluto mandarti un segno. E’ come se ti avesse voluto manifestare la sua presenza, il suo infinito amore per te.
Sono davvero colpita da entrambi i fatti che hai raccontato.
Grazie per averli condivisi con noi.
La storia che racconti, caro Marcello, mi colpisce interiormente e mi emoziona e per alcuni aspetti mi suscita ricordi.
Colpisce subito la mia fantasia il paesaggio e la visione da te descritta dei cavalli arabi che corrono liberi sul bagnasciuga di una spiaggia assolata.
I cavalli arabi appartengono ad una razza equina tra le più antiche e spesso sono i veri protagonisti di riuscite manifestazioni tradizionalistiche e folcloristiche di appartenenza al mondo arabo.
Il berbero del tuo racconto con gli occhi azzurri mi ricordano alcune mie conoscenze ed incontri di quando vivevo in Algeria.
I berberi sono originari del Nord Africa e amici mi spiegavano, se ricordo bene, che i berberi non si sentono arabi e quelli che ho conosciuto provenivano dalla Regione Cabilia, una regione montagnosa nel nord Algeria e che la popolazione parla un particolare dialetto berbero.
Quello che mi tocca più intimamente e che mi pare quasi di condividere è il tuo sentire, l’emozioni che provi nell’afferrare con mano il vero significato della Carità e Fraternità cristiana.
La Carità che è poi l’amore cristiano che unisce tra loro gli uomini per portarli e innalzarli tutti alla Grazia del Cielo.
La fraternità, l’affetto quasi fraterno, l’amicizia e la solidarietà nel dividere quelle poche monete così essenziali per i due nel loro vivere quotidiano.
Si può parlare benissimo di azione trascendente come nel caso del ciondolo con le rane.
La parola trascendente sta ad indicare qualcosa, dei fenomeni, segnali, delle premonizioni provenienti dal Divino e che l’umana mente non percepisce oppure non li vede o non li comprende affatto.
Penso che sia questione intima di sensibilità e di credo religioso insito in ciascuno di noi.
Credo che più ci sentiamo amati dal Signore, tanto più riusciamo a vedere con gli occhi del cuore piuttosto che con gli occhi della ragionevolezza quanto siamo calati in un mondo di carità e fraternità.
Francesco Violini