Nell’esprimere un’esaltante apologia della società attuale Vattimo è inconsapevole delle contraddizioni intrinseche all’ideologia e ai presupposti che la sostanziano.
L’atteggiamento di chi considera l’epoca postmoderna come quella nella quale l’uomo ha finalmente la possibilità di emanciparsi dando pieno spazio di realizzazione alle istanze libertarie delle minoranze sociali, dimostra di mancare dell’onestà intellettuale necessaria a riconoscere alcuni condizionamenti generali che, invece, deturpano e sviliscono i propositi di autodeterminazione di quelle minoranze e dei singoli.
Secondo un dichiarato antistoricismo, le posizioni postmoderniste di Vattimo considerano l’epoca attuale come un’età aurea, nella quale si presenterebbero le condizioni esistenziali idonee affinché tutta l’umanità si configuri come un insieme variegato ed eterogeneo di tipi umani che finalmente possono concretamente realizzare la propria dignità.
In virtù di questo proposito ideale, ritenuto finalmente realizzabile, si stabilisce il rifiuto della modernità e, di conseguenza, si afferma la caduta di ogni prospettiva culturale che abbia origine nel passato. Considerando la realtà presente come la migliore possibile si impone l’annichilimento di qualsiasi alternativo indirizzo di pensiero che metta in dubbio l’insuperabilità della visione attuale.
La distruzione di una linea di sviluppo storico rende l’approccio ideologico alla base del postmodernismo, in realtà, tributario di quella stessa concezione che intende rifiutare. Un pensiero che si dichiari antistoricista rafforza paradossalmente l’idea di Storia che ne è il logico presupposto. Il passato è l’insieme dei precedenti che si impongono con oggettività alla coscienza dell’uomo con forza tanto maggiore quanto più è determinante la volontà di respingerli.
L’idealizzazione del presente viene formulata come riconoscimento, nei mass media, di una forza liberatoria che opererebbe nella direzione di un affrancamento di tutta la Terra «dal dominio delle ideologie totalizzanti».
«Le minoranze etniche, sessuali, religiose, culturali, le quali ora gioiosamente possono prendere la parola, [sono riconosciute finalmente in grado di superare la loro tradizionale condizione di inferiorità]. C’è veramente da chiedersi non solo come sia possibile ignorare decenni di pensiero critico, o almeno non piattamente apologetico, sull’universo massmediologico […], ma più semplicemente in che mondo vivano i teorici del postmoderno» (cfr. Romano Luperini L’allegoria del moderno, Editori Riuniti, Roma 1990).
Il rifiuto aprioristico di ogni dialettica suggerisce, già di per sé, l’accettazione di un’ottica totalitaria e impositiva che rappresenta un terreno fertile per la nascita di dittature e linee di pensiero omogeneizzanti.
È Marshall H. McLuhan, sociologo canadese, il primo a definire la società contemporanea come un “villaggio globale”. Ne Gli strumenti del comunicare pubblicati nel 1964, egli afferma che nella realtà in cui viviamo «il mezzo è il messaggio».
Lo studioso intende dire che il potenziale comunicativo del mezzo non sta nel contenuto ma nello strumento stesso attraverso cui quel contenuto viene veicolato, cioè il “medium”. E questo mezzo appiattisce (cioè i giornali, la radio, la televisione, e oggi internet, che sono a disposizione di tutti).
Col “pensiero debole” di Vattimo, il nichilismo dell’epoca contemporanea ha raggiunto estremi impensabili rispetto alle teorizzazioni di Nietzsche all’inizio del Novecento. L’approccio interpretativo che fa capo al relativismo degli anni conclusivi del Ventesimo secolo e di quelli iniziali del Ventunesimo è un tassello ancora ulteriore della deriva attuale.
Luperini stesso riconosce quanto la filosofia europea sia, ora più che mai, in un rapporto organico con le forze del potere. Il pensiero culturale dominante e “unico” (è il caso di aggiungerlo) toglie agli individui ogni possibilità di distanziarvisi in maniera critica e razionale.
In una linea di continuità oramai imperitura rispetto agli anni Novanta del secolo scorso, si assiste oggi al totale rifiuto di ogni confronto con “l’altro da sé”. Tale rinuncia viene espressa sotto forma del tacitamento di ogni voce dissonante e fuori dal coro, giustificato dal bisogno di liquidare ogni ragionamento dialettico.
Il rigoroso metodo procedurale del pensiero aristotelico, sul quale si è costruita tutta la razionalità del mondo occidentale, è stato abnegato in virtù del diktat di accettare sempre e comunque il punto di vista dominante. Viene assunta come assoluta e dogmatica verità la posizione di una ristrettissima oligarchia finanziaria che regge il potere economico.
Questa stessa prospettiva contempla, per via traversa, un allargamento onnicomprensivo del pensiero critico che accoglie qualsiasi tipo di istanza soggettiva. Ogni nuovo bisogno o capriccio e qualunque nuova richiesta individuale che si presenti all’interno della società, viene ritenuta degna di essere accettata in virtù del nuovo comandamento di includere tutto e tutti.
E anche quest’ultima è una questione nodale notevolmente dibattuta, che merita un ulteriore approfondimento.
Davide, hai colto il punto, il vero nodo ideologico di questa pseudo cultura post moderna. Da un lato, la imposta sudditanza al pensiero unico dominante e dall’altro l’altrettanto imposta accettazione di ogni tipo di singola istanza individuale.
Questo è un pensiero che contraddice se stesso, in quanto vuoto di contenuto e sopratutto inverosimile anche per chi lo professa.
Esattamente, Stefania. Grazie per la lettura. Ho steso una serie di articoli sull’ideologia che sostanzia la nostra attualità. Questo articolo è inteso in continuità con quello precedente e ce ne saranno altri. La questione, che è complessa, l’hai inquadrata bene nella sintesi che hai proposto nel tuo commento. Ritengo che approfondire questa questione sia assolutamente irrinunciabile per noi che abbiamo il proposito di costruire la nostra alternativa basata su tutt’altro tipo di presupposti.