GIUSEPPE LAVRA: “Impossibile essere medici senza deontologia”

Sono in molti a chiedersi se la divulgazione, l’apprendimento e l’attuazione effettiva
dei principi cardine della Deontologia medica siano stati smarriti e se un recupero di
tali principi possa contribuire a sanare la crisi della Medicina. Nella migliore
tradizione del mondo medico alla Deontologia è sempre stata attribuita la massima
attenzione.
I medici che hanno istituito le Scuole di Medicina nel nostro Paese negli anni
successivi alla seconda guerra mondiale, hanno sempre insegnato a rispettare la
Deontologia. Tra questi va ricordato per tutti il clinico medico Prof. Cesare Frugoni
(1881-1978), il quale nel 1958 fu anche l’autore del quinto Codice Deontologico
Medico italiano, il primo Codice ufficiale fu quello di Angelo Roth del 1903.
L’esigenza di recuperare l’attuazione effettiva dei precetti deontologici è oggi
invocata a gran voce dalla parte più sensibile e più attenta della categoria medica e
dalla cittadinanza stessa. Affinché tale invocazione possa avere il giusto riscontro,
sembra utile chiarire le cause che hanno relegato il Codice Deontologico in un cono
d’ombra, negli ultimi decenni.
La principale responsabilità ricade sugli Ordini professionali dei medici, i quali
hanno rinunciato a tutelare l’autonomia e le peculiari prerogative del medico
nell’esercizio della Professione. Infatti la custodia e la cura dell’osservanza del
Codice Deontologico Medico (CDM), fu affidata, dai legislatori del 1946, all’Ordine
professionale dei medici. A tale proposito, vale la pena di ricordare il valore formale
che la giurisprudenza dà ai precetti del Codice Deontologico Medico. Infatti con la
sentenza n. 8225 del 06.06.2002 della Suprema Corte a SS.UU., ripresa in adesione
dalla Cassazione penale (Sez. VI, sentenza n. 36592 del 10.10.2005), le Sezioni Unite
Civili della Corte di Cassazione sono pervenute a definire le norme deontologiche
quali “vere e proprie norme giuridiche vincolanti nell’ambito dell’ordinamento di
Categoria”, le quali trovano fondamento nei principi dettati dalla legge professionale
e nella previsione normativa (per legge dello Stato) del procedimento disciplinare in
caso di violazione degli stessi. Con questa sentenza la Suprema Corte, superando le
posizioni del passato, ha di fatto riconosciuto la natura giuridica delle norme
deontologiche.
Col D. Lgs C.P.S. del 13 settembre 1946 n°233, quando il Paese era stato devastato
dai due conflitti mondiali del trentennio precedente, fu normata la “ricostruzione
degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle
professioni stesse”. Tale norma affidava agli Ordini professionali il compito di
tutelare gli interessi della collettività nell’ambito dell’assistenza sanitaria e
qualificava gli Ordini professionali Enti di diritto pubblico ed ausiliari dello Stato,
aggiornando la legge del 10 luglio 1910 n° 435 del Governo Giolitti. L’approvazione
della legge n. 233 diede un forte impulso anche all’associazionismo di categoria di
tipo sindacale, e diede propulsione alla ricostruzione del sistema organizzativo delle
Istituzioni sanitarie, fondato su solide basi etiche.

