DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Postumanesimo pirandelliano: considerazioni e prospettive”

Stando ad alcuni orientamenti accademici attivi nel panorama degli studi attuali, si dichiara l’urgenza di proporre una ridefinizione dei parametri che identificano i concetti di “umano” e di “umanità”. È possibile delineare i tratti di un movimento ideologico bipartito secondo il quale oggi si afferma una percezione della condizione umana mutevole e in continua ridefinizione.

Le due direzioni verso le quali tale indirizzo di pensiero si sviluppa, sono quelle del Postumanesimo e del Transumanesimo. Entrambe le direttive si fondano sul convincimento che l’era attuale sia attraversata dal bisogno di inquadrare i fatti umani in una prospettiva post-antropocentrica e post-umanistica.

Si suole considerare gli anni Novanta del secolo scorso come quelli durante i quali ha cominciato ad affermarsi un indirizzo di pensiero il cui proposito di base era quello di offrire delle chiavi di accesso alternative per riappropriarsi di tutti i campi del sapere, dopo aver affermato il superamento di ogni filosofia e di ogni presupposto che proponesse l’uomo al centro di ogni speculazione.

L’affermarsi di un rifiuto nei confronti del primato prima riconosciuto all’uomo non comporta alcun riconoscimento di suprematismi sostitutivi. Il posto dell’uomo non viene cioè occupato da nessun’altra specie. Viene anzi smentita ogni polarizzazione ontologica, attraverso un procedimento decostruttivo che è tipico del Postmoderno.

Il Postumanesimo è un movimento che rifiuta la centralità del “centro”, considerato nella sua singolarità.  Si ammettono, cioè, dei centri plurimi di interesse i quali, però, sono ritenuti mutevoli, effimeri e mobili. Le prospettive dell’approccio conoscitivo devono essere pluraliste e il più possibile comprensive e inclusive.

Il rifiuto dell’antropocentrismo rappresenta la base di un orientamento di pensiero che ha diversi punti in comune con la visione di Luigi Pirandello, il quale, decostruendo l’identità umana, ha indagato i rapporti tra uomo e ambiente, fornendo interessanti suggestioni che presentano possibili punti di convergenza con le prospettive attuali.

Pirandello sembra avere una consapevolezza postumana già matura quando, nell’Avvertenza sugli scrupoli della fantasia, inclusa nell’edizione del 1921 del Fu Mattia Pascal, elabora l’idea secondo la quale l’uomo può essere studiato dalla zoologia in quanto essere vivente confrontabile con le altre specie animali, con le quali condivide diverse caratteristiche e rispetto alle quali mantiene alcune peculiarità.

Pirandello riconosce, cioè, il carattere di animalità dell’uomo che può essere studiato dalla scienza esattamente come qualