Le parole sono importanti: si sa, possono ferire più della spada, possono ingenerare tragici sospetti (vedi Jago con Otello), possono far scoppiare una guerra o risolvere un problema.
Ma anche la punteggiatura è fondamentale, perché può cambiare il senso delle parole che diciamo: la sua assenza può far diventare la descrizione ad un amico di una semplice e naturale azione che si sta compiendo, come “Sto mangiando, Luigi”, in un’agghiacciante dichiarazione di pratica di cannibalismo: “Sto mangiando Luigi”.
Purtroppo, con l’avvento di Twitter, Facebook ed i messaggini telefonici, i punti e le virgole sono puramente opzionali, e si tende a pensare di essere chiari anche a dispetto dell’evidente confusione ed imprecisione della nostra comunicazione. Spesso le frasi sono sintetiche, quasi criptiche, ed il più delle volte, proprio nell’epoca della comunicazione globale, stentiamo a capire quello che il nostro interlocutore a distanza o virtuale ci vorrebbe dire, semplicemente perché non è espresso bene.
Ma anche la musica ha le sue virgole, i suoi punti, i suoi puntini di sospensione, i suoi punti esclamativi ed interrogativi, le sue parentesi.
Come non riusciremmo mai a leggere un testo da cima a fondo senza respirare, così non riusciremmo mai a cantare o a suonare un brano senza una pausa per prendere respiro: sembra logico, ma mentre nella lettura ci viene piuttosto naturale scegliere i tempi ed i ritmi giusti, nella musica, sapere respirare bene, vale a dire, mettere le virgole come si deve, è un’arte che si apprende con pazienza e solo attraverso una dura disciplina ed una costante applicazione.
Se ascoltate con attenzione le migliori registrazioni dei grandi interpreti del passato, non vi sfuggirà il respiro del violinista chiaramente percettibile prima di un attacco: non è certo un difetto, al contrario, è un sigillo di autenticità, è il vissuto della musica, la sua certificazione di qualità.
Se spostate l’accento di una parola, questa cambia di significato: “perdono” e “pèrdono”, ad esempio, oppure “prìncipi” e “princìpi”, “càpitano”, “capitàno” e “capitanò”.
Ugualmente, se spostate l’accento in una frase musicale, cambia il carattere dell’inciso e la sensazione che ne riceve l’ascoltatore è completamente diversa.
Se leggete senza espressione un testo, anche bellissimo, di Dante o di Petrarca, pensando che basti solo snocciolare le parole, ad una ad una, in modo meccanico, l’ascoltatore non darà la colpa allo scrittore per l’assenza di emozioni, ma solo ed esclusivamente a voi.
Certe interpretazioni nella musica sono esattamente come delle letture senza espressione, solo che al posto delle parole ci sono delle note.
Come sapere leggere e scrivere non fa di qualcuno il nuovo Manzoni o il nuovo Boccaccio, così sapere leggere e scrivere le note musicali o sapere suonare uno strumento non fa di qualcuno un Mozart o un Beethoven.
E finché la punteggiatura sarà considerata solo un inutile orpello in una società della comunicazione sempre più superficiale e pasticciona, anche nella musica, il fraseggio, lo stile, i particolari, vale a dire, tutto ciò che rende unica un’interpretazione o una composizione, saranno considerati solo piccolezze in un mondo sempre più cieco e sordo alla vera “grande bellezza”.
Concordo in toto con le tue comparazioni tra mondo della musica e mondo della poesia o del linguaggio in merito alla funzione importantissima della punteggiatura, carissimo Stefano. L’attenzione ai particolari, nell’ambito di qualsivoglia forma di comunicazione, si sta riducendo sempre più. Dobbiamo attivare un sentito sforzo affinché si torni a soffermarsi di nuovo sulle cose, prendendoci il nostro tempo, rallentando, uscendo più spesso dai ritmi imposti dalla foga di puntare sempre e comunque al raggiungimento di un risultato, di ricevere risposte con facilità.