Quando si può iniziare a parlare di planetario, cioè dello strumento che ricostruisce la volta celeste con i suoi astri e i loro movimenti?
Per trovare una struttura concettualmente simile a quelli moderni, bisogna risalire alla metà del Seicento, almeno secondo le testimonianze storiche e archeologiche finora raccolte. Questa si trova presso l’Antico Osservatorio Astronomico di Pechino, costruito nell’epoca delle dinastie Ming e Qing e uno dei più antichi del mondo. La costruzione dell’osservatorio iniziò nel 1437, in sostituzione di un’antecedente torre astronomica di legno, e fu successivamente implementato prima ad opera dei musulmani e in seguito dei gesuiti. Nel piccolo parco che circonda l’osservatorio, dalla parte opposta al corpo centrale, si trova una costruzione in pietra del 1637 con una forma leggermente a tronco di piramide, sormontata da un emisfero in metallo. Su di esso sono rappresentate le costellazioni, con incisioni per le linee che ne definiscono il disegno e fori più o meno grandi per la simulazione delle stelle. Una piccola porta dà accesso all’interno di una camera angusta, da cui è possibile vedere l’effetto del cielo stellato guardando sulla volta traforata.
Il planetario moderno ha mosso i suoi primi passi nella seconda metà del XVII secolo, quando furono soddisfatte due condizioni fondamentali: una conoscenza completa del cielo e un livello apprezzabile della tecnologia. Numerose, infatti, erano le difficoltà da superare per gli antichi astronomi, non tanto per ricostruire la volta stellata, che varia la sua configurazione in tempi molto lunghi, quanto per rappresentare i moti apparenti, che su di essa compiono i “corpi erranti” (Sole, Luna e pianeti visibili ad occhio nudo), in conseguenza ai moti propri e a quelli di rotazione e di rivoluzione della Terra. Inoltre, per soddisfare una simulazione più convincente necessitava di ospitare le persone all’interno e di conseguenza la struttura doveva essere di grandi dimensioni.
In questa ottica la Sfera armillare Gottorp si può considerare il progenitore del planetario moderno. Si tratta di uno strumento meccanizzato costruito in Germania da Andreas Busch nel 1653: un bel manufatto, che mostrava il movimento del Sole e i pianeti allora conosciuti, raffigurati da sei angeli d’argento. In essa veniva simulato anche il moto di precessione degli equinozi, facendo ruotare il piano dell’equatore rispetto a quello dell’eclittica, che conteneva lo zodiaco, a una velocità corrispondente a una rivoluzione ogni 25.000 anni circa.
Il passo dalla sfera armillare a un globo meccanizzato fu breve e infatti ecco nel 1664 apparire alla ribalta il Globo di Gottorp, sempre costruito da Busch in Germania per il duca Federico III di Holstein-Gottorp. Era una sfera cava di rame di poco più di tre metri di diametro e di circa tre tonnellate e mezzo di peso, sulla cui superficie esterna erano raffigurati i continenti e gli oceani della Terra e su quella interna una mappa del cielo costituita da stelle dorate. Internamente vi era posto per una dozzina di persone, che potevano così osservare il cielo da una posizione più naturale, cioè dall’interno, e percepire la simulazione della rotazione terrestre, in quanto il globo era azionato da un dispositivo idraulico, che ne permetteva la rotazione completa in 24 ore.
Sull’onda dello sviluppo tecnologico legato all’orologeria, nella prima parte del 1700 iniziò l’era degli “Orrieres”, o planetari meccanici, nome derivato dall’irlandese Charles Boyle, quarto conte di Orrery, che commissionò a John Rowley, un tecnico di George Graham, inventore londinese del pendolo compensato e costruttore di orologi, la costruzione nel 1704 del primo grande planetario dell’era moderna. Questo era costituito da un modello del sistema solare azionato da un meccanismo ad orologeria, che simulava le relative posizioni e movimenti dei pianeti e delle loro lune intorno al Sole.
Molto particolare fu l’Orrery costruito dall’astronomo olandese Eise Jelteszn Eisinga, per dimostrare che non si sarebbe verificata nessuna apocalittica collisione nella congiunzione della Luna e dei pianeti Mercurio, Venere, Marte e Giove prevista nel 1774. Egli costruì sul soffitto del salone della sua casa un modello in scala del sistema solare, azionato da un orologio installato nella soffitta sovrastante, con il quale il periodo di rivoluzione dei pianeti allora conosciuti veniva regolato sullo stesso tempo dei pianeti reali: Saturno impiegava realmente 29,5 anni per orbitare attorno al Sole! Nel 1825 il planetario fu acquistato dallo Stato olandese, che nel 1859 lo donò alla città di Franeker e oggi è incluso nella lista dei cento monumenti olandesi valutati dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.
Gli orreries furono un valido strumento didattico per la divulgazione dell’astronomia durante tutto il ‘700, ma l’avvento di meccanismi più sofisticati li fece cadere in disuso e divennero degli interessanti oggetti da museo di Storia della Scienza.
