Danzavano le note
Trionfanti
Sulle onde increspate del lago
Mentre noi si camminava
Sul bordo ventoso
Dei riflessi annoiati dell’anima
Testimoni ignari
I passanti della fine di questa estate
Colori di costumi forestieri
Partenze verso altre sponde lontane
File in attesa dell’attracco
Immagini come tante
Che si susseguono veloci e scompaiono nel nulla
Antichi inerti commiati dalle cose
Abbandoni rassegnati
Senza l’emozione del distacco
Come se non ci fosse un’altra volta
Come non ci fosse nulla da lasciare
Ad ogni passo
Una sosta
Volevi piegare la sonorità dei corpi
Al soave linguaggio dell’anima
La geometria opaca del pentagramma
Alla logica successione di suoni
Affini
Concomitanti
Nel cuore di ardite tonalità
Mi hai insegnato a riconoscere il confine
Fra arte e cultura
Nella onnipotente visione delle muse
Eppure
Quei navigli bianchi tutti uguali
Continuavano ad alternarsi
Alla stazione
Indifferenti
Al sommo patimento della tua storia
Alle tinte lucenti del tuo sogno
La nobile isola pareva cullarsi regale
Poco distante
Dal profilo dei monti
Chi potrà mai capire il senso
Della tua infuocata passione
Del tuo religioso affanno
Di questo inquieto cruccio
Del profondo disprezzo
Di cupe stagioni ai confini del cielo
Della pena di inutili spartiti
Rimasti in epoche remote
Ardui da far rivivere
Altra gente
Maestro
Altri tempi
Al crepuscolo
Ci hanno accompagnato
L’azzurro cupo dell’acqua
Il ritmo insistente
Del leggero battito d’ali
Di qualche gabbiano
Banchine ormai vuote
E i ricami armoniosi e solenni
Di giochi eleganti
Disegnati da qualche cigno
Sul palcoscenico della riva

La mia anima è una misteriosa orchestra; non so quali strumenti suoni e strida dentro di me: corde e arpe, timpani e tamburi. Mi conosco come una sinfonia.
(Fernando Pessoa)

Il cammino lungo e complesso, pressoché impossibile, del direttore d’orchestra; si tratta di portare il messaggio delle note verso l’infinito, che è Dio. Ho pensato a Vittorio Gui che, verso i 90 anni, disse: peccato, proprio ora che stavo imparando che cosa significa dirigere un’orchestra.
(Riccardo Muti)

Foto di copertina: Stefano Michelangelo Lucarelli – Direttore d’orchestra

Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.

È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.

Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.

Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.

Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.

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