DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Leopardi nei quaderni del ’43. Poesia filosofica: contenuto “teorico” e rappresentazione “concreta””

Nelle lezioni relative ai corsi che De Sanctis tiene negli anni ’42-’43 e ’43-’44, il critico opera una svolta determinante nella sua interpretazione di Leopardi e ne precisa i termini critici in nome non più di una semplice consonanza poetico-sentimentale con lui, ma attraverso una comprensione critica che coglie l’essenza della sua poetica.

Il riscatto dell’intrinseco valore e l’apprezzabilità dell’esperienza poetica leopardiana nascono, adesso, da uno studio attento, da parte di De Sanctis, della sua genesi e dei procedimenti creativi che ne stanno alla base.

Il risultato della ricostruzione complessiva del percorso di formazione (poetico-intellettiva) della poesia leopardiana, consente al critico di avvalorare, con maggiore obiettività e determinazione, l’intuizione, che già aveva mostrato di avere, di Leopardi come di una personalità artistica in assoluto rilievo e irriducibile alle condizioni letterarie del suo tempo.

Il modo in cui De Sanctis giunge a questa conclusione è quello di approfondire la cognizione, che già aveva, della poesia leopardiana e quindi di quella moderna, come di una poesia filosofica.

Cambiando diametralmente il suo parere e la sua valutazione nei riguardi della poesia moderna, che l’aveva portato a condannarla come impoetica e prosaica, egli intende indagare sul modo in cui la presenza di un contenuto “concettuale” e scientifico all’interno di una poesia che, nel tono, è tutta lirica e sentimentale, non rappresenti un fattore d’inaridimento della ispirazione che la regge, ma significhi, al contrario, l’accrescimento delle sue potenzialità artistiche e un allargamento delle sue prospettive generali.

Il modo in cui Leopardi è riuscito poeta, secondo il De Sanctis dei corsi didattici a partire dal ’43, si ricava proprio dalla misura in cui il poeta ha ottenuto di quello stesso contenuto filosofico, in sé “astratto” e “teorico”, una rappresentazione “concreta” e “viva”.

Dimostrare questo concetto vale a giustificare come

 

il vero, [in sé], [non] distrugga la fantasia e quindi la poesia,

 

ma come, al contrario, esso, in quanto presupposto razionale non astrattamente e aprioristicamente condizionante, ma soffertamente compartecipato e vissuto in maniera soggettiva e “concreta”, arricchisca, non mortifichi la poesia stessa di temi “sentimentali” e romantici.

Le lezioni del corso del ’43-’44, dedicate a Leopardi, infatti, sono caratterizzate dal recupero e dalla riaffermazione del tono personale e lirico della poesia leopardiana. Negli appunti si legge:

 

chiunque si senta battuto dalle sventure e dalle ingiustizie ricorre a lui [Leopardi], come al proprio poeta, alla voce del proprio cuore.

 

Questa stessa caratterizzazione pratica è volta, adesso, a una precisazione del sentimento di infelicità che traspira dalla poesia leopardiana, secondo un senso diverso rispetto a quello che il critico gli aveva riconosciuto quando aveva definito Leopardi, sulla scorta di un giudizio di Giordani su di lui, “poeta degli infelici”.

E si spiega.

Quella leopardiana è la posizione di un intellettuale che ha quella consapevolezza “critica” della realtà, che gli consente di comprenderla scientificamente e con quel distacco “dignitoso” grazie a cui egli non soccombe al destino malvagio, non cede alle circostanze avverse, e che gli permette di

 

innalzarsi [contemplativamente] dalle sue individuali sciagure ai mali dell’umanità.

 

Esiste, cioè, in Leopardi la capacità di porsi nei confronti della vita e del mondo non come semplice “figlio” arrendevole del proprio tempo, ma come “scienziato” consapevole che constata e prende coscienza del destino storico di decadenza dell’umanità a partire da un’analisi e da uno studio attento di se stesso.

Egli oggettiva scientificamente la vita e l’esistenza osservandola con obiettività e rapportandovisi con opportuna distanza.

La componente razionale e l’apertura poetica alla meditazione scientifica intorno ai contenuti “reali” della vita e dell’esistenza sono, così, in Leopardi, il “vero indizio” e il segno del fatto che egli sia rappresentante esemplare

 

de’ nostri tempi filosofici in cui la scienza è pure entrata nell’arte.

