analisidifesa.it, 19 marzo 2024 – L’attenzione di politica e media si è concentrata negli ultimi giorni sulle elezioni presidenziali russe (il cui esito era scontato) e al dibattito circa l’impegno diretto di truppe europee al fianco di quelle ucraine e l’invio di maggiori e più potenti armamenti a Kiev.
Un dibattito aperto dalle dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron circa il possibile invio di truppe francesi in Ucraina, ravvivato dall’invito del Papa a Kiev a negoziare la pace con la Russia ora che la situazione per le truppe ucraine si fa sempre più precaria, il tutto in un contesto un po’ isterico di continui proclami di sostegno all’Ucraina “fino alla vittoria” e di moniti all’opinione pubblica in Europa affinché si prepari alla guerra contro la Russia.
L’incontro trilaterale dei giorni scorsi tra i leader di Francia, Germania e Polonia si è svolto in questo clima “bellicista” pur con il cancelliere Scholz che si oppone all’invio dei missili da crociera Taurus e di truppe tedesche in Ucraina.
Un “triangolare” che ha mostrato ancora una volta le divisioni interne alla UE ma che soprattutto ha voluto evidenziare quali siano oggi le “potenze di riferimento” del Vecchio Continente: il fatto che l’Italia non sia stata invitata ha offerto il destro al vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani per lanciare un monito. «Ognuno è libero però non dà un messaggio forte a Putin il fatto che due-tre-quattro Paesi si riuniscano quando invece dovrebbe riunirsi tutta l’Unione Europea. La coesione dell’Europa dà un messaggio di compattezza e determinazione all’Ucraina e a Putin, invece di rinforzarci così ci indeboliamo anche politicamente».
Sogni di gloria….
Negli ultimi due anni NATO e UE hanno fornito aiuti all’Ucraina ma hanno anche inviato a combattere quasi 14.000 “volontari” (secondo i dati forniti dai russi che li chiamano “mercenari”) provenienti da diverse nazioni anche extra europee: tra questi, secondo il ministero della Difesa di Mosca, circa 6.000 sono stati uccisi tra i quali 33 dei 90 italiani presenti in Ucraina.
La notizia avrebbe meritato attenzione politica e mediatica ma è stata per lo più ignorata a conferma dell’imbarazzo delle cancellerie europee. E se i governi sono in imbarazzo per la morte dei “volontari”, figuriamoci che impatto avrebbe il decesso di qualche migliaio di militari regolari.
Si fa presto a dire guerra, specie se a combatterla ci vanno gli ucraini, ma il bellicismo interventista con cui oggi alcuni leader occidentali parlano di inviare truppe regolari in Ucraina (non solo i francesi ma anche polacchi e baltici evocano o non escludono un intervento) e molti preannunciano entro pochi anni un conflitto aperto con Mosca è nei fatti concreti pura “aria fritta” poiché non si basa su nessuna valutazione oggettiva né su capacità belliche concrete dell’Europa.
La stessa NATO esclude una minaccia di Mosca alle nazioni alleate mentre a un confronto militare con Mosca occorreva prepararsi per tempo.
Fin dal 2007 Vladimir Putin ha lamentato l’ampliamento a est della NATO, le basi missilistiche americane in Polonia e Romania e l’influenza diretta USA/NATO sull’Ucraina come minacce pericolose per la sicurezza della Federazione Russa. Nel 2014, dopo il golpe/rivoluzione del Maidan, questi moniti si sono moltiplicati intensificandosi ulteriormente dopo l’inizio della guerra in Donbass e ancor di più dopo il fallimento degli accordi di Minsk.
Accordi che, come hanno dichiarato candidamente Angela Merkel e Francois Hollande in seguito all’attacco russo all’Ucraina di due anni or sono, avevano solo lo scopo di guadagnare tempo per permettere alle truppe di Kiev di venire preparate dalle potenze occidentali alla guerra con la Russia.