Non fu un caso se, nell’arco di un solo decennio (1948 – 1958), furono promulgati
ben tre CDM con i quali, dopo 36 anni, fu aggiornato il secondo CDM del 1912. In
quella fase storica tutti si sentirono coinvolti nella responsabilità di ricostruire le basi
strutturali del sistema Paese, al quale il mondo medico diede un significativo
contributo.
Anche il sistema socio-economico e culturale del Paese conobbe un rigoglioso
sviluppo che si protrasse fino agli anni settanta e oltre, culminando con la legge
833/78 istitutiva del Servizio Sanitario nazionale (SSN).
Nei tempi successivi, il mondo della rappresentanza della categoria medica, ritenne di
impostare il sistema relazionale col potere politico, assumendo un ruolo improntato a
collateralismo con tale potere che, a partire dal caso Moro del ’78, era sprofondato in
una profonda crisi socio-politica talché, nei primissimi anni ’90, diede vita alla
cosiddetta seconda Repubblica.
Va inoltre considerato che il mondo della rappresentanza medica di quel tempo, oltre
a praticare il collateralismo di cui sopra, ha commesso anche l’errore di fare
commistione tra le competenze di natura sindacale (tutela dei diritti dei singoli
professionisti lavoratori) e le competenze della rappresentanza degli Ordini
professionali (preposti alla tutela degli interessi della collettività per gli aspetti
relativi all’esercizio della professione medica), denaturando in tal modo entrambi i
ruoli.
Quelle scelta del mondo della rappresentanza medica si rivelarono infelici e
coincisero con un lento e progressivo abbandono dell’osservanza delle regole
deontologiche le quali, come abbiamo visto sopra, crearono le basi per lo sviluppo
della Medicina moderna e della ricerca biomedica nel dopo guerra del nostro Paese.
Negli anni successivi al ’78 il SSN subì un progressivo logorio che raggiunse il
culmine dopo la promulgazione del D. Lgs 502 del ’92 voluto dal Ministro F. De
Lorenzo e del successivo D. Lgs 229 del ’99. Queste improvvide norme di legge,
attraverso l’introduzione delle imprese a scopo di lucro nella gestione del SSN hanno
favorito di fatto l’ingresso di interessi estranei alla Medicina nei Servizi sanitari per
conto della pubblica amministrazione, hanno quantomeno alterato gli scopi naturali
della Medicina stessa.
Inevitabilmente, a seguito di ciò, ha preso piede il “mercantilismo” nel SSN, sono
stati annichiliti i principi ispiratori della legge 833e, nel contempo, è diventata
“scomoda” anche la Deontologia medica nel contesto che si era creato.
Questi fatti hanno determinato palesi distopie che, negli ultimi anni, hanno
fortemente favorito la promulgazione della legge delega al Governo in materia di
“riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della
salute”, D. Lgs n°3 del 2018 fortemente voluta dal Ministro Lorenzin. Legge in forza
della quale è stata violata, anche normativamente, l’autonomia degli Ordini
Provinciali dei Medici ed è stata annichilita la Deontologia medica.
Infatti al Capo primo, Art 2, punto 3, lettera l di tale legge si dispone che le
commissioni di disciplina “vigilano sugli iscritti agli albi, in qualsiasi forma
giuridica svolgano la loro attività professionale, compresa quella societaria,

irrogando sanzioni disciplinari secondo una graduazione correlata alla volontarietà
della condotta, alla gravità e alla reiterazione dell’illecito, tenendo conto degli
obblighi a carico degli iscritti, derivanti dalla normativa nazionale e regionale
vigente e dalle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di
lavoro.”
E’ di tutta evidenza che tale norma escluda i precetti deontologici in ambito di
valutazione disciplinare della condotta del medico. A tale proposito merita menzione
il fatto che il Consiglio Nazionale della FNOMCeO, a fine anno 2017, contestò
vibratamente all’unanimità i contenuti del D. Lgs n. 3 del M. Lorenzin, arrivando a
deliberare per protesta il ritiro di tutti i membri designati dalla FNOMCeO presso i
tavoli tecnici istituzionali, salvo poi osservare un silenzio assordante quando, a
gennaio 2018, la stessa legge entrò in vigore immodificata. Va anche precisato che fu
silenziosamente ripristinata anche la precedente “collaborazione” istituzionale
revocata.
Per brevità non è possibile soffermarsi sugli aspetti della Deontologica disattesi
durante la gestione “unitaria” della pandemia tra il Governo e gli Organi di
rappresentanza medica. Tuttavia, in riferimento a tale gestione, sembra doveroso
chiedersi se sia ancora possibile continuare a tenere inapplicato e inattuato il Codice
Deontologico, come se fosse d’intralcio nella gestione della tutela della salute dei
cittadini. Ovvero sia invece necessario prendere atto che per saper “essere” medici in
pienezza e in coerenza di scienza e coscienza, vadano invece sanate le distopie
menzionate, restituendo alla Deontologia il proprio posto.
A tal fine può essere utile chiamare in aiuto il “cuore” del Codice Deontologico più
longevo del mondo, ovvero l’originale “Giuramento di Ippocrate”:
«Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per tutti gli dei e per tutte le
dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo
giuramento e questo impegno scritto: di stimare il mio maestro di quest’arte come
mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i
suoi figli come fratelli e insegnerò quest’arte, se essi desiderano apprenderla, senza
richiedere compensi né patti scritti; di rendere partecipi dei precetti e degli
insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli
allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro.
Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio;
mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò ad alcuno, neppure se
richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna
donna io darò un medicinale abortivo. Con innocenza e purezza io custodirò la mia
vita e la mia arte. Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi
rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività. In qualsiasi casa andrò, io vi
entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra
l’altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi.
Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell’esercizio
sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come
un segreto cose simili. E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo

calpesto, sia concesso di godere della vita e dell’arte, onorato dagli uomini tutti per
sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro.»
Esaminando sinteticamente Il Giuramento di Ippocrate, nei suoi contenuti costitutivi
tramandati dal più importante medico della storia umana conosciuta (circa 2500 anni
fa), possiamo ritrovare quei valori, principi e regole che sono fondamentali per un
corretto esercizio della Professione medica:
a) il primo elemento che si coglie nel Giuramento di Ippocrate è la solennità
dell’impegno nel suo profondo significato valoriale, assunto sotto forma di
giuramento (“giuro per tutti gli dei e per tutte le dee”) proclamato innanzi alla
divinità, alla quale il medico si lega (con giuramento) in modalità trascendente, quasi
a voler superare i limiti dell’umana condizione e nella consapevolezza che la
trascendenza è un elemento innato negli esseri umani, indipendentemente da come
essa possa essere elaborata o declinata dai singoli individui;
b) il successivo elemento che Ippocrate ha ritenuto di rimarcare è un legame di amore
filiale degli allievi verso il Maestro medico che ha insegnato loro l’”Arte Medica”; si
tratta chiaramente di un vincolo relazionale di tipo familiare che si estende a tutti i
membri tra i discenti del Maestro, a significare che la Professione medica ha un
bisogno assoluto di un riferimento magistrale diretto;
c) un altro precetto di carattere valoriale del “Giuramento” è la previsione della
gratuità delle cure (“senza richiedere compensi né patti scritti”), la quale denota
un’evidente consapevolezza dell’esistenza di un diritto innato dell’essere umano a
fruire delle cure mediche senza discriminazioni di alcun genere, principio questo per
cui ancora oggi le Istituzioni internazionali perseguono soluzioni per realizzare in
pienezza tale diritto, attraverso il complesso istituto del “terzo pagante”;
d) l’impegno successivo sancito dal “Giuramento”, è il perseguimento unico ed
esclusivo del “bene dei malati”, ai quali il medico vincola tutto se stesso, il proprio
intelletto (“giudizio”), le proprie energie (“forze”) e lo stile (“Tenore”) di vita;
e) il rifiuto di provocare la morte di un essere umano, insieme al rifiuto di procurare
l’aborto, presente nel “Giuramento”, esprime con chiarezza la difesa del principio
della sacralità della vita umana, sul quale è qui utile soffermarsi solo in via di
principio e sul piano valoriale, evitando di doversi addentrare negli aspetti della
legislazione in materia;
f) non può inoltre non stupire che circa 2500 anni fa già esistesse la consapevolezza
dell’esistenza delle specifiche competenze delle discipline mediche e dei loro
rispettivi ruoli, come richiama l’esempio della corretta gestione clinica del “male
della pietra”, avendo presente che tali aspetti sono ancora oggi oggetto di accesi
confronti nelle organizzazioni sanitarie;
g) il successivo riferimento esplicito al rispetto dovuto all’essere umano, senza alcuna
discriminazione in ordine alla condizione sociale (“uomini, liberi e schiavi”), è un
altro principio immutato nel tempo e di valore universale, forse per merito del
“Giuramento” stesso; non si può certo oggi ritenere che in quei periodo storico tale
principio fosse scontato;
h) come poi non meravigliarsi di trovare nel “Giuramento” l’asserzione del vincolo al
segreto professionale del medico che, considerando il valore e l’importanza anche

