GIUSEPPE LAVRA: “Crisi della Medicina e emarginazione dei medici, tra gestione aziendalistica e politicizzata, crescita delle specializzazioni, rivoluzione tecnologica, impennata dei costi”

Gli stessi medici della generazione che ha esercitato fino agli anni ’80 sono allarmati per l’attuale stato di crisi della Medicina, che viene da lontano e coincide con la crisi della Professione medica.
Vero è che la Medicina attuale ha subito un radicale mutamento determinato da fattori molteplici. Uno di questi è la giusta esigenza di aprire la fruizione dei Servizi Sanitari all’intera società, in quanto la tutela della salute è un diritto innato dell’essere umano, che non può essere negato.

Tale novità ha modificato, oltre il contesto sociale, la stessa percezione dei cittadini rispetto alla Professione medica e alla stessa relazione medico-paziente, rendendo i cittadini più consapevoli dei propri diritti.
Mentre il medico è stato colto impreparato all’impatto col nuovo contesto, perché carente della formazione di base sulle competenze non tecniche, utili ad interagire adeguatamente con la realtà mutata. Nel nuovo contesto inoltre il medico è stato aggredito nel suo ruolo storico e nelle sue prerogative nei quali, in passato, le responsabilità erano bilanciate dai mezzi per farvi fronte. In carenza di questi aspetti e in carenza di un’adeguata educazione sanitaria dei cittadini mai attivata, il medico è stato travolto dagli eventi suo malgrado.

L’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale a carattere universalistico e solidaristico nel nuovo contesto hanno comunque imposto al medico di farsi carico, in prima persona, delle nuove e legittime aspettative dei cittadini. In realtà veniva riconosciuto al cittadino il diritto di essere curato e di essere correttamente informato in ordine a tutti gli elementi riguardanti la propria salute, attraverso il consenso informato. Tale diritto consiste nella conoscenza di tutte le procedure diagnostico-terapeutiche, degli eventuali rischi che possono comportare tali procedure e delle possibili alternative al percorso di cure proposto, che lo riguardano, prima di esprimere il proprio consenso anche formale.
L’aver riconosciuto al paziente questo diritto e l’aver attribuito al medico il dovere di farvi fronte, rappresentava un salto di qualità nella relazione di cura, ma con una battuta si potrebbe inoltre sostenere che, i titolari dei diritti e i corrispettivi titolari dei doveri, siano stati abbandonati a se stessi.

La fondamentale prerogativa conferita ai cittadini di esercitare il diritto di esprimere il consenso informato, di fatto coinvolgeva altri soggetti nello scenario del contesto Sanitario così innovato. Nel delicato equilibrio tra diritti e doveri, venivano inseriti nuovi soggetti ad agire all’interno del sistema: i legislatori, la giurisprudenza, i media, i gestori dei Servizi Sanitari pubblici e privati, nonché le libere associazioni in rappresentanza dei cittadini.
Questi soggetti, forse non consci della delicatezza del nuovo contesto relazionale, si sono interposti tra il medico e il paziente, senza la necessaria sensibilità nell’interagire in un contesto così delicato e complesso.
Tale atteggiamento dei nuovi soggetti ha determinato una difficoltà aggiuntiva al medico, già gravato dall’onere della responsabilità di garantire al paziente il consenso informato, pur in carenza della formazione necessaria e relativa alle competenze non tecniche in materia di comunicazione, di deontologia, di epistemologia e di assetto istituzionale. Mentre i nuovi soggetti attivi nello scenario Sanitario hanno prevalentemente agito in modo ostile verso la figura del medico, per incomprensione oggettiva, ma forse anche per tutelare interessi di parte in una logica demagogica.

