LA POESIA di Giorgio Bongiorno: “La nave”

Pareva che quel giorno potessi andarmene lontano
Come fanno i gabbiani del porto
Per il mio lungo viaggio
Affidare a quel gigante bianco
Grattacielo del mare
Un po’ della mia voglia
Di fuggire
Adolescente senza meta
Da quelle severe pietre della terraferma
Da quelle piazze tutte uguali
Dai campanili delle chiese
Dal chiasso degli incroci metropolitani
Da tutti quei ricordi della campagna
Dai suoi profumi
Dal suo idillio bucolico
Dalla nostalgia della pianura
Dalle anse nebbiose del fiume
Dai lunghi
Interminabili rettilinei d’asfalto
Volevo correre
Unirmi a quella folla di destini
Festante
Multicolore
Sullo specchio azzurro del mare
Così
Solo per l’ebbrezza di partire
Rimasi del tempo con lo sguardo rivolto
A quella grande nave
Il cuore pieno di desiderio
E gli occhi di un bambino stupito
Senza accorgermi che in poco tempo quella enorme sagoma chiara
Grande icona dei miei desideri
Sarebbe scivolata via
Adagio
Come fanno le chimere
E poi sarebbe svanita insieme all’immagine di un sogno
Uno di quelli
I cui colori ti rimangono addosso
Nella magia delle ombre lunghe
Incontro al crogiolo
Di quel tramonto di fuoco
Su quella grande nave bianca
Carica dei fardelli del mio desiderio
Oltre l’arco della baia

Mais les vrais voyageurs sont ceux-là seuls qui partent
Pour partir; coeurs légers, semblables aux ballons,
De leur fatalité jamais ils ne s’écartent,
Et, sans savoir pourquoi, disent toujours: Allons!
Ceux-là dont les désirs ont la forme des nues,
Et qui rêvent, ainsi qu’un conscrit le canon,
De vastes voluptés, changeantes, inconnues,
Et dont l’esprit humain n’a jamais su le nom!
(C. Baudelaire)

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Foto di copertina: “Grattacielo del mare” dal web

Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.

È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.

Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.

Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.

Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.

2 commenti su “LA POESIA di Giorgio Bongiorno: “La nave”

  1. La nave, caro Davide, è solo il sogno bambino di evasione e nella mia vita rappresenta una icona del viandante (per lavoro ho vissuto in Giappone, USA, Svizzera,Austria, Cecoslovacchia, Ungheria, Germania, Francia e Inghilterra, Corea, Singapore, Russia e Irlanda).
    La nave porta poi, in età avanzata, un carico di rimpianti e di nostalgia delle radici che insegue benigno i tuoi passi attarverso semplici visioni molto diverse dalla realtà che hai potuto sperimentare.
    La nave, con quella silenziosa quanto fulminea scomparsa dalla scena è solo il veicolo contemporaneamente rappresentativo dell’evasione e del ritorno nostalgico alle radici che costituiscono il tuo intimo essere e il cui “profumo”spirituale mai ti abbandona.

  2. La scena di un grattacielo del mare che, al tramonto, parte e porta con sé i desideri di un viaggiatore errante col pensiero, la condivido. L’ho vista anche io e a volte la rivedo nella mia immaginazione, restando fermo tra gli spazi che mi sono familiari, consapevole in fondo di non volermene andare.

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