Nel dicembre 2021 Mosca offrì di discutere questi temi con l’Occidente per definire una nuova cornice di sicurezza ma la richiesta venne ignorata. Del resto pochi mesi or sono lo stesso Segretario generale della NATO, Lens Stoltenberg, ammise che i soldati ucraini combattevano con tenacia perché «è dal 2014 che li addestriamo per combattere i russi».
Tutti questi elementi vanno essere ricordati (anche rischiando di venire accusati di essere “putiniani”) per inquadrare il contesto attuale del conflitto ma soprattutto perché sembrano indicare la precisa volontà dell’Occidente di giungere al braccio di ferro, se non al conflitto aperto, con la Russia. In tale ottica possiamo pure sottolineare che gli europei hanno seguito supinamente e contro i loro interessi gli ordini degli anglo-americani (chi è causa del suo male pianga sé stesso), ma l’aspetto più tragico e al tempo stesso comico è che nessuna nazione europea si è preparata davvero alla guerra contro la Russia di cui da almeno 20 anni stiamo creando consapevolmente le premesse.
Nemmeno dopo l’attacco russo all’Ucraina del febbraio 2022. Forse perché abbiamo tutti creduto che questa guerra avrebbe logorato la Russia, che le nostre sanzioni avrebbero piegato Mosca e il suo esercito senza munizioni che combatteva coi badili?
……e la cruda realtà
Oggi però le dichiarazioni bellicose di premier, ministri e qualche generale cozzano con la brutale realtà dei fatti.
Prendiamo il caso della Francia. Per il presidente Emmanuel Macron non c’è «nessun limite» quando si tratta di sostenere l’Ucraina, neppure l’invio di truppe mentre il ministro per l’Europa, Jean-Noël Barrot ha aggiunto che «non possiamo escludere nulla, dobbiamo fare di tutto per impedire alla Russia di vincere questa guerra.»
Peccato che Macron sia da anni ai ferri corti con l’apparato militare come ricordava già nel 2021 il quotidiano Le Parisien e che negli ultimi giorni si sia ingigantito il fenomeno delle dimissioni di personale militare esperto già di ragguardevoli dimensioni da alcuni anni a fronte di scarsa adesione all’arruolamento di nuove reclute.
La rivista Marianne ha intervistato anonimi ufficiali francesi che hanno demolito i sogni di Macron evidenziando che le forze ucraine non possono resistere ai russi se non arruolano almeno 30/35 mila coscritti al mese e non hanno speranze di vincere la guerra.
Inoltre la Francia ha ceduto 30 obici semoventi d’artiglieria (“regina” anche di questa guerra) all’Ucraina con gran parte delle munizioni disponibili e oggi il suo esercito ne schiera appena 82 di cui 32 in procinto di essere radiati per anzianità. Nel maggio 2022 un rapporto della Commissione Difesa del Parlamento francese fece emergere che le riserve di armi e munizioni erano del tutto inadeguate a far fronte a un conflitto convenzionale.
Il senatore Christian Cambon, presidente della Commissione, ha valutato che il numero di munizioni impiegate dall’esercito russo in un solo giorno di guerra in Ucraina equivale alle munizioni impiegate in un anno dall’Armée de Terre le cui scorte presenti consentirebbero di sostenere per tre o quattro giorni un conflitto come quello in Ucraina. Ricostituire gli arsenali di munizioni, razzi e missili richiederebbe non meno di tre o quattro anni e una spesa di 6/7 miliardi di euro. E le forze armate francesi sono quelle meglio equipaggiate e rifornite in ambito UE.
In Germania, dove parte del governo critica il cancelliere Scholz per il rifiuto a fornire missili da crociera Taurus (nella foto sotto), tema di cui ci occuperemo nei prossimi giorni in un articolo a parte, mentre diversi ministri sottolineano l’obiettivo di aiutare l’Ucraina a riconquistare i territori perduti.