E’ possibile che queste ragioni abbiano spinto il sistema ad introdurre, improvvisamente, il tema del “paternalismo” del medico nel nuovo scenario, peraltro usando toni accusatori e creando ad arte una campagna denigratoria contro la figura del medico con generalizzazioni. Tale campagna contro il paternalismo medico, non solo è stata poco o nulla veritiera ma, seguendo una logica strumentale, ha anche tentato di gettare discredito sull’immagine della generazione dei medici che hanno esercitato nel recente passato, i quali invece hanno potuto svolgere egregiamente il proprio dovere professionale. Tale possibilità non è stata riservata ai medici che hanno esercitato nell’ultimo trentennio, ai quali è stato conculcato anche il ruolo professionale.
Vale anche dolorosamente precisato che la demagogia è stata a tratti fiancheggiata da componenti interne alla categoria medica stessa. Vale la pena di ricordare che il corpo professionale dei medici è in sostanza un patrimonio della società, da tutelare in quanto tale, per cui la campagna sul paternalismo medico ha rappresentato una distopia, che inevitabilmente è ricaduta a danno dei pazienti stessi.
Né si può escludere che anche tale distopia sia stata funzionale a coprire disservizi strutturali ed organizzative dei Servizi Sanitari, ovvero a copertura di diffusi e rilevanti fenomeni di mala gestione, poiché le campagne denigratorie non nascono certo per caso. Sta di fatto che questi attacchi hanno “sporcato” il rapporto speciale tra medico e paziente, innescando un clima di sfiducia nella loro relazione.

Altri fattori hanno contribuito alla crisi della Medicina e sono concomitanti rispetto alle dinamiche negative di cui sopra. Questi sono emersi in modo palese in occasione della pandemia da coronavirus del 2019, quando si è avuto modo di osservare la diffusa distopia di omettere il fondamentale esame anamnestico e fisico-cognitivo del paziente al fine di formulare un orientamento diagnostico, insieme alle distopie terapeutiche.
In generale è anche ammissibile che a monte esistano aspetti di carattere organizzativo, i quali possono impedire un corretto svolgimento degli atti medici, come ad esempio per non infrequenti assegnazioni-imposizioni di eccessivi volumi di prestazioni in tempi incongrui, spesso legati ad una pessima allocazione delle risorse umane.
Talvolta le stesse aspettative dei cittadini nei confronti della Medicina appaiono poco realistiche, perché magari indotte da una comunicazione superficiale e sensazionalistica dei media. Anche questi fattori concorrono a mettere in evidenza la fragilità intrinseca della Medicina, che in un contesto socio-politico più sano andrebbe tutelata, piuttosto che attaccata strumentalmente.

Troppo spesso si dimentica che l’attività del medico si sostanzia nel difficile compito di affrontare problematiche biologiche a carattere evolutivo, che fanno capo alle leggi rigorose della Natura. Tali leggi hanno la stessa base ontologica della Fisica che studia il macro e il micro universo, ma i fenomeni biologici, diversamente dalle scienze esatte, impongono necessariamente soluzioni tempestive e non ammettono estrapolazioni teoriche.
Nella pratica medica ci si cimenta nello studio dei fenomeni dinamici della biologia che, come è noto, sono controllati totalmente dal sistema nervoso centrale, la cui complessità è tale da non avere confronti in natura. Sono queste le ragioni che rendono estremamente arduo il compito di procedere all’esame clinico completo ed approfondito di una persona, in quanto si interagisce con problematiche la cui natura talora si avvicina all’ignoto assoluto.
Il medico ha l’ingrato compito di affrontare e tentare di risolvere problematiche cliniche estremamente complesse, pur con i limiti delle conoscenze scientifiche disponibili, procedendo talora per interpretazioni ragionevoli e convergenti, consapevole che l’errore è spesso dietro l’angolo.
Mentre il lavoro intellettuale fondato sullo scibile prodotto dall’opera dell’uomo, pur nella complessità, è certamente meno impervio, in quanto si hanno a disposizione tutti i dati di riferimento necessari. Con ciò non si intende sminuire la complessità e le difficoltà che si incontrano svolgendo determinate professioni, ma semplicemente rimarcare la peculiarità dell’esercizio di esaminare l’essere umano e i suoi fenomeni biologici. In questo semplice esempio comparativo potrebbe sostanziarsi la peculiarità e la delicatezza della Professione Medica, specie quando è declinata in ambito clinico, come peraltro è riscontrabile anche nella ricerca di base in biologia.