giuridica e civile ancora oggi riservato a tale precetto, sembra quasi attestare la
veridicità e l’universalità del “Giuramento” stesso;
i) Anche la conclusione del Giuramento è un inno solenne al rigore che va osservato
nell’esercizio della Professione medica; infatti ove fosse esercitata in armonia col
“Giuramento”, si invocherebbe “sia concesso (al medico) di godere della vita e
dell’arte, nonché dell’onore eterno degli uomini tutti”, mentre se al contrario il
“Giuramento” fosse violato o calpestato, si invocherebbe invece che lo “spergiuro”
meriti la giusta punizione.
Infine nella conclusione del “Giuramento” si ribadisce con forza la centralità del bene
dei malati, quale missione esclusiva del medico, come se esistesse una
consapevolezza in ordine ad una possibile devianza verso scopi diversi.
Stupisce piacevolmente constatare che questi principi di civiltà siano stati scritti ai
primordi della storia umana documentata ma, allo stesso tempo, desta tristezza dover
prendere atto della necessità attuale di combattere affinché i contenuti del
“Giuramento” trovino un rinnovato rispetto. Inoltre la crisi della Medicina e della
Professione medica in atto, alla luce dell’imponente avanzamento delle conoscenze
scientifiche, della notevole disponibilità di mezzi e risorse, nonché delle legittime
aspettative della collettività, appare paradossale rispetto agli “inciampi” distopici
intervenuti. Tuttavia, chiarendo le cause delle distopie accennate, è possibile
intraprendere un percorso utile a sanare il fatto di aver trascurato la deontologia.
Vale la pena riepilogare in modo sintetico ciò di cui vi è bisogno: la ricostruzione di
un clima socio-politico capace di affrontare con efficacia le sfide epocali che pone la
Medicina moderna, il ritorno delle rappresentanze professionali ad occuparsi
fedelmente dei propri compiti, l’oculata gestione degli alti costi della Sanità ai soli
fini del “bene del malato”, l’aver presente che la tecnologia è solo un mezzo anche
prezioso ma non un fine, ove non si voglia rischiare di costruire un nuovo “vitello
d’oro” nella storia dell’umanità.
In conclusione va ricordato che la globalizzazione impone che si apra un serio
confronto sui modelli sanitari internazionali, specie con quei Paesi, anche molto
sviluppati, ma che hanno escluso la Deontologia dal proprio ordinamento. Infatti da
questo confronto potrebbe emergere una inaccettabile distanza tra risorse disponibili e
i risultati effettivi conseguiti in termini di accessibilità alle cure mediche da parte
dell’intera collettività. Sotto questo profilo è probabilmente sostenibile che il modello
sanitario della “vecchia” Europa, dove la Deontologia è ancora presente, rappresenti
un riferimento da custodire con più consapevolezza.
Il corpo valoriale del “Giuramento” rappresenta il riferimento fondamentale cui si
ispirano i Codici di Deontologia medica che, nel nostro Paese, sono oggetto di
aggiornamento continuo da circa due secoli, ancorché ufficialmente dal 1903. In
conclusione un fugace richiamo a quanto prescrive il Codice vigente con l’invito al
medico di “contrastare” ogni condizionamento della sua autonomia nell’esercizio
della Professione. Da ciò discende l’urgenza di separare le competenze tecnico-
professionali del medico da quelle politico-gestionali del potere politico, come invano

è invocato da sempre nel CDM. Non si può certo escludere che le distopie qui
richiamate, siano frutto della elusione di tale necessaria esigenza. In sostanza i
medici, in virtù del proprio Codice, devono rivendicare con forza l’autonomia
nell’esercizio delle proprie “competenze” legittime, al fine di “servire” il malato,
mentre non sentono alcun bisogno di perseguire, come accade in altri corpi sociali, la
separazione di “poteri”, che in Medicina non sussistono affatto.


