LA POESIA DI GIORGIO BONGIORNO: “La luce delle more”

“Sacro a Saturno, maltrattato dal linguaggio dei fiori che gli attribuisce l’invidia, uno dei peccati capitali, il rovo è amato dai poeti, che lo ritengono degno di adornare il regno dei cieli. Cresce nei luoghi assolati e polverosi, non gli importa di avere vicini calcinacci, desolazione e rovine. “
https://www.taccuinigastrosofici.it/ita/news/antica/ortaggi-frutta/Rovo-di-more.html

Quando bambino correvo
Fra i rovi a raccogliere le more
Vedevo la luce delle bacche
Da lontano
Al sole cocente del meriggio
Mi paiono ora così alte
Mature
Irraggiungibili
Vorrei tanto sentire quei profumi dell’infanzia
Così intensi
Così irripetibili
E quelle tenere emozioni
Che allora sfuggivano come uccelli scoperti
Con un rapido battito d’ali
E vorrei ci fossero tutti
A correre fra i rovi
Quegli allegri compagni di gioco
Scomparsi nel vento come foglie d’autunno
Le more oggi
Le vedo come fiori
Variopinti
Mazzi di nettare messi lì dagli angeli
A impreziosire le povere spine dei cespugli
*
“Il “rubus fruticosus” ha origini nell’Africa meridionale e Virgilio così ne scrive: “è tempo di intessere canestri
leggeri con virgulti di rovo”. Narra la leggenda che Satana, cacciato dai cieli, precipitò in un boschetto di rovi. Era l’11 ottobre, ed ogni anno in tal giorno il maledetto esce dall’inferno, e torna sulla terra per scagliare la sua maledizione contro il pungente cespuglio. Da questo momento le more non sono buone, perdono il sapore, si coprono di ragnatele e di muffa. Se volete quindi andare a raccogliere more, fatelo per tempo, perché non c’è gita che diverta di più, che renda allegri e felici.”
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