Per queste ragioni sono in corso da anni studi e ricerche di natura informatica e statistica, che esplorano la costruzione della cosiddetta intelligenza artificiale al fine di aiutare il medico nel suo compito improbo. Va anche considerato che la decodifica completa delle problematiche cliniche racchiuse nell’organismo umano, deve fare i conti non solo con una parte organica dell’organismo, ma anche con l’interazione sistemica di essa, con la sfera psichica, con le influenze dal vissuto individuale e con le determinanti connesse alle concezioni di carattere esistenziale e trascendente. La fragilità intrinseca della Medicina si potrebbe sostanziare nella notevole distanza che vi è tra il compito che deve svolgere il medico e l’enorme complessità del suo oggetto d’interesse.

Ma anche l’incremento dei mezzi diagnostico-terapeutici non ha scongiurato la crisi in atto della Medicina, si potrebbe forse affermare che, paradossalmente, possa averla acuita. Tra le diverse e convergenti cause della crisi in questione, che le epidemie virali dell’ultimo ventennio, in particolare la pandemia da coronavirus del 2019, hanno in qualche modo posto in evidenza.
Tra queste va considerata l’espandersi delle conoscenze mediche in riferimento alla gestione clinica dei pazienti, in ragione delle quali è stato necessario ricorrere al riduzionismo nell’esercizio della Professione medica.
Tale espansione ha indotto la necessità di suddividere lo scibile della Medicina in un maggior numero di specialità mediche. Va precisato però che al riduzionismo dobbiamo la realizzazione di un notevole avanzamento delle conoscenze e anche delle competenze nell’ambito delle singole specialità mediche. Ma ha anche determinato una inevitabile frammentazione delle competenze cliniche, creando difficoltà pratiche nella gestione dei processi clinici stessi, in antitesi con la dimensione sistemica e unitaria dell’organismo umano.
L’evoluzione scaturita dal riduzionismo ha fatto sì che le discipline con impostazione a carattere generalista e sistemico, insieme a quelle di specialità d’organo o d’apparato, siano diventate interdipendenti tra loro a tutti gli effetti, specie per garantire anche la necessaria informazione esaustiva al paziente.
Tale nuova realtà della Medicina si sarebbe dovuta affrontare attraverso un radicale rimodellamento delle organizzazioni Sanitarie in senso interdisciplinare, realizzando una forte integrazione funzionale tra le diverse discipline mediche, intensificando il continuo confronto e condivisione interdisciplinare e talora interprofessionale nei processi clinici.
Purtroppo invece le organizzazioni sono rimaste ancorate ai modelli organizzativi funzionalmente separati, immaginando spesso di semplificare la auspicata integrazione di cui sopra con un mero accorpamento di posti letto di degenza.

In un contesto così depauperato per i mancati adeguamenti organizzativi, si è aggiunta la distopia culturale secondo la quale sia possibile superare le eterne difficoltà della Medicina, attraverso l’utilizzo pedissequo di rigide linee guida e protocolli diagnostico terapeutici. Tale distopia non tiene conto che linee guida e protocolli possono solo essere preziosi strumenti, mentre il riferimento culturale fondamentale in Medicina sono le conoscenze scientifiche disponibili, peraltro molto più tempestive e, quindi, più puntuali.
Inoltre il riduzionismo specialistico ha favorito lo sviluppo esponenziale dell’alta tecnologia nei Servizi Sanitari, la quale, oltre ad aver determinato un notevole potenziamento delle possibilità di carattere diagnostico e terapeutico, ha anche rivoluzionato gli algoritmi decisionali dei processi clinici.
Tuttavia, nella prassi corrente, l’alta tecnologia tende a sostituire la metodologia clinica classica, per fondare le scelte nei processi clinici unicamente sui dati offerti dalla tecnologia stessa. In questo modo si sta rischiando l’introduzione di un’altra distopia rappresentata dal fatto che si possa sostituire il medico con le “macchine”.

