DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Natalia Ginzburg e Oriana Fallaci nel 1963: anti-progressismo e senso della famiglia all’indomani del conferimento del Premio Strega”

In un’intervista rilasciata a Oriana Fallaci nel 1963 e pubblicata sul settimanale L’Europeo, Natalia Ginzburg sottolinea il ruolo da riconoscere all’ironia in quanto qualità che colui il quale si appresta all’atto della stesura di un’opera letteraria deve possedere in maniera irrinunciabile.

A seguito del successo riportato dal suo romanzo Lessico famigliare, decretato vincitore del prestigioso Premio Strega proprio nel 1963, la Ginzburg confessa di non amare la lettura delle opere delle scrittrici, fatte salve poche eccezioni. Le donne, quando scrivono, «a me […] non piacciono molto». E poi aggiunge: «[…] [Esse] hanno un modo di fare così frivolo, quasi facessero del loro mestiere un costume. […] Non riescono a liberarsi dei sentimenti, non sanno guardare a se stesse ed agli altri con ironia».

Essa invece, l’ironia cioè, rappresenta l’unico modo costruttivo attraverso il quale porsi nei confronti delle cose del mondo: «perfino l’amore è sempre mescolato con l’ironia». Le donne, però, «sembrano non capirlo: sono sempre umide di sentimenti, loro, ignorano il distacco».

Quello che intende affermare la scrittrice piemontese è che per acquisire conoscenza è necessario che si assuma un atteggiamento di allontanamento razionale dalla materia umana e psicologica al centro della propria ricerca. Rispetto ad essa bisogna porsi con l’obiettivo di acquisirne i contenuti in maniera pacata, al fine di comunicarli e di veicolarne il senso senza un coinvolgimento troppo diretto.

Poche sono le scrittrici che davvero hanno raggiunto con successo l’obiettivo di rapportarsi nei confronti della materia umana trattata nelle loro opere letterarie con equilibrio e con bilanciato distacco. Tra queste, a parere della Ginzburg, spicca senz’altro Elsa Morante e poi una scrittrice inglese di nome Ivy Compton Burnett la quale, dice la Ginzburg, nelle sue opere parla delle verità più orribili scrivendo in maniera dialogata e «con educazione […] le cose più tremende».

Le considerazioni espresse da Natalia Ginzburg abbracciano una sfera ampia di valutazioni che vanno oltre le questioni legate alla sfera strettamente letteraria e alla pratica della scrittura. La stessa Oriana Fallaci, all’interno della sua intervista, ricorda come la scrittrice piemontese abbia notoriamente occupato posizioni controcorrente rispetto alle tendenze più superficialmente progressiste e agli orientamenti maggiormente in voga.

Una sorta di corrispondenza di intenti e di affinità intellettuali accorda la Ginzburg e la Fallaci la quale, riferendo i pensieri e le parole della scrittrice piemontese, a volte sembra quasi alludere a se stessa.

Convinta antifascista, donna personalmente coinvolta nell’esperienza della Seconda Guerra Mondiale, vedova di Leone Ginzburg, scrittore ebreo torturato e ucciso a seguito della persecuzione e dell’arresto subito da parte dei tedeschi, Natalia crede fermamente nei diritti delle donne in quanto esseri umani di pari dignità rispetto agli uomini. Eppure la scrittrice non matura certo un’indole da femminista.

Dice di lei la Fallaci che la Ginzburg intende scrivere “come un uomo”. Il proposito della Ginzburg è quello di avere il giusto distacco e la freddezza propri di un uomo. Il che non significa «scrivere fingendo d’essere un uomo. Una donna deve scrivere come una donna però con le qualità di un uomo». È proprio questo il motivo per cui Natalia Ginzburg è una donna coltissima e aggiornatissima sul piano delle conoscenze.

Si ravvisa una contraddizione nella posizione della Ginzburg: l’assunzione di un’identità di genere pienamente coincidente con la delicatezza e con la fragilità femminile richiede però di non coinvolgere l’atteggiamento distaccato e freddo che è necessario, al fine di acquisire un’equilibrata idistanza dai fatti per percepirne in maniera razionale e pacata la verità e l’insegnamento sottostante.

Natalia Ginzburg non è certo contro le donne. Lei si fa strada in un mondo che prima, durante e dopo la Guerra si impronta sullo svilimento dei diritti e con un’urgenza sempre più forte di uguaglianza e di rispetto. Però la scrittrice ha bisogno, in qualche modo, di spogliarsi di alcuni elementi prettamente femminili per acquisire in maniera ancor più ferma il senso delle cose del mondo e della vita. Anche Italo Calvino parlerà di lei come di una scrittrice dalla “femminilità non femminile”.

L’ottica che Ginzburg matura attraverso uno sguardo intellettualmente distaccato e onesto sulla realtà le permette quindi di capire che nella civiltà attuale è necessaria una rifondazione che attinga alla riscoperta di alcuni valori tradizionali fondamentali per ristabilire un equilibrio umano a livello sociale.

Ginzburg si rende conto del fatto che l’attualità sta mostrando un’evoluzione della società nei termini di una sua profonda degenerazione. Lo si nota anche grazie ai riferimenti sarcastici che la scrittrice fa nelle sue opere nei confronti delle donne emancipate e delle nuove forme di organizzazione familiare.

Ginzburg capisce che è in atto una disgregazione della famiglia nella società ed evidentemente reputa inaccettabile questo fenomeno. Anche la crescente indipendenza sentimentale e sessuale delle donne, che lei ha comunque personalmente sperimentato dopo la morte del marito, ha assunto i termini esasperati di una deriva eccessiva, pericolosamente destabilizzante nell’Italia del tempo.

Forte è invece la percezione di equilibrio e di un umoristico distacco che si ha leggendo proprio quel Lessico famigliare che ha permesso alla Ginzburg di vincere il Premio Strega nel ’63. Si tratta di un romanzo dedicato all’illustrazione dell’esperienza personale vissuta dalla scrittrice negli anni passati, trascorsi in compagnia dei genitori e dei fratelli.

Fondamentale appare, in particolare, la figura del padre di Natalia, la cui voce permea tutte le pagine del libro: egli appare per lunga parte del romanzo il personaggio principale. Giuseppe Levi, cognome che anche Natalia porta da ragazza prima di assumere quello del futuro marito Leone, è uno scienziato, medico e docente universitario ebreo che ha lasciato un’impronta importante lungo il corso del Novecento anche per essere stato maestro di tre futuri premi Nobel italiani, tra i quali Rita Levi-Montalcini e Renato Dulbecco.

Del padre, Natalia ricorda il carattere burbero e allo stesso tempo amorevole. Quando l’autrice è ancora bambina la casa dei Levi si riempie delle urla e dei rimproveri del signor Giuseppe per richiamare i figli e ricondurli all’ordine e al rispetto delle regole.

Allo stesso tempo il ricordo di Natalia si ammanta di sorrisi quando il racconto della scrittrice parla dei motti moraleggianti e delle parole inventate dal padre, che proiettano la scrittrice in un passato fatto di complicità col signor Levi e coi fratelli, anch’essi attori di quell’unità familiare consolidata proprio attraverso il ricordo del lessico usato dal padre e da tutti in una casa in cui, è evidente, regnava armonia e pace.

“Sbrodeghezzi”, “potacci”, “negrigure” sono alcuni esempi del risultato di quell’azione di conio di neologismi attuata dal padre per realizzare, attraverso un impasto di dialetto e di italiano regionale, quell’operazione di comunicazione verbale rivolta nei confronti dei propri familiari, che la lingua, così com’è, non gli consentirebbe di attuare.

Lo stile della Ginzburg è, invero, piuttosto asettico; il romanzo procede secondo uno sviluppo che non abbandona mai l’intonazione asciutta e quasi telegrafica, cronachistica della narrazione. Non è necessario alcun melenso né alterante coinvolgimento sentimentalistico per affermare con lucidità ciò che, invece, deve assumere chiarezza e validità oggettiva.

L’ambiente domestico e il sentirsi a casa devono sostanziarsi di luoghi e gesti visibili e di elementi tangibili. Proprio la veridicità di tali elementi consente loro di assumere un valore rappresentativo valido per tutti. Si tratta di cose semplici intorno alle quali ognuno può simbolicamente riconoscersi.

E bisogna menzionare anche la madre della scrittrice, Lia Tanzi, la cui personalità viene ritratta in maniera totalmente all’opposto rispetto a quella del padre. Lia è una donna dolce e amorevole «con quella sua natura così lieta, che [investe ed accoglie] ogni cosa, e di ogni cosa e di ogni persona [rievoca] il bene e la letizia, e [lascia] il dolore e il male nell’ombra, dedicandovi appena, di quando in quando, un lieve sospiro».

Frequenti sono i racconti che la madre fa ai suoi figli a proposito della propria infanzia, quando narra della sua vita in altre città, delle sue amiche e degli anni trascorsi in collegio.

Il senso della famiglia lo si percepisce oggettivamente, proprio in quest’incontro perfetto tra due genitori che si completano a vicenda e in quel rapporto comunicativo che entrambi hanno, per un verso e per l’altro, nei confronti dei propri figli. I genitori della Ginzburg mostrano di non cedere mai a quella deriva disgregante che oggi rappresenta la fortissima forza centrifuga che sta continuando a sfaldare ogni nucleo costitutivo della società.

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