DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “La dimensione dell’interiorità e il mondo esterno nelle poesie delle Occasioni di Eugenio Montale”

Gli anni tra il 1937 e il 1939 furono particolarmente critici per la storia del nostro Paese, che attraversava una fase delicata dell’affermazione del regime a seguito della proclamazione dell’impero fascista e a causa della partecipazione dell’Italia alla guerra di Spagna. L’atteggiamento dei letterati del tempo, nello specifico degli uomini che avevano puntato alla coniugazione di scrittura letteraria e di impegno politico, fu generalmente caratterizzato da un brusco abbandono della militanza diretta in vista di una chiusura in se stessi, atta a siglare una netta separazione tra la sfera pratica e quella del lavoro letterario.

Sembrò affermarsi la convinzione che l’atto di scrittura letteraria dovesse assumere la funzione di difesa dalla dimensione esterna della vita, che la dimensione intima e soggettiva dell’ispirazione poetica potesse configurarsi come unica via di scampo dalle mostruosità esterne del mondo e tale da suggerire la riduzione della vita a quella dei momenti in cui svolgere l’attività artistica.

Significativo parametro letterario della drammatica frattura vita-arte, è l’opposizione interno-esterno che Romano Luperini indica come caratteristica di diversi componimenti di Eugenio Montale risalenti a questi anni e pubblicati nella raccolta Occasioni. Nelle poesie delle Occasioni l’interno è il luogo dell’umanesimo. In esse è prevalente la dimensione simbolica rappresentata dalla casa. A differenza di Ossi di seppia, che appare chiaramente un libro aperto agli spazi esterni, ai paesaggi, specialmente quelli caratterizzati dalla luce del meriggio, dalla presenza del mare e, in genere, dagli elementi della natura, Le occasioni contiene componimenti come Vecchi versi, prima poesia della raccolta, in cui si descrive proprio l’interno di una casa, La casa dei doganieri, Nuove stanze, Tempi di Bellosguardo e Notizie dall’Amiata.

Secondo un’interpretazione strutturalistica, il critico Angelo Marchese rileva che tutta la raccolta delle Occasioni è caratterizzata dalla contrapposizione interno-esterno, tale che l’interno rappresenta sempre, o quasi, l’elemento positivo, mentre l’esterno è connotato negativamente. L’interno, specifica Luperini, “corrisponde al momento dello studio e dell’attività intellettuale, propizio al momento della scrittura e dunque all’apparizione della donna-angelo, d’altronde emblema del valore della cultura e della poesia contrapposto all’ignoranza degli uomini-capre e alla barbarie del fascismo e del nazismo”. In Notizie dall’Amiata, infatti, si legge: «e ti scrivo di qui, da questo tavolo/ remoto, dalla cellula di miele/ di una sfera lanciata nello spazio […]». Gli spazi interni si presentano come quelli che fanno da contesto all’atto della scrittura e dello studio, mentre quelli esterni sono intesi come uno spazio minaccioso, che mette in pericolo quello intimo dell’anima e del raccoglimento.

Di frequente viene introdotto un elemento che fa da confine tra interno ed esterno, come una finestra, tale da dividerli e distanziarli. Alla dimensione dell’esterno l’autore si riferisce come ad un ambiente indifferente, fatto di figure senza anima, di “automi” (Mottetti), oppure come scenario di guerra (Nuove stanze), finanche come luogo d’origine di mostruose locuste divoratrici di libri (Tempi di Bellosguardo).

Montale viveva a Firenze sin dagli anni Venti. La cultura fiorentina degli anni Trenta del Novecento venne definita da Carlo Bo “cultura dell’anima”, a voler proprio significare questo comune bisogno di chiusura e di difesa di sé, capace di accomunare diversi intellettuali del capoluogo toscano di quegli anni.

Gli uomini di cultura contrapponevano al fascismo la loro aristocratica intellettualità nutrendo il sogno di una patria ideale in cui si rifondasse il senso più intimo di un’umanità violata. L’auspicio era quello della ricomposizione della drammatica frattura determinata dall’irruzione di una forza ostile e minacciosa proveniente dall’esterno.

Invero, l’intero mondo politico era coinvolto in quel tempo in un dibattito in merito a questioni ideologiche che coinvolgevano il rapporto tra gli intellettuali e la società. Bottai, allora ministro della cultura, aveva individuato una precisa linea divisoria tra la “cultura-azione”, che perteneva alla dimensione delle masse ed era gestita direttamente dal regime, e la “cultura-laboratorio”, che esprimeva, invece, la ricerca solitaria e difficile di scienziati e scrittori, rivolta alle élite.