Sul piano pratico però la situazione militare tedesca non dovrebbe giustificare ottimismi né bellicismi. Nel 2022 l’allora ministro della Difesa tedesco, Christine Lambrecht (SPD), stimava che aumentare le riserve di munizioni per renderle adeguate a un contesto bellico convenzionale sarebbe costato 20 miliardi di euro richiedendo qualche anno.
Alla fine di quell’anno un rapporto “confidenziale” per la commissione Difesa del Bundestag ma reso pubblico da der Spiegel, riportava un brano in cui la stessa Lambrecht ammetteva che la Bundeswehr «può assolvere solo in misura limitata i compiti assegnati in ambito NATO». Figuriamoci fare la guerra!
Due settimane or sono è emerso che i depositi di munizioni d’artiglieria tedeschi sono vuoti dopo aver ceduto quasi tutti i proiettili all’Ucraina e ripianarli a livello pre-guerra costerebbe 40 miliardi e richiederebbe molti anni non solo per le capacità produttive dell’industria, ma anche perché la Germania spende per tutta la Difesa quest’anno 71 miliardi di euro.
Nell’agosto 2023 il governo tedesco ha rinunciato a spendere per la Difesa il 2 per cento del PIL chiesto dalla NATO, mantenendo l’impegno a raggiungere tale l’obiettivo entro i prossimi cinque anni. Eppure, il Cancelliere Olaf Scholz in un discorso del 27 febbraio 2022 (tre giorni dopo l’attacco russo all’Ucraina) aveva annunciato che «d’ora in poi, anno dopo anno, investiremo più del 2% del Pil nella nostra difesa».
La scorsa settimana il Rapporto 2023 redatto dal presidente della Commissione Difesa del Bundestag Eva Hoegl, ha rivelato che le forze armate tedesche continuano a mancare sia di personale sia di materiali e le loro infrastrutture sono fatiscenti. «Le criticità dello strumento militare della Germania sono note da anni e perdurano, con le truppe che «continuano a invecchiare e diminuire». Inoltre, mancano molti sistemi d’arma principali e pezzi di ricambio e «queste carenze sono aggravate dalle forniture di armi e materiali all’Ucraina».
Guardiamo anche alla Gran Bretagna dove il ministro della Difesa Grant Shapps l’8 marzo ha ribadito a Kiev che “il mondo democratico deve far sì che l’Ucraina vinca questa guerra” mentre i vertici militari britannici parlano da tempo di prepararsi a inviare truppe in Europa per combattere i russi.
Peccato che le forze armate di Sua Maestà soffrano come e più delle altre occidentali di un crescente esodo del personale in servizio e di un continuo calo degli arruolamenti avendo raggiunto il minimo storico di militari in servizio dalla fine delle guerre napoleoniche.
Carenza di truppe e insufficienti stanziamenti finanziari costringono Londra a ritirare dai ranghi due navi da guerra ed entro il 2025 anche 30 aerei da caccia (riducendo la sua forza aerea da combattimento ad appena 150 cacciabombardieri, non tutti operativi) mentre si valuta di vendere una delle due portaerei in servizio, peraltro continuamente colpite da avarie.
Un mese or sono il rapporto sulle capacità operative delle forze armate britanniche intitolato Ready for War? ha riferito di una situazione militare molto preoccupante. «In caso di una guerra tra il Regno Unito e un avversario di dimensioni simili, le forze armate britanniche esaurirebbero le loro capacità dopo i primi due mesi di combattimento», ha affermato il generale Sir Nick Carter, ex Capo di Stato maggiore della Difesa. Il generale Lord Nick Houghton, ex capo di stato maggiore del British Army e della Difesa, ha detto alla Commissione che dal 2010 si è verificato uno «svuotamento» delle forze armate, che ha portato a carenze nella «resilienza bellica del paese».