 

Dice De Sanctis :

 

Non vi è poesia di Leopardi, ove non si trovi un concetto filosofico; e in ciò egli è stato il primo in Italia che abbia fatto scaturire la poesia dalla filosofia, e in modo conforme ai nostri tempi abbia dato il predominio al vero.

 

Ma è da precisare che Leopardi ha un rapporto soggettivo con quello che studia con piglio d’analisi scientifica.

 

Egli

tirò le ultime conseguenze della filosofia di quel tempo, la quale in germe conteneva lo scetticismo, da se stesso.

 

I risultati della sua indagine razionale che valgono come considerazioni universali e generali su tutta l’umanità, non sono una semplice premessa dogmatica né il frutto di una fredda e astratta speculazione filosofica.

Il poeta li ricava concretamente da un’analisi e uno studio condotti, innanzitutto su di sé, ma soprattutto li matura vivendoli personalmente, uomo, egli stesso, direttamente implicato nella storia e che vive con disperata partecipazione la sua esistenza terrena.

La genesi della poesia leopardiana e la sua ispirazione si “spiegano” alla luce di quell’approccio meditativo e razionale con cui il poeta scientificamente si rapporta alla realtà, studiandola e prendendone obiettiva coscienza, ma hanno un’origine prima di tutto affettiva e sentimentale.

La poesia di Leopardi non nasce come slancio lirico irrazionale e inspiegabile, perché l’atto creativo del poeta non muove da semplici impulsi affettivi e sentimentali.

Ma essa pur si sostanzia di contenuti emotivi sinceri e si forgia di una materia umana vivente che attinge, nel profondo, all’animo dell’autore, fatto di ansie, di passioni e di schiette ambizioni.

 

Poesia di quel mondo interiore, non meno ampio benché meno vario, che l’uomo meditante trova ne’ recessi del proprio cuore: ed egli ne lo ha tratto, e fatto visibile, e gagliardamente illuminato.

 

Come dice il Giordani, essa è quindi poesia per eccellenza lirica.

Ma è anche, quindi, una poesia che risulta dall’incontro tra scienza e sentimento, irriducibile alle suggestioni di un rapporto inconsapevole e intuitivo con il reale, sorretta da una conoscenza scientifica di quest’ultimo che è base di quell’ “immenso mondo intellettuale” leopardiano all’interno del quale l’uomo e la natura sono studiati come elementi fondamentali su cui si costruisce la concezione leopardiana di un’esistenza dolorosa e sofferta.

 

Poesia di contemplazione che osserva i mali del mondo e se ne addolora,

 

quella di Leopardi è una poesia che si individua nell’accordo perfetto tra intelletto e sentimento.

—-

Il rapporto tra mente e cuore, prospettato inizialmente come contrasto drammatico, fecondo ma inconciliabile, sembra potersi risolvere.

Il quesito relativo alla ricerca di una piena validità poetica da accordare alla poesia di Leopardi cui, a monte, l’indagine desanctisiana cercava una risposta, sembra trovare una sua soluzione all’interno della genesi stessa di quella poesia, in cui il rapporto tra mente e cuore, intelletto e sentimento, si individua non come contrasto ma come un legame di vincolante necessità poetica.

L’intelletto e la meditazione concettuale e scientifica sul mondo non chiudono la possibilità al sentimento di estrinsecarsi, non lo svuotano, ma sono la premessa di una sua più forte affermazione.

La scienza moderna, da cui è scaturita la filosofia scettica d’oltr’Alpe, costituendo l’elemento con cui si confrontano nell’animo di Leopardi le sue “care illusioni”, ha generato il sentimento di sofferenza per il disinganno provato di fronte all’ “arido vero” ed è così potuta divenire ispiratrice di una nuova, esaltante, poesia filosofica.

 

2 commenti su “DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Leopardi nei quaderni del ’43. Poesia filosofica: contenuto “teorico” e rappresentazione “concreta””

  1. Bel commento al De Sanctis, che muta opinione su Leopardi, poeta degli infelici, etichetta infelice, per scoprirne la lirica filosofica sulla condizione della vita, spesso dura e triste e dolorosa, ma condivisa con partecipato sguardo, che diviene impulso alla poesia e a volte alla malinconia, dove cuore e cervello, intelletto e sentimenti non confliggono ma supportano l’essenza dell’essere ed il bisogno di esprimere se stesso oltre la natura matrigna innalzandosi all’essenza del divino attraverso le sofferenze dell’uomo e la sua voce alta innalzata nei cieli e sempre più profonda nel cuore.
    Grazie Davide.

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