Ascolta la lettura del testo da parte di PAOLA RAMELLA
Il deserto ti accoglie! Sì, proprio te. Piccolo granello tra miliardi di granelli, ma definito e distinto, corpo scolpito da dolore e gioia, disperazione e speranza, tenebra e luce. Gli eterni conflitti si stemperano, si placano ed è proprio allora che te lo trovi dentro… il deserto.
Fuori, volgendo lo sguardo tutto intorno, ci rendiamo conto che la volta stellata ci copre come una cupola che parte da terra, in uno spettacolo mai visto prima, esaltato dal passaggio velocissimo di stelle cadenti. Mi allontano nel buio e salgo sulla scarpata di sabbia che delimita la strada, che ci porta al campo tendato di Wadi Rum.
Il Wadi Rum, o Valle della Luna, è una valle scavata nel corso del tempo dallo scorrere di un fiume nel suolo sabbioso e di roccia granitica della Giordania meridionale, a 60 km circa a est di Aqaba. Il nome Rum, probabilmente di origine aramaica, significa “alto” o “elevato”; infatti il suo punto più elevato è il monte Jebel Rum alto 1754 m. Bella la cornice del deserto del Wadi Rum, con i suoi speroni rocciosi, che si stagliano nel cielo notturno come figure incombenti e bellissimi i suoi scorci al tramonto con la sabbia rossa e dorata, che con i suoi colori caldi stempera un po’ il freddo della notte.
I dromedari in carovana, le tende beduine sparse qua e là… sembra quasi che Lawrence d’Arabia sbuchi fuori da un momento all’altro da dietro una duna o da una spaccatura della roccia. E quel silenzio… il silenzio ovattato del deserto, misterioso, ancestrale… quasi mistico.
Di giorno l’ardore del sole fermentava in noi ed eravamo storditi dal vento mordente.
Di notte ci bagnava la rugiada, e sotto gli innumerevoli silenzi delle stelle
ci prendeva vergogna della nostra infimità.
Thomas Edward Lawrence (Lawrence d’Arabia)
“I sette pilastri della saggezza”, 1922
Come granelli di sabbia,
che il vento solleva e abbandona,
ora in morbide pieghe
appena accennate
ora in alte e superbe dune,
a profilare aridi e multiformi deserti.
O spazza via, turbinanti,
ad aprire spazi
verdeggianti e rigogliosi di oasi.
Così noi,
ciascuno di noi,
condotto dal tempo,
disegna
gli angoscianti deserti e
le oasi rassicuranti
della propria vita.
La sera del 3 gennaio, dopo aver assistito ad un tramonto spettacolare, con dei colori intensi e prolungati, abbiamo visto un cielo cui non siamo più abituati, anche se un poco di inquinamento luminoso sull’orizzonte era presente, dovuto alle luci dei campi tendati. Abbiamo tentato l’osservazione delle Quadrantidi a circa 400 m dal nostro campo in un deserto sabbioso, con qualche roccia. Si udivano lontani latrati di cani e forse versi di iene, presenti nel deserto. Le meteore sono state poche, circa 30 in due ore, alcune abbastanza luminose, una molto lenta, alcune sicuramente “spurie”, non correlate allo sciame. Nel momento del massimo il radiante era basso sull’orizzonte e in parte ostacolato dalle rocce.
Il Quadrante Murale (in latino Quadrans Muralis) è una della più note tra le costellazioni obsolete, in quanto ha dato il nome allo sciame meteorico annuale delle Quadrantidi, che irradiano da quest’area di cielo ogni gennaio. Il Quadrante Murale occupava quella che ora è la parte settentrionale di Boote, vicino all’estremità del manico del Grande Carro (o, altrimenti, alla punta della coda dell’Orsa Maggiore).
Il fenomeno, comunemente detto “stelle cadenti”, si verifica quando la Terra, durante il suo moto di rivoluzione, incontra l’orbita di una cometa che, nel tratto più vicino al sole, perde parte del materiale della sua superficie, soffiato via dal vento solare e disperso nel tempo lungo tutta l’orbita. Il luogo da cui sembrano partire le stelle cadenti è chiamato radiante; esso si sposta nel cielo con il progredire del moto della Terra attraverso lo sciame: più questo è vecchio, più è disperso lungo la sua orbita, più tempo impiega la Terra per attraversarlo.
[…] Sarebbe infatti molto sciocco pensare che siano le stelle a cadere o ad attraversare il cielo o che frammenti possano essere loro sottratti e raschiati via. Se così fosse, in effetti, sarebbero già scomparse: non c’è notte infatti in cui non si vedano passare numerose e spostarsi in diverse direzioni. Eppure ciascuna la si ritrova al suo posto abituale e mantiene costante la sua grandezza; ne consegue dunque che questi fenomeni abbiano origine sotto le stelle e rapidamente vengano meno in quanto non hanno base e sede fissa.
Lucio Anneo Seneca in Questiones naturales, I 5, 6,7
Grazie Paola, per aver dato a questa pillola il palpito dell’emozione, che pervade quando ci si trova immersi nell’apparente nullità del deserto.