Superfluo aggiungere che per tutte le altre nazioni europee la situazione è anche più grave e le forze disponibili sono inferiori a quelle di Francia, Germania o Gran Bretagna mentre le capacità operative come le riserve di munizioni sono ancora più limitate.
Da Roma parole di buon senso
L’Italia occupa la 13a posizione nella classifica dei fornitori di aiuti militari all’Ucraina ma, soprattutto in seguito alle dichiarazioni di Papa Francesco duramente contestate e ostracizzate da quasi tutte le capitali europee (oltre che da Kiev), proprio dai ministri italiani Tajani e Crosetto sono emerse le uniche (o quasi) valutazioni basate su buon senso e pragmatismo.
«Gli investimenti nella Difesa non sono un capriccio del ministro di turno, ma una parte fondamentale dell’obbligo di difendere uno Stato al di là delle minacce militari dirette», ha detto nei giorni scorsi il ministro della Difesa Guido Crosetto durante il question-time nell’Aula di Montecitorio aggiungendo però che «il 2% del Pil da investire sulla Difesa esiste da dieci anni ed è stato confermato da tutti gli esecutivi successivi: nel 2020 le spese per la difesa ammontavano all’1,59%, nel 2021 all’1,57%, nel 2022 all’1,51%, nel 2023 all’1,46% e nel 2024 probabilmente scenderà ulteriormente».
Il 14 marzo il vice premier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha escluso per l’ennesima volta l’invio di truppe italiane in Ucraina. «Escludo l’invio di truppe perché vogliamo la pace, non vogliamo fare la guerra con la Russia. Aiutiamo l’Ucraina a difendere la sua indipendenza. È diverso da mandare truppe italiane a combattere contro i russi», ha spiegato Tajani.
Una partita che non possiamo giocare
Parlare di combattere una guerra contro i russi o di intervenire con truppe europee in Ucraina non ha alcun senso. Non è questione di scelte politiche o strategiche né di essere filo-russi o filo-ucraini. Semplicemente non è possibile farlo: ammesso che le nostre società fossero pronte a sopportare perdite così ingenti tra i militari, non vi sarebbero armi e munizioni a sufficienza per combattere una guerra convenzionale su vasta scala.
Non ne abbiamo la capacità, a meno che non si tratti di inviare qualche contingente simbolico di poche centinaia o migliaia di militari che però non farebbe la differenza e non influirebbe sull’esito della guerra così come non lo cambieranno qualche decina di missili da crociera (come i tedeschi Taurus) in più o in meno forniti agli ucraini.
Per questo dovrebbe essere chiara la percezione che la guerra non può essere un’opzione per l’Europa, ma solo un disastro, qualcosa da scongiurare in ogni modo e prioritariamente con un negoziato che non solo ponga fine al conflitto in Ucraina ma abbia l’ambizione di ristabilire una cornice di sicurezza stabile e duratura ai confini orientali dell’Europa. Del resto se vi fosse il tracollo dell’apparato militare ucraino che oggi in molti, in Occidente come a Kiev, ritengono probabile o imminente, le pretese politiche e territoriali di Mosca si ingigantirebbero.
Inoltre, al di là delle chiacchiere belliciste di una classe dirigente europea imbarazzante nella sua inadeguatezza, oggi la UE è molto più debole militarmente di quando è iniziata la guerra in Ucraina e i lunghi tempi di produzione richiesti dall’industria della Difesa e la continua riduzione di personale degli strumenti militari occidentali peggioreranno ulteriormente la situazione.
In fondo, quello che stupisce nel dibattito sul tema della guerra non è che il Papa chieda negoziati di pace per fermare un sanguinoso conflitto ma che lo faccia basandosi su un’analisi pragmatica della situazione militare e geopolitica che sembra invece sfuggire alla gran parte degli statisti in Europa.
Gianandrea Gaiani
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui “Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane”, “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e “L’ultima guerra contro l’Europa”. Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.