LA POESIA di GIORGIO BONGIORNO: “Addio al presepe”

Ti hanno detto addio
Come si fa con gli amici scomodi
E con le tecnologie obsolete
Un po’ per volta
Senza farlo notare
Quasi per vergogna
Occorre andare in qualche chiesa
Per ritrovare l’angolo di questa bella storia
Raccontata in silenzio da millenni
Con le immagini di quella notte incantata
Le luci delle capanne
Le stelle
La cantilena insistente delle cornamuse
Fuori ormai
Si comincia a non trovare i fedeli
In preghiera
I pastorelli in corsa
La Sacra Famiglia
L’asino e il bue
La neve artificiale
Il muschio
Sono spariti dagli scaffali
Dei negozi strapieni di cose
Inutili
Troppo difficile ricostruire
La fiaba antica delle statuine
Disporle sul sentiero della fede
Illuminarle con l’eterna luce dello spirito
Replicare ogni volta il paesaggio
Di quella notte
Fare scorrere
L’acqua limpida dei ruscelli
Con la fantasia del sogno
Accendere quella magica atmosfera
Che ci fa ritornare tutti bambini
Riporle poi a gennaio fino al prossimo Natale
Meglio le sfere argentate
E dorate
Dell’albero
Da gettare
Come si fa con gli abeti finti
Qualche volta con quelli veri
Vittime sacrificali del delirio
E dell’onnipotenza
Dei consumi
Impiccati spesso
Nel mezzo delle piazze
Di cuori di pietra
In fila nel traffico natalizio
Dei regali
Mi sento un po’oggi
Come uno di quei pastori
Della Palestina di allora
Si trovano dipinti sulla carta
Incollati alle pareti
Della chiesa
Vicino all’altare divino
Della speranza
In paziente cammino
Per portare doni
E per rendere omaggio
Come si diceva un tempo
Al Figlio di Dio
Al Signore dei Signori
Al Re dei Re

.

.

Foto di copertina: “L’immagine simbolo del presepe” dal web

Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.

È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.

Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.

Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.

Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.

1 commento su “LA POESIA di GIORGIO BONGIORNO: “Addio al presepe”

  1. Bella poesia ‘civile’ e di Fede Antica, questa di oggi di Giorgio. Dice con passione e rimpianto quello che il mondo si sta lasciando alle spalle, quello che ci ha fatto essere umani, uniti, nella purezza dei sentimenti e nei rapporti di condivisione di vita e tradizioni.
    Sostituite da rapporti virtuali, amori indicibili, metaversi onanistici, persi nel vuoto di un nichilismo che ha perso la via alla capanna della fiaba antica, alla verità del Re dei Re.
    Nessuno che fermi l’errante, che gli dica ‘Signore, resta con noi, che si fa sera…. non hai più casa che ti ripari in questo mondo che conosce solo il gelo dei cuori umani. Ma noi, vecchi, forte abbiamo ancora la memoria, almeno quella, da offrire al tuo ritorno, e siamo qui, come bimbi, come pastori, al tuo risveglio, perché ancora ti attendiamo….

Lascia un commento

error: Questo contenuto è protetto