DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: ” Il proemio alla “Prigione” e la nuova “fede” umanistica”

Nel dare soluzione al problema della restaurazione e della ricostruzione dell’assetto strutturale della società e di tutta la realtà, De Sanctis assume un atteggiamento che non tende mai al sentimentalismo o alla retorica dei buoni sentimenti, ma affronta il problema con fermezza di propositi e con razionalità.

Il critico rifiuta i vaghi impulsi emotivi e gli slanci sentimentali fini a se stessi, che portano ad elaborare solo astratti e approssimativi progetti di rinnovamento. Egli esalta l’autenticità delle riflessioni morali e dei pensieri più genuini, come quelli di Leopardi, mai intaccati da cadute di vigore e di entusiasmo né, tantomeno, smarriti in un atteggiamento di rassegnazione e di pessimismo.

Egli si appropria di quell’intransigenza etica e di quel rigore morale su cui si basa la severa condotta di vita di Leopardi e si ispira a lui nell’elaborare con lucidità e con razionale chiarezza la propria visione del mondo e della realtà.

Nel carme La prigione, il critico delinea i tratti fondamentali di questa visione e illustra ed espone i principi ideologici che la sorreggono.

La prigione è un’opera tutta costruita su una trama di contenuti e di temi chiaramente marcati da un’impronta leopardiana e influenzati da un deciso avvicinamento di De Sanctis alle posizioni e all’ideologia del Poeta.

In particolare, risulta indicativa di una chiarificazione definitiva e di una raggiunta ed equilibrata sistemazione delle proprie convinzioni morali e dei principi della propria ideologia, la prosa proemiale introduttiva al carme stesso, in cui il critico espone con chiarezza la sua concezione del mondo, dando risalto, meglio che nei versi della poesia, al suo nuovo atteggiamento mentale ed emotivo.

In questo scritto, De Sanctis sostiene che la condizione naturale dell’esistenza umana è quella della materialità, della vita terrena e afferma che l’uomo è per natura inserito nella dimensione concreta della realtà temporale e contingente, prospettata al di là di ogni spiegazione teologica e religiosa incapace, in sé, di coglierne l’essenza e il significato intrinseco e noumenico.

Questo significato, invece, è dato, secondo De Sanctis, da un’interpretazione tutta laica e “mondana” dell’esistenza, che non ricerca al di là del mondo e della vita, così com’essa appare, alcuna verità trascendente e astratta, ma che la scorge rivelata proprio nel concreto della natura e della realtà dell’uomo “qual egli è”, fautore cioè, grazie alla sua intrinseca virtù stoica e ai valori e alle sue qualità naturali e innate, di un progresso e di uno sviluppo storico universale e di un riscatto dal “peccato” e dalla corruzione del mondo senza alcuna redenzione divina né alcuna resurrezione celeste e spirituale.

Egli evita, perciò, ogni caduta pessimistica e supera il senso di sfiducia insiti tradizionalmente in un’idea negativa della vita considerata nella sua intrinseca e semplice materialità, priva di prospettive di redenzione e di salvezza rispetto al suo destino di inevitabile distruzione e morte. 

Al contrario, il critico rifonda in positivo l’idea di un’esistenza vista nello specifico della sua dimensione reale e transitoria e presenta una prospettiva di progresso e di sviluppo storico rinnovata radicalmente e basata sull’esaltazione della virtù stoica, dei valori e delle qualità naturali e propri dell’uomo.

Recuperando il tema mitico del passaggio dall’innocenza edenica alla condizione di peccato e di “corruzione” della vita terrena, De Sanctis restaura in termini positivi il concetto di “peccato originale”, ponendosi nell’ottica interpretativa che lo considera il passaggio dalla natura alla ragione, dalla spontaneità incontrollata alla libertà responsabile di sé e quindi dalla condizione di uomo-animale a quella di soggetto creatore di storia.

Adamo, “primo peccatore e ribelle”, appare a De Sanctis, assieme a “Budda, Prometeo, Socrate, Cristo, iniziatori di civiltà e continuatori del suo peccato”,  “il fondatore della umana dignità” e colui nel quale, per primo, “si rivelò l’anima nella pienezza della sua potenza”.

 “Il mondo non che scadere, da lui cominciò a progredire”: Adamo, che è il simbolo e l’immagine paradigmatica dell’umanità, rappresenta, per eccellenza, l’uomo in quanto

 

forza composta di contrarii, di male e di bene, di dolore e di gioia, di odio e di amore;

 

in lui si incarna l’essenza contraddittoria della natura e della vita.

E proprio nel carattere di contraddittorietà dell’uomo e della sua esistenza, De Sanctis individua la sua grandezza e il suo vero valore, non un motivo di disprezzo e di condanna.

Il fatto stesso che l’uomo sia composto di contrari, aggiunge il critico,

 

è la leva che sublima più e più il pensiero nella sua lotta perpetua con la natura verso il suo segno fatale.

