Questo ventennale o trentennale accanimento contro la celebrazione del Natale a scuola, corrisponde ad una vergognosa “dhimmitudine” auto-imposta.
“Dhimmi” era il termine arabo per indicare i credenti delle fedi monoteistiche esistenti prima dell’islam. In particolare, “dhimmi” erano gli ebrei e i cristiani delle
comunità minoritarie, che vivevano nei Paesi islamici, in condizione di totale
soggezione alla prevalente comunità musulmana.
L’espansionismo arabo-islamico, dal settimo-ottavo secolo in poi, impose con la spada la conversione alla nuova religione nei Paesi occupati. Convertirsi all’islam o morire fu la regola imposta nel primo periodo dell’espansionismo islamico.
Successivamente, il preminente carattere pratico e mercantile dei conquistatori arabi, scoprì il modo di trasformare gli ebrei e i cristiani in una fonte di guadagno. Cominciarono così a proporre, a coloro che si opponevano alla conversione, una alternativa alla decapitazione e cioè una “protezione” a pagamento per poter conservare la fede e la vita.
Il “non-musulmano protetto” nel paese islamico doveva accettare una sottomissione totale sia alle autorità sia ad ogni musulmano ed in più era obbligato al pagamento di una specifica tassa, la “Jizya” quale prezzo della “protezione”.
La qual cosa oggi ci fa pensare al “pizzo” richiesto dalla mafia, nome questo che si dice derivato da un termine arabo rimasto in Sicilia a seguito dei secoli di presenza araba nell’isola.
Questa imposizione fu inflitta dai dominatori musulmani ai dhimmi in tanti paesi dell’Asia e dell’Africa. Le norme che regolano questa sottomissione sono raccolte nel cosiddetto “Patto di Omar”, reperibile in internet, che è ancora formalmente in
vigore dopo quasi tredici secoli.
Cristiani ed ebrei, quindi i dhimmi, dovevano cedere il passo nella via ai musulmani; dovevano cedere gli abiti che indossavano ai musulmani che li avessero chiesti; dovevano camminare rasente ai muri sul lato sporco della strada, per lasciare la parte pulita ai fedeli di Allah; dovevano cedere l’asino o il cavallo che cavalcavano al musulmano che li avesse richiesti, ecc. ecc.
Il “Patto di Omar” dovrebbe essere letto integralmente, in particolare da coloro che sono inclini alla sottomissione: potrebbero così compiutamente conformarsi alla dottrina islamica e comportarsi in modo “da non offendere i musulmani”.
Ovviamente i dhimmi dovevano essere immediatamente riconoscibili come tali: dovevano quindi portare i capelli rasati alla sommità del capo; dovevano cavalcare tenendo entrambe le gambe dallo stesso lato della cavalcatura; non dovevano portare armi; dovevano portare la cintura in un certo modo; non potevano avere case più alte di quelle dei musulmani; non potevano pregare ad alta voce in nessun luogo, e nemmeno in casa propria qualora le preghiere fossero state udibili dall’esterno ,ecc.
Insomma, nelle terre dominate dai musulmani i dhimmi dovevano apparire
pubblicamente in un ruolo di subalternità manifesta, immediatamente riconoscibile.
Trovo francamente incivile che oggi una sorta “dhimmitudine”, parziale ma autoimposta, trovi uno spazio di prosecuzione proprio in alcuni ambiti scolastici, non in tutti, per fortuna e per buon senso.
E’ dhimmitudine autolimitarsi nelle proprie espressioni rituali, tradizionali o culturali, come ad esempio rinunciare all’allestimento del presepe a scuola, per non “disturbare” gli alunni musulmani.
Va detto che i bambini musulmani in genere, come tutti del resto, non si curano di ciò che non li interessa. Fra loro, invece, alcuni osservano con interesse e curiosità i presepi, tanto che alcuni intellettuali e scrittori islamici si sono addirittura espressi in favore del presepe a scuola.
Circola ancora in Rete un mio vecchio articolo sul tema: potrebbe ancora essere utile leggerlo per risvegliare opportune attenzioni professionali in quella minoranza di
insegnanti tendenzialmente o inconsapevolmente “dhimmi”.
In conclusione, autolimitarsi in alcune forme di attività o d’espressione per non
turbare i musulmani è dhimmitudine, che significa ed esprime indecorosa sottomissione, servilismo ed ignoranza.
