il messaggero.it, 23 febbraio 2023 – In Vaticano si sgretola il principio della proprietà privata anche se non è ovviamente il collettivismo di stampo socialista ad avere suggerito a Papa Francesco il nuovo Motu Proprio sul “diritto nativo” che chiarisce la natura pubblica ecclesiastica dei beni acquisiti dagli enti della Santa Sede. «I beni immobili e mobili hanno destinazione universale e le istituzioni e gli enti che li hanno acquisiti o che li abbiano intestati ne sono affidatari, non privati proprietari, avendo agito e dovendo sempre agire in nome e sotto l’autorità del Papa».
E ancora: «Nessuna Istituzione o Ente può pertanto reclamare la sua privata ed esclusiva proprietà o titolarità dei beni della Santa Sede, avendo sempre agito e dovendo sempre agire in nome, per conto e per le finalità di questa nel suo complesso, intesa come persona morale unitaria, solo rappresentandola ove richiesto e consentito negli ordinamenti civili».
In questi anni di pontificato, in diverse occasioni, Papa Bergoglio ha ricordato che non è di certo Marx ad aver elaborato per primo il concetto della collettivizzazione, visto che è il Vangelo ad aver indicato ai primi cristiani il percorso della destinazione dei beni per le esigenze della comunità. Insomma un principio evangelico.
Nel Motu Proprio viene spiegato che «il diritto nativo, indipendente dal potere civile, della Santa Sede di acquistare beni temporali è uno degli strumenti che, con il sostegno dei fedeli, una prudente amministrazione e gli opportuni controlli, assicurano alla Sede Apostolica di operare nella storia, nel tempo e nello spazio, per i fini propri della Chiesa e con l’indipendenza che è necessaria per l’adempimento della sua missione» recita il documento papale.
Un po’ di tempo fa, durante l’omelia ad una messa per la festa della Divina Misericordia, ricordava gli Atti degli Apostoli, precisando che all’epoca delle prime comunità «nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune» e questo «non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro».
La condivisione dei beni attuata dalla prima comunità cristiana resta un faro per il pontefice arrivato dall’America Latina. Anche se in diverse circostanze Papa Francesco è stato criticato per aver messo in discussione l’intoccabilità del diritto alla proprietà privata. Qualcuno, come la BBC, si era persino interrogata se il pontefice fosse comunista o marxista. Nell’intervista che diede a Il Messaggero all’inizio del suo pontificato spiegò bene che lui non faceva altro che mettere in pratica il Vangelo.
Durante una udienza ai membri della Conferenza internazionale dei giudici membri dei Comitati per i diritti sociali di Africa e America, aveva riflettuto ulteriormente sull’argomento: «Costruiamo la giustizia sociale sulla base del fatto che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha sottolineato sempre la funzione sociale di qualsiasi sua forma. Il diritto alla proprietà è un diritto naturale secondario derivato dal diritto di cui tutti sono titolari, scaturito dalla destinazione universale dei beni creati. Non vi è giustizia sociale in grado di affrontare l’iniquità che presupponga la concentrazione della ricchezza».
Nelle due encicliche, la Laudato Sì e la Fratelli Tutti, l’argomento è ben noto. Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica”.
Una delle critiche più feroci che a Francesco sono arrivate addosso è stata quella di Clemens Fuest, uno tra i più brillanti economisti tedeschi, presidente dell’Istituto di ricerca economica IFO di Monaco, che aveva smontato l’impostazione dell’enciclica sociale Fratelli Tutti.
«L’enciclica trabocca di ideologie antieconomiche di mercato e di idee sbagliate sulla globalizzazione e sul ruolo della proprietà privata». «La diffusione mondiale dell’economia di mercato e del commercio globale ha sollevato centinaia di milioni di persone dalla povertà e dalla miseria negli ultimi decenni. Questo non significa che non ci sia bisogno di varare riforme, semmai è chiaro che dobbiamo continuare su questa strada». E ancora.
«L’impostazione che è stata data contro i mercati e il presunto neoliberismo è il più grande punto debole del documento papale».
Fuest aveva anche spiegato che oggi quasi nessuno oggi crede ancora che il mercato possa risolvere tutti i problemi: «Nessun paese al mondo ha un’economia di mercato non regolamentata senza l’influenza dello Stato. Allo stesso tempo è chiaro che non c’è paese in cui la prosperità, la protezione dell’ambiente e l’umanità fioriscano senza un’economia di mercato».
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