 

 

 

E poi spiega:

 

Iddio disse all’uomo: Tu verserai il sudore dalla tua fronte; egli pose così il fondamento della umana grandezza: quello che egli cessò di donarci, noi acquistammo la forza di prenderlo. Onde coloro, i quali si lamentano del retaggio di Adamo, mal pazienti del dolore e della fatica, non comprendono che l’annullamento del male trae seco la morte del bene, e che il dolore, la fatica, il male e la morte sono le condizioni essenziali, che rendono possibile l’esplicazione progressiva dello spirito.

 

 

 

Cioè: solo entrando in contatto con la realtà corrotta, malvagia, avversa dell’esistenza terrena, e proprio attraverso la lotta, la tenace resistenza alle difficoltà e al dolore, l’opposizione attiva ed energica alle sofferenze e agli impedimenti, l’uomo può affermare il proprio valore e la propria virtù.

De Sanctis esalta dell’uomo l’operosità e l’autosufficiente dinamismo, fondamentali per la conquista del bene e per la realizzazione delle proprie aspirazioni, possibili solo grazie al libero e razionale arbitrio di sé, al potere di “autogestirsi”.

Un’etica e una morale dell’impegno e del lavoro che rifiutano il fatalistico determinismo storico e la tendenza all’abbandono mistico e al disimpegno e alla rinuncia all’azione e alla vita, fatto in nome della “schiavizzante” ideologia di un cattolicesimo degenere, che nega ogni diritto e ogni “naturale” virtù all’uomo, e che misconosce un’etica e una morale che ripropongono, invece, la riconquista di una più “dignitosa” libertà esistenziale e il recupero di un più pieno possesso di sé e della propria volontà.

In questi termini, si giustifica la polemica di De Sanctis contro i “nuovi credenti”, contro i cosiddetti cattolici ammodernati, così ricca di suggestioni illuministico-leopardiane e ispirata da una consapevole e ormai fortificata autonomia ideologica e di pensiero.

 

Coloro che pongono un diritto divino in cielo ed in terra, e negano all’uomo ogni arbitrio razionale di sé,

 

 

 dice De Sanctis,

 

sono certo i nemici pessimi del genere umano, pure men contraddicono alla logica.

 

E aggiunge:

 

Accettiamo l’uomo qual esso è; ed esso è grande. Gloriosa è stata la sua storia; e tanto più gloriosa sarà quanto è ora più violento il contrasto.

 

 

Solo considerando l’uomo nella sua originaria natura di “essere” mortale e sofferente è possibile attuare il proposito di realizzare i principi democratici di libertà, di uguaglianza, di fratellanza ed è possibile affermare una comune “fede” tra gli uomini.

Attraverso l’“accettazione” e la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie determinate possibilità, l’uomo accetta allo stesso tempo, il suo destino eroico di lotta e di conquista agonistica della libertà.

La lotta è il mezzo di affermazione più efficace della propria “dignità”, ribellione “individuale” dell’uomo all’oppressione, alla dominazione e alla sopraffazione:

 

Gli individui soffrono: l’umanità vince. E tal sia: offriamo con orgoglio i nostri dolori alle future generazioni.

 

 

Da una condanna dell’individualismo in termini mazziniani, si ha qui una sua quasi celebrazione in quanto mezzo stesso alla conquista di un solidarismo universale che ha, come premessa, la conquista di sé e la coscienza della propria “umanità”.

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La maggiore “modernità” di De Sanctis rispetto a Mazzini, sta proprio nel carattere dialettico e nell’ambivalenza del significato che assume, per lui, la categoria storico-speculativa di “individualismo”.

De Sanctis, a differenza di Mazzini, sottolinea l’importanza storica che ha avuto l’individualismo intellettuale, ed esalta le sue conquiste che hanno determinato, nel tempo, un progresso scientifico e quindi etico e morale.

È la razionalità moderna che ha liberato l’uomo dal pessimismo e ne ha rivelata la dignità esistenziale e l’intrinseca nobiltà.

In tono commemorativo De Sanctis dice:

 

 

Egli [cioè l’individualismo razionalistico] ha innalzata la fronte dello schiavo e del plebeo, e li ha collocati con orgoglio accanto a’ potenti e a’ grandi del mondo: egli ha abolito privilegi, classi e fittizie grandezze: ed alla nobilissima parola antica romanus sum ha sostituito una parola più nobile ancora: homo sum. Adorato, ubbidito, adulato per sedici secoli sotto il nome di Barbaro,Cavaliere Errante, Barone, Re, Pontefice, e Imperatore, potentissimo di volontà e pieno di fede in sé stesso ne’ primi tempi […], ora virtuoso, ora colpevole, sempre grande; nell’età moderna fa dell’ego sum il verbo della scienza, sostituisce la coscienza individuale alla tradizione, all’autorità, alla fede; dichiara i suoi diritti in cospetto delle prostrate grandezze, e, fattosi popolo, li consacra col sangue […].

 

 

Il democratismo desanctisiano ha origine nella coscienza e nei pensieri “rinnovati” di ogni singolo individuo.

Il progresso, non auspicato ma razionalmente fondato da De Sanctis, è un progresso non utopistico, ma che nasce da una meditazione profonda sulla nostra realtà, condotta con spregiudicatezza e con uno sguardo sull’uomo libero da sovrastrutture e da preconcetti.

 

 

 

 

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