MARCELLO VENEZIANI: “Ma questa è egemonia contro la cultura”

Mai come ora che c’è la destra al governo si parla di cultura e si dibatte sul suo dominio. Mai come quest’anno il Salone del Libro di Torino ha avuto una risonanza mediatica senza precedenti. Non è merito della destra al governo, certo, ma tantomeno di un inesistente risveglio della cultura a sinistra. Il clima politico scalda la cultura, accende un interesse che va ben al di là della sparuta minoranza che legge libri, pensa e ama la cultura. La cultura viene usata come un corpo contundente, un’arma impropria, un imperativo territoriale, come succede alle bestie che marcano il territorio; ma è anche un termometro per indicare gli orientamenti, i flussi di opinione e la febbre del paese.

Tutti si chiedono se stiamo vivendo il passaggio all’egemonia culturale della destra, e sul tema abbiamo già scritto tanto, inutile tornarci. Dovremmo invece chiederci cos’è oggi l’egemonia culturale della sinistra, come si manifesta, cosa pensa e dice, come interpreta il presente. E qui facciamo una “scoperta” su cui riflettere: è ormai improprio parlare di egemonia culturale della sinistra. Parliamo piuttosto di egemonia subculturale, con tendenza a esercitare un’egemonia anticulturale. Non mi riferisco soltanto all’intolleranza, all’arroganza e a negare la libertà di pensiero a chi non la pensa come loro, di cui il Saloon torinese ha dato un triste spettacolo, con lo strascico miserabile di dichiarazioni di Lagioia e Schlein in difesa del “dissenso”, mentre in quel caso il dissidente che non aveva libertà di parola era il ministro Roccella. E non mi riferisco alle aggressioni e alle intimidazioni che vengono chiamate anche a destra “squadriste” e “fasciste”, dimostrando che la sinistra è egemone anche sul linguaggio e la destra soffre di forti complessi: sono estremisti di sinistra e c’è un repertorio di definizioni più appropriate che va da anarchici a comunisti, da violenze rosse a collettivi di fanatici radical.

Ma il tema da sottolineare non è quello della violenza in sé, bensì della povertà culturale che esprime oggi l’egemonia. Da decenni non ci sono pensieri, analisi, critiche, autori e opere degni di esprimere un’egemonia culturale. Anzi, non è più la cultura a detenere l’egemonia ma una sottocultura mediatica, televisiva, neobigotta e manichea, che si confonde con la melma del mainstream. I palloni gonfiati della compagnia intellettuale di giro sono solo maschere e personaggetti, come direbbe il mitico De Luca. La verità è che l’egemonia culturale è passata negli anni, per dirla tramite tre figure emblematiche, da Gramsci a Umberto Eco e da Eco a Fabio Fazio, più contorno di Littizzetto. Più lo sciame di influencer, fino allo zerocalcare dell’ignoranza. Naturalmente il paesaggio è molto più vasto, intacca il lessico, le parole proibite e quelle obbligate, le pose e i gusti ritenuti avanzati, i cantanti e gli attori, le scelte sessuali, le varie fobie e tutto quanto riguarda il mondo variegato delle soggettività o come si usa dire, dei diritti civili e dei desideri infiniti.

Si può davvero parlare di egemonia sottoculturale perché non produce idee, pensieri, ricerche, ripensamenti ma incide in superficie, è un puro inscenare; negli anni passati si attribuiva l’egemonia sottoculturale al berlusconismo, tramite l’intrattenimento pop delle sue reti. La differenza è che la sottocultura berlusconiana almeno non aveva pretese egemoniche, non escludeva nessuno, puntava al mercato e non al potere culturale. Oggi siamo invece all’ibridazione dei generi. Un curioso, simpatico prodotto di questo clima è l’Unità di Piero Sansonetti, comunista berlusconiano.

Ma l’egemonia sottoculturale è soprattutto televisiva, e naturalmente si confonde con la nefasta dominazione del politically correct. E qui, l’egemonia sottoculturale rischia di sfociare nell’egemonia anticulturale. Se pensate alla guerra strisciante e pervasiva che il politically correct, il catechismo woke, e la sua versione retroattiva, la cancel culture, hanno ingaggiato contro tutta la cultura, la storia, la religione, l’arte, il passato, non “conformi” al loro canone ideologico, vi rendete conto del suo potenziale distruttivo e anticulturale. Questo tribunale ideologico permanente sottopone autori, pensieri, capolavori del passato a tre trattamenti violenti: attualizzazione forzata con travisamento per adattarli all’oggi; mutilazione di parti ritenute sconvenienti e non conformi ai temi razziali, sessuali, ideologici; rimozione e cancellazione totale di eventi, opere e protagonisti ritenuti “osceni” agli occhi del medesimo tribunale.

Quel che ne deriva da questa visione censoria e bacchettona non è più l’egemonia culturale ma è l’egemonia contro la cultura.

Perciò prima di chiederci se ci sarà, come sarà e con chi ci sarà un’improbabile contro-egemonia culturale della destra, chiediamoci piuttosto cosa stia succedendo con questa egemonia contro la cultura, esercitata da quel che un tempo si definiva “sinistra”. Ho qualche timore reverenziale ad usare questa parola, che pure reputo agli antipodi del mio pensare e della mia sensibilità: ma se parliamo di Gramsci e altri autori, e se parliamo della sinistra che veniva dal popolo e combatteva contro i soprusi, i privilegi e le ingiustizie sociali ed economiche, non vedo molti legami con chi oggi la rappresenta, la loro vacuità, le loro terrazze e i loro armocromisti, i loro contratti milionari e l’assenza di pensieri vivi e originali. Hanno solo l’ossessione di dimostrare la propria esistenza semplicemente negando quella di chi la pensa diversamente: ecco la matrice di questa pericolosa, distruttiva egemonia subculturale che si fa egemonia contro la cultura. Del vecchio comunista è rimasto un vizio orwelliano: chiamare libertà di dissenso il loro potere di veto verso chi dissente da loro. Esercitano la loro “libertà” semplicemente impedendo ad altri, non conformi ai loro dogmi, di manifestare il proprio pensiero. Egemonia degli incivili.

La Verità – 23 maggio 2023

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