Nel 1758, Roger Long, professore di astronomia e geometria presso il Pembroke College di Cambridge, prendendo spunto dal globo di Gottorp, costruì Uranium: una sfera di 5,5 metri di diametro, in cui le posizioni delle stelle non erano più disegnate ma realizzate con piccoli fori, attraverso i quali poteva penetrare la luce esterna, dando l’illusione alle 30 persone che vi potevano prendere posto, di un cielo stellato più reale. Un’ulteriore evoluzione del globo di Gottorp fu rappresentata dal globo di Atwood, una sfera di circa 5 metri di diametro, realizzata in materiali leggeri in modo da ridurne il peso e mossa da un motore elettrico, progettata e costruita nel 1912 da Wallace Atwood, direttore dell’Accademia delle Scienze di Chicago. Anche su di esso le posizioni di 692 stelle (fino alla quarta magnitudine apparente) erano rappresentate tramite forellini di diverso diametro, attraverso i quali la luce penetrava all’interno della sfera. Internamente, inoltre, una lampada mobile visualizzava la posizione del Sole, alcuni dischi mostravano la Luna con le sue fasi e le posizioni dei pianeti erano riportate sulla fascia dello zodiaco tramite un’altra serie di forellini, che potevano essere chiusi per mostrare la variazione della loro posizione nei diversi periodi. Oggi questo planetario, perfettamente funzionante, è esposto presso l’Adler Planetarium di Chicago.
Con la realizzazione dell’Orbitoscope da parte del prof. E. Hindermann di Basilea sempre nel 1912, i tempi erano maturi per la costruzione dei planetari a proiezione. In esso, infatti, per la prima volta due pianeti orbitanti attorno ad un sole centrale venivano proiettati su una superficie tramite un sistema di ombre create con una lampadina. L’inizio della Prima Guerra Mondiale, però, portò al blocco di ogni progetto in questo campo. Al termine del conflitto, Walter Bauersfeld, direttore dell’azienda ottica tedesca Zeiss di Jena, riprese gli studi sulla costruzione di un planetario commissionato alla ditta nel 1913 dall’ingegnere Oskar von Miller, fondatore e primo direttore del Museo della Tecnica di Monaco (1903). Bauersfeld, con uno staff di scienziati ed ingegneri, rivoluzionò del tutto il concetto di planetario fino a portarlo alla odierna configurazione. La sfera celeste mobile fu trasformata in una semisfera proiettata su una cupola fissa bianca e l’illuminazione esterna divenne interna e generata da una macchina rotante, posta nel centro di una sala perfettamente oscura. Nell’agosto del 1923 venne realizzata una prima cupola di 16 metri di diametro sul tetto della ditta: lo scheletro esterno era formato da una struttura metallica leggera e la parte interna da una base di legno, spruzzata di un sottile strato di cemento, successivamente dipinto di bianco.
All’interno venne installato il primo proiettore Zeiss, Modello I, una macchina costituita da un corpo su cui erano posizionati dei dischi, che riportavano le posizioni di circa 4500 stelle, quale base del cielo notturno, e diversi proiettori secondari per l’illuminazione di pianeti, Luna e Sole, ciascuno dotato di movimento autonomo. Il tutto comandato con semplici interruttori elettrici!
La meraviglia di Jena era pronta e il 21 ottobre 1923, dopo essere stata smontata e trasferita al Museo della Tecnica di Monaco, Bauersfeld la inaugurò con la prima dimostrazione pubblica durante un congresso. Questo primo planetario, a parte le traversie subite durante la seconda guerra mondiale, rimase in funzione fino al 1951, anno in cui venne sostituito da un modello più moderno, Modello IV.
Da allora i modelli della Zeiss progredirono con il miglioramento delle macchine sotto molteplici aspetti e contemporaneamente si affacciarono sul mercato nuove case produttrici, quali la giapponese Goto che, approfittando dell’entrata in vigore in Giappone nel 1954 della legge sulla Promozione della Scienza in tutti gli ordini di insegnamento, iniziò lo studio di modelli di proiettori adatti a tale scopo. Nel 1963 uno dei modelli più piccoli di questa casa costruttrice, E-3 o E-5 (3 e 5 corrispondono all’ampiezza in metri della cupola) fu installato in ogni scuola elementare giapponese.
Un’altra casa costruttrice, la Spitz, dal nome del suo fondatore il Dr. Armand Spitz, sviluppò un proiettore ottico di piccole dimensioni, l’”A-1″, adatto per scuole e piccoli musei, che fu prodotto e installato negli istituti scolastici statunitensi per tutti gli anni ’50.
Il planetario opto-meccanico era ormai diventato un diffuso strumento per l’informazione astronomica a livello didattico, divulgativo e perfino militare!
