La canzone dei campi

Ho visto al tempo mio cento artigiani, cento contadini, più saggi e più felici di molti rettori d’università.
(Michel De Montaigne)

Ricordo spesso quella canzone
Che sentivo da bambino
Dall’aia
Tornavano dai campi
Alla fine di una lunga giornata
In fila uno dopo l’altro
All’imbrunire
Pareva una processione immobile
Dipinta insieme ai gelsi
Sulle cavedagne
Risuona intorno l’eco di quelle parole
Di ringraziamento
Di lode
Con la campana del paese
Ad accompagnare l’invocazione
Annuncio di gioia semplice
Arie che sono ancora scolpite dentro
L’avevamo imparata a mente
Quella canzone
Entrava in casa come una nenia
Un accurato ritornello lontano
Irreale
Si spegne il sole
La campagna dorme
Andiamo a casa ci aspetta l’amore
Si spegne il sole
Si accendono le luci
La campagna tace
Andiamo a casa a trovare l’amore
E tutti quegli odori
Intensi
Caldi come l’incenso
Le emozioni
Che ho portato con me per la vita
Con l’afa di certe sere d’estate
Ho davanti
La zuppiera piena di pasta fumante
L’insalata bianca e verde
I colori essenziali della tavola
E quegli sguardi curiosi
Insistenti
Indagatori
Poche parole
Occhi spalancati a scoprire i miracoli della sera
Le mani ruvide
Nodose
Congiunte
Della santa preghiera dei vecchi
Caduta in disuso
Nel tempo
Come le vecchie pentole
Il dolce della festa
La messa in cascina
E la polenta abbrustolita
Sulla grata del camino
Recitavamo dolci parole di gratitudine
O Dio signore della vita
Che nutri gli uccelli del cielo
E vesti i gigli del campo
Benedici tutte le tue creature
E il cibo che stiamo per prendere
Danne a quelli che nulla hanno in tavola
Poi si iniziava
Tutti
In silenziosa
E misurata letizia
Il rito antico della cena
Cantilene di gesti
Ripetuti come una litania
Fino al riposo della sera
E ai sogni attesi della notte

Foto di copertina: “La canzone dei campi” dal web

Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.

È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.

Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.

Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.

Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.

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