Ma questi percorsi incerti e distopici hanno prodotto un affievolimento del metodo clinico e talora della prudenza nel procedere clinico, accarezzando anche illusori sentimenti di onnipotenza. In questo modo si sta rischiando di perdere di vista la realtà del paziente per inseguire schemi operativi non aderenti alla sostanzialità dei fatti clinici. Se invece a guidare il cambiamento fossero state le coordinate culturali, l’utilizzo della tecnologia sarebbe rimasto nei binari della razionalità e, inoltre, si sarebbe realizzata la virtuosa integrazione della tecnologia con gli elementi del metodo clinico classico. Invece il risultato di questo percorso anomalo è purtroppo che, nella prassi quotidiana, sempre più frequentemente venga elusa la sintesi diagnostica nella definizione conclusiva dei casi clinici e che si ometta sempre più frequentemente di effettuare l’esame completo del paziente.
In un simile contesto anche i medici con la coscienza professionale in ordine, sono costretti a patire questa situazione, in quanto sono deprivati del ruolo e dei poteri necessari ad esercitare efficacemente le proprie responsabilità.
Le stesse rappresentanze del mondo medico, pur essendo a conoscenza di questa situazione, non si attivano fattivamente e non lottano adeguatamente per migliorare la realtà delle organizzazioni Sanitarie, pur sapendo che i primi a farne le spese sono i pazienti. Il contesto che si è venuto a creare pone la necessità di porre mano a misure di carattere normativo per sanare le questioni connesse all’organizzazione dei Servizi Sanitari e a ripristinare il diffuso rigore nei comportamenti professionali.

La crisi della Medicina, come sopra osservato, riconosce la concomitanza di un momento culturale poco compreso e non adeguatamente gestito sul piano organizzativo, per non essere stati capaci di adeguarsi al cambiamento e all’accresciuta complessità del sistema. Il riduzionismo specialistico medico, la rivoluzione tecnologica, l’aumento vertiginoso dei costi dei Servizi Sanitari, hanno coinciso con la emarginazione dei medici e la loro sottomissione nell’ambito delle scelte, nella programmazione in Sanità e anche negli stessi processi clinici.

In sostanza è accaduto che gli ultimi “baroni” universitari sono stati sostituiti da personaggi prodotti dalla politica lobbystica. Nessuna nostalgia dei “baroni”, ma certo la nuova politica, con le sue esigenze demagogiche, ha peggiorato di molto le criticità già innescate dall’ultima generazione dei “baroni” universitari. La esigenza di “curare” i consensi con la gestione della Sanità e la conseguente necessità di “curare” anche gli introiti economici, sempre in seno alla Sanità, hanno determinato il resto. Oggi si devono fare i conti con l’aziendalizzazione dei Servizi Sanitari e con il conseguente mercantilismo sanitario a vocazione sempre più privatistica in un contesto sottomesso a un rigido controllo della politica delle lobby economico-finanziarie. Sono questi i risultati delle riforme sanitarie dei Ministri De Lorenzo (’92) e Bindi (’99) che oggi urge siano corretti attraverso una nuova riforma che recuperi i sani principi ispiratori della legge 833/78 del Ministro Anselmi.

Pertanto si propone una riforma del SSN (Servizio Sanitario Nazionale) che dovrà sanare le distopie e le criticità qui delineate con le indicazioni correttive già espresse, e che dovrà tenere conto delle seguenti proposte:
1) Affidare la gestione dei Servizi Sanitari a un Organo collegiale deliberante (Consiglio di Amministrazione) che attribuisca, a un Direttore Sanitario con qualifica di Amministratore Delegato, il compito di rendere attuative le deliberazioni stesse.
2) Far uscire i Servizi Sanitari dalle logiche aziendalistiche, ispirando la gestione a qualità ed efficienza dei Servizi Sanitari, pur tenendo i conti in ordine con rigore.
3) Realizzare cooperazione e non competizione tra i soggetti a gestione pubblica e i privati accreditati e convenzionati col SSN, cercando di preferire i soggetti del terzo settore.
4) Ripristinare disciplina e rigore nell’operatività di tutti i Servizi sanitari e aggiornare in tal senso il DPR 761/79 relativo allo stato giuridico del personale, riscrivendo il DPR 70/15.
5) Orientare l’organizzazione Sanitaria in una logica di attività d’equipe nelle Unità Operative, con costante confronto e condivisione interdisciplinare e interprofessionale nei processi.
6) Attribuire competenze specifiche al Consiglio Sanitario Nazionale al fine di vigilare costantemente sui delicatissimi aspetti di carattere tecnico-professionale del SSN.


Giuseppe Lavra

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