La fondazione di una sorta di centro privato culturale, una repubblica delle lettere, faceva quindi parte di una strategia politica, non era solo frutto della fantasia dei letterati.

Ma le prospettive di fallimento di questi propositi di salvezza e di rifondazione erano destinate a presentarsi in maniera ineludibile in virtù dell’approssimarsi della seconda guerra mondiale. Il poemetto Tempi di Bellosguardo si conclude alludendo a un futuro che preannuncia catastrofi e barbarie. La poesia e la letteratura parevano destinate a una disastrosa sconfitta determinata dalle mostruosità della guerra e dall’affermarsi prossimo di una società a economia neocapitalistica che avrebbe configurato una società di massa e dell’omologazione.

Il contrasto tra la dimensione dell’interiorità e del privato e la dimensione del mondo esteriore, quella delle cose, dissacrante rispetto all’intimità raccolta del sé, quasi topico nella storia letteraria universale, assume una configurazione specifica in riferimento alla situazione italiana degli anni Trenta del Novecento.  

L’Italia era un Paese alle soglie di un cambiamento epocale, quasi come quello di oggi. Gli elementi di analogia sono molteplici. Con una differenza significativa, però. Che quel mondo tutto votato all’esterno si è poi materialmente realizzato.

Oggi non si tratta più di proteggersi da un pericolo. La speranza, semmai, è quella di tornare a ridare centralità, da zero, a quell’intimità individuale che rappresenta il carattere specifico, sul piano esistenziale e psicologico, dell’atteggiamento che rende possibile l’approfondimento culturale e l’ispirazione poetica. E per farlo bisogna ripartire proprio da un bisogno che si addice, a livello sostanziale, all’essere umano. Cioè quello di riconoscersi in un “noi” che permetta di eleggere, tra tutti, solo quelli che meritano, che si distinguono dagli altri per delle qualità che li caratterizzano.

È necessario individuare i valori comuni da condividere e stringervisi intorno, allo scopo di riconoscere la propria identità come individui e come popolo, affinché quella “repubblica delle lettere” che gli scrittori degli anni Trenta auspicavano di fondare, sia anche la sostanza che identifica una società capace di rinnegare ciò che non le è proprio e di edificarsi sul merito, sulla profondità e sull’esaltazione delle proprie peculiarità.

2 commenti su “DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “La dimensione dell’interiorità e il mondo esterno nelle poesie delle Occasioni di Eugenio Montale”

  1. Non ho mai creduto troppo ai sodalizi letterari basati su preziose peculiarità del tutto ostentate che al momento della battaglia facilmente evaporano a favore di standardizzazioni eterodirette più dannose che miracolose. Ho invece sperimentato l’esilio in casa propria e la solitudine sul campo nel momento della realizzazione concreta di un “noi”per forza di cose fittizio, ipotetico se non del tutto teorico. La meritocrazia rimane come lo è stato nel passato un miraggio nel deserto del “noi” in cui ancora prevalgono i venti della menzogna, dell’intolleranza , della simulazione e ahimè talvolta della volgare acquiescenza ai modi più o meno bruschi del potere di turno.Ma forse mi sbaglio.

    1. Non ti sbagli, caro Giorgio. Il clima in cui hanno vissuto i letterati degli anni Trenta del secolo scorso è sorprendentemente simile, a mio modo di vedere, con quello che caratterizza il nostro “oggi”. Ne sono rimasto particolarmente colpito e questo articolo che ho steso rileggendo testi e saggi critici in merito alla tematica che ho esposto, mi hanno inevitabilmente proiettato all’attualità. A testimonianza del fatto che la mia suggestione ha concretezza ed è condivisibile, ho letto oggi l’articolo scritto da Veneziani e che è stato pubblicato nella sua rubrica nel nostro sito, in cui anch’egli si riferisce a questo bisogno di solitudine propedeutica alla ricostituzione di un’identità, che prima sia individuale e poi, possibilmente, comprenda anche gli altri. Gli “Altri” sarebbero quei pochi eletti riconosciuti capaci di condividere il noumeno da cui ricostruire. Lo so già, non possiamo aspettarci una meritocrazia, ma sarà già qualcosa riconoscersi in quella repubblica di animi sensibili, animati da un irrefrenabile bisogno di ripartire.

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