Giuseppe Lavra D.M.
Già Presidente Ordine dei Medici e Odontoiatri di Roma e Provincia
Già Direttore di UOC e di Dipartimento di Medicina Interna Az. Ospedaliera S.
Giovanni-Addolorata di Roma

2 commenti su “GIUSEPPE LAVRA: “Impossibile essere medici senza deontologia”

  1. La parola DEONTOLOGIA ne racchiude una altrettanto importante …..LA MORALE.
    Ci hanno fatto credere che sia una parola desueta ma non è così. Una scuola morale , delle cure morali , delle famiglie morali formano una nazione morale e morale diventa anche la qualità della vita dei cittadini che vi abitano . Quando però l’ etica professionale personale e comportamentale viene annullata ecco che tutto diviene preda del denaro e delle ambizioni senza scrupoli di chi è coinvolto. Le logiche servili contribuiscono a stendere una cortina di nebbia sulla verità e il rispetto di chi soffre viene calpestato. Nell’ esercizio della medicina , si deve comprendere che curare significa entrare in relazione e significa dare il meglio di sè. Credo sinceramente che la deontologia aiuti a tirare fuori questo meglio .

  2. Concordo pienamente con quanto scritto dal Dott. Lavra. Lo considero un grande Medico, un Maestro specie in quello che è il cuore della Medicina, il Giuramento di Ippocrate, immutato Codice Deontologico, etico, umano, che rappresenta il cardine dell’arte Medica. Certo l’evoluzione delle tecniche, i bisogni moderni, e il mercantilismo imperante anche in Medicina, hanno sempre più relegato il Giuramento a vessillo interpretato e sventolato da alcuni per colpire altri che volevano tenere Scienza e Coscienza a base dei giudizi ed usato invece per accuse date da normative che lo hanno dimenticato nel suo cuore primigenio.
    Magistrale è la lettura e spiegazione data dal dott. Lavra ancora quanto mai attuale e vitale di quanto Ippocrate ci ha tramandato, testimoniando principi fondamentali dell’agire medico che travalicano i secoli, oggi spesso dimenticati o adattati a quello che non è così etico e deontologico come sembra.
    Oggi parlano di rimuovere e riscrivere il codice deontologico, adattandolo ai tempi, perché è chiaro che al di là di nuovi strumenti tecnici che possono ben essere compresi e usati secondo Scienza e coscienza, è. proprio. scienza e coscienza che si vuole manipolare, spingendo sulla scienza-tecnologia quasi incontrollata quale maestra e RIDUCENDO LA COSCIENZA A QUIESCENZA ETICA E MORALE, quale norma dove prevalga l’utilità mercantile e politica e dello Stato sull’individuo e la sua libertà.
    Dice benissimo il nostro Maestro dottor Lavra quando afferma che i medici non sentono il bisogno di una separazione di “poteri” come in altri corpi sociali, perché proprio il loro Giuramento esclude a priori che ci sia una separazione tra Vita e Arte del Medico, tra interessi vari e doveri altruistici ed umani del medico, che in virtù del suo giuramento ‘sacro’, è Medico per sempre anche se pretestuosamente radiato da norme tutt’altro che deontologiche.
    Perciò apprezzo molto la passione del Nostro e sono al suo fianco, nel mio piccolo, se potrà Egli essere nella nuova battaglia nel riaffermare la centralità ed il cuore deontologico della Medicina, nelle linee da Lui proposte.
    Grazie, Dottore.

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