Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna
(Giuseppe Ungaretti)

Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna
(Giuseppe Ungaretti)

Chiedevo sempre a me stesso
Come si potesse vivere da circense
Mi pareva
Bambino
Che tutti quei fantocci
Fossero lì ogni sera
E se ne stessero soli
Dietro quelle tende
Ad aspettare il loro turno
Un po’ come tutti noi
Pensavo che la differenza fosse solo
Nella loro esistenza randagia
Nell’essere
Liberi in quel mondo speciale
Inondato di trucco
In quei variegati costumi
Dietro maschere colorate di malinconia
In quell’aria profumata di rischio
E di spettacolo
In quelle grandi gabbie
Parevano freschi di tavolozza
Anche i loro sentimenti
I loro desideri
Le loro emozioni
Lucide di ansia e di paura
Spalmate a spatola
Sul volto
Ingessati come burattini
Fino a quando
Non vidi un bimbo
Uno di quelli
Correre incontro alla madre
Saltarle al collo
E piangere di gioia
Abbracciandola stretta

Ed è vero che i circensi sono spesso la metafora del nostro modo di vivere: tutti come noi dipinti del nostro ruolo nello spettacolo del giorno ma in fondo artefici delle nostre illusioni, dei nostri desideri, dei nostri amori e delle nostre emozioni

Foto di copertina: Pablo Picasso, “Gente di circo”

Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.

È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.

Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.

Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.

Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.

Siamo sempre poi finiti in una sorta di vicolo cieco, quello del mistero attorno al quale si dipana la vita, dove abbastanza facilmente si entra ma spesso meno facilmente si riescono a riconoscere i valori più profondi che animano e sottendono l’enigma esistenziale .

E sempre, come ad un appuntamento significativo di una importante cerimonia celebrativa, ci siamo ritrovati con le medesime domande e con le più svariate quanto spesso insufficienti e deludenti risposte.

Risposte che solo l’armonia della creazione insieme a tutti i misteri noti o ancora ignoti possono utilmente significare.

3 commenti su “Gente di circo

  1. Appunto
    “Fino a quando
    Non vidi un bimbo
    Uno di quelli
    Correre incontro alla madre
    Saltarle al collo
    E piangere di gioia
    Abbracciandola stretta”
    La dittatura di cui Magdi parla fortunatamente si dilegua e scompare dopo questa semplice visione dell’amore del bimbo per la sua mamma : i sentimenti più genuini e semplici della vita quotidiana , i fondamentali dello spirito umano combattono e vincono tutti gli stereotipi del mondo e i tentativi di stuprarne la dimensione emotiva…

  2. Il circo è come il mondo, i circensi come gli abitanti del mondo. Luci, musica, spettacolo: quello che appare. Artisti che faticano, rischiano, soffrono: come la vita di ogni uomo. Il pubblico applaude alle gesta di quegli uomini e donne, animali. Ma in realtà a cosa applaude? Alla sofferenza, al rischio, al dolore, alla schiavitù. Il circo mi ha sempre messo tristezza, ormai da decenni non lo frequento, se non per lavoro……essendomi imbattuto più volte in ladri acrobati!

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