Non solo. Se i cristiani si piegano ad una volontaria sottomissione per timore delle presenze islamiche anche nei paesi ancora formalmente a maggioranza cristiana, provate ad immaginare quale maggior danno ne viene o ne verrà ad altri gruppi religiosi minoritari.
I nostri fratelli ebrei, ad esempio, come comunità meno numerosa della nostra, ha dovuto patire in maggior misura le imposizioni della dhimmitudine nei paesi a maggioranza islamica.
In sostanza, una apparente disponibilità inconsapevole alla
dhimmitudine dei cristiani, può essere motivo di ulteriore e più severa
oppressione islamica nei confronti dei pochi ebrei rimasti in Occidente.
Quanti ebrei, ancora oggi, di nuovo fuggono da paesi europei in parte islamizzati per
rifugiarsi in Israele. Quanti ebrei sono stati uccisi in Francia dai musulmani
negli ultimi venti anni, rinnovando così la paura di nuove persecuzioni.
C’è oggi, e c’è stato anche dopo la seconda guerra mondiale, un nuovo esodo biblico di ritorno alla terra dei padri, a iniziare dal Marocco, che aveva fino a circa mezzo
secolo fa una presenza di ebrei, marocchini, assai consistente; un esodo che
coinvolge l’Europa per giungere fino all’Iran. Suggerisco la lettura del libro di Daniel Fishman, “Il grande nascondimento – La straordinaria storia degli ebrei di Mashad”, Ed. Giuntina.
In sostanza una tendenziale e autolesionistica sottomissione dei cristiani all’ islam potrebbe alimentare una sorta di “crimine sociale indotto” a danno di gruppi etno-religiosi minoritari, estremamente vari e diversificati, presenti in tante parti del mondo. Fra questi, come è noto anche per la loro plurimillenaria storia, spiccano per l’esposizione a ricorrenti rischi, le comunità ebraiche, minoritarie da sempre e disperse in ogni parte del mondo, e in condizioni di maggior pericolo nei paesi
dell’Occidente in via di lenta islamizzazione.
Gli ebrei dovrebbero avere da noi solidarietà e protezione, anche in riferimento a certi torti subiti nel passato proprio dal “mondo cristiano”. Oggi certa “dhimmitudine” dei
cristiani ha un riverbero negativo anche e soprattutto nei loro confronti. Un antisemitismo ricorrente, che pare talvolta inespugnabile, ci richiama e sollecita ad una più decisa e coerente presa di responsabilità, per non coinvolgere altri innocenti in questa strisciante sottomissione. Cui, fortunatamente, pare che l’umanità cominci ad opporsi, prendendone finalmente coscienza.
Vittorio Zedda
18 dicembre 2022
Il Presepe non manca mai a Natale in casa mia. Il bambinello nella mangiatoia ricorda il vero significato del Natale: l’avvento del Figlio di Dio sulla terra, Dio che si è fatto uomo. Coloro che non credono se ne facciano una ragione perché non si offende nessuno festeggiando questo evento. Coloro che sono di altra estrazione religiosa e sono venuti a vivere da noi se si offendo possono riprendere le valigie e tornare da dove sono venuti. Lo dico senza alcun rancore e con il massimo rispetto. Lo stesso rispetto che anche loro dovrebbero avere nei nostri confronti.
Perché dobbiamo rinunciare a festeggiare il Natale e a fare il presepe? Offende l’islam? Io non ho mai sentito un musulmano dichiararsi offeso per il Natale dei cristiani con albero e presepe annessi. Allora anche la preghiera a Gesù dovrebbe offendere gli islamici e non è dato saperne il perché. Ma quello che mi indigna oltremodo è la condiscendenza di certi presidi o direttori didattici che non consentono l’allestimento dell’albero di Natale e del presepe, sempre adducendo offesa agli islamici. Ma avete visto le facce deimusulmani? Facce di pietra, non scappa loro un sorriso nemmeno per sbaglio! Certo non hanno nulla da ridere, basta guardarli. Questi “sangrugnoni” sono davvero dei figuri tristi : non possono leggere libri, se non il corano, non possono ascoltare musica, né ballare. Le donne non esistono se non per mettere al mondo dei piccoli musulmanini. Cosa possono avere di allegro nella loro vita? Nulla. È per questo che desiderano tutto il mondo lugubre come lo sono loro.