Di Andrea Managò
4 agosto 2022
AGI – Dietro la tensione tra Usa e Cina su Taiwan, riaccesa dalla visita lampo della speaker della Camera dei Rappresentanti americana Nancy Pelosi, non ci sono solo questioni di geopolitica. Per la Repubblica popolare cinese l’isola di Formosa è una «provincia separatista» – riconosciuta come Stato indipendente solo da 14 Paesi – e il suo ritorno nella Madrepatria sarebbe l’ultimo tassello sulla strada del «ringiovanimento nazionale».
Ma Taiwan è anche il più grande produttore al mondo di semiconduttori, li assembla e li esporta. L’altro leader del mercato è la Corea del Sud. Silicio, germanio e gallio sono alla base dei microchip che consentono il funzionamento di circuiti e display che caratterizzano le automobili moderne, gli smartphone, le tv così come i notebook.
Una fetta immensa dell’economia globale e del comparto hi-tech è appesa a componenti grandi poco più di un bottone. Con gli Stati Uniti, un tempo leader del settore della produzione di chip, che oggi vedono i grandi colossi dell’hi-tech importare da Taiwan i pezzi per i loro prodotti.
Basti ricordare la Tsmc di Hsinchu, a Taiwan, è la maggior fornitrice di componenti di Apple. L’azienda di Cupertino nel 2025 farà realizzare al colosso di Taipei anche i nuovi chip a 2 nanometri per i suoi Iphone. Tsmc è la leader indiscussa sul mercato dei semiconduttori, gli ultimi dati indicano che ne realizza il 53% di quelli globali.
Nel secondo semestre 2022 l’azienda ha registrato numeri record: un fatturato di 18,16 miliardi di dollari, con un aumento del 43,5% su base annua e un utile netto in crescita del 76,4% su base annua, superiore alle stime.
La pandemia di Covid ha inciso notevolmente sul mercato dei chip, esacerbando le tensioni geopolitiche attorno al settore. Costrette a lavorare da casa per lunghi periodi, centinania di milioni di persone hanno aumentato la domanda di prodotti elettronici più potenti ed affidabili. Con il risultato che l’offerta è andata in sofferenza, complici anche i ripetuti e prolugati blocchi dei porti asiatici a causa di blocchi, quarantene e restrizioni.
Una crisi che ha prima impattato sui produttori di prodotti per l’elettronica per poi arrivare ai produttori di automobili, la cui produzione è legata per il 60% ai semiconduttori. È in questo scenario che impatta la nuova tensione tra Usa e Cina, figlia anche delle diverse visioni sul conflitto in corso in Ucraina, con la Russia che da oltre 5 mesi ha invaso il Paese est europeo un tempo parte dell’Unione Sovietica.
Nonostante le tensioni politiche e militari, però, gli affari tra Cina e Taiwan vanno a gonfie vele: nel 2021 le esportazioni di Taipei verso Pechino sono cresciute del 24,8%. A spingerle sono proprio i prodotti tecnologici. Oltre il 40% delle merci esportate da Taiwan sono dirette nella vicina Repubblica popolare cinese.
Mentre si disputano il mercato taiwanese, Cina e Usa guardano al futuro, cercando di rendersi più indipendenti. Il presidente Joe Biden lo scorso anno ha firmato un ordine esecutivo che prevede una revisione della catena di approvvigionamento dei semiconduttori inserendo 50 miliardi di dollari nel pacchetto di stimoli alla ricerca.
L’obiettivo è fornire incentivi per consentire la ricerca e lo sviluppo di chip e semiconduttori per ridurre la dipendenza da Taiwan. Anche la Cina sta cercando di smarcarsi dalla dipendenza estera, investendo nella produzione di ‘qualità’ di semiconduttori. Il quattordicesimo piano quinquennale propone un rafforzamento dell’industria interna dei semiconduttori e punta ad ottenerlo con un ricco programma di sussidi.