In genere i modelli di ultima generazione di questo tipo di planetario (oggi molti utilizzano la fibra ottica) sono formati da una sfera cava, sulla cui superficie si aprono i fori corrispondenti alle stelle visibili ad occhio nudo, di diametro diverso in base alla grandezza della stella, e coperti da piccole lenti che ne amplificano la differenza di dimensione sulla cupola di proiezione. Proiezione assicurata da una lampadina interna di bassa potenza per creare un buon contrasto con la restante parte di sfondo scuro della superficie della cupola: il realismo dell’esperienza di visione in un planetario dipende proprio dal contrasto dinamico tra buio e luce. La sfera è dotata in genere di tre movimenti: uno rotatorio est-ovest per simulare la rotazione giornaliera della Terra, uno nord-sud per adeguare la latitudine alle diverse posizioni sulla superficie terrestre e uno di rotazione per riprodurre l’effetto di precessione degli equinozi. Alcuni tipi di planetario sono costituiti da due sfere distinte per la simulazione dei due emisferi celesti. Lo strumento è poi corredato da un numero variabile di altri proiettori, per riprodurre i corpi del Sistema Solare con i loro movimenti e per simulare funzioni quali la Via Lattea, i crepuscoli, le coordinate astronomiche e così via.
Ogni planetario si accoppia con una cupola di proiezione adeguata. Sono in produzione cupole da un minimo di 3m ad un massimo di 35m e ne esistono di tipo fisso o portatile; queste ultime possono essere gonfiabili in pochi minuti o realizzate in materiale leggero da costruire in poche ore. L’americana Learning Technologies Inc. realizzò il primo planetario trasportabile nel 1977. Le cupole fisse sono oggi generalmente prodotte con profilati di alluminio molto sottili e di colore grigio tenue per diminuire la capacità riflettente della superficie e offrire così un miglior contrasto. Nel bordo di base presentano, inoltre, il profilo dell’area circostante al planetario e un’illuminazione regolabile per simulare l’effetto dell’inquinamento luminoso. Fino agli anni ’70 le cupole erano montate in modo orizzontale, così da corrispondere all’orizzonte naturale del cielo notturno, e avevano i sedili reclinabili e distribuiti in modo concentrico, per favorire una visione più confortevole. Ma agli inizi del 1970 Spitz costruì la prima configurazione di cupola inclinata, con sedili disposti a gradinata per garantire una visione ottimale: iniziò così la rapida evoluzione tecnologica dei planetari, che ha portato alla vasta disponibilità attuale di modelli, controllati dal computer e sofisticati sistemi di automazione.
Anche gli architetti poi si sono sbizzarriti nel creare le forme più varie per queste strutture: il planetario annesso alla Biblioteca di Alessandria in Egitto è addirittura una sfera! In alcuni moderni planetari il pavimento è di vetro, per permette agli spettatori di sentirsi al centro di una sfera, sulla cui superficie interna vengono proiettate immagini in tutte le direzioni: l’impressione è quella di galleggiare nello spazio! In altri ancora pulsanti o joystick sui braccioli dei sedili consentono al pubblico di percepire fisicamente lo spettacolo in tempo reale.
Già, spettacolo, perché è questo che oggi rappresenta la frontiera dell’evoluzione dello strumento-planetario.
Nel 1967 Phillip Stern, docente presso l’Hayden Planetarium di New York, costruì il piccolo planetario Apollo, programmato per registrare lezioni e filmati, e aprì la strada ai planetari multimediali, che non solo potevano proiettare immagini e filmati del cielo, ma erano programmati per contenere registrazioni di relazioni destinate al pubblico o a operatori scolastici di vario livello, che potevano scegliere se creare il proprio prodotto o seguire il programma del planetario dal vivo. Nel 1970 fu prodotto il progenitore dell’odierno IMAX Dome, un sistema cinematografico concepito per essere proiettato sulle cupole dei planetari. E nel 1983, la ditta Evans & Sutherland installò nel Planetario Hansen di Salt Lake City in Utah il primo proiettore per planetari completamente computerizzato, il Digistar, dotato di un obiettivo fisheye unico in grado di riprodurre il cielo in tre dimensioni.
Inizia così l’era dei planetari a proiezione digitale, basata sulla costruzione di immagi e/o video generati da un computer e poi proiettati sulla cupola con diversi tipi di tecnologie, quali tubo catodico, LCD, DLP e proiettori laser. Il sistema di proiezione può essere a singolo proiettore montato al centro della cupola e dotato di obiettivo fisheye per diffondere la luce su tutta la sua superficie o a più proiettori (4, 5, 6 fino a 12) disposti lungo l’orizzonte della cupola, che fondono insieme le immagini senza soluzione di continuità e con un buon grado di pixel come risoluzione per migliorare l’esperienza visiva. Di fatto un planetario digitale è un sistema di proiezione simile a quello di un cinema ma con un valore aggiunto, la tecnologia video fulldome: la proiezione copre l’intera cupola semisferica della sala del planetario e offre ulteriori possibilità, quali i wide-screen o film “avvolgenti” sui più svariati argomenti e gli spettacoli laser che combinano musica con modelli disegnati a laser; il tutto ad elevato grado di risoluzione. E proprio la risoluzione è diventata la protagonista dei planetari d’avanguardia: una corsa all’Ultra High Definition (UHD)… 2K… 4K… 8K…
Ma alcuni planetari, a fianco delle avveniristiche tecnologie digitali, hanno ancora anche il “vecchio” proiettore opto-meccanico per creare l’emozione della visione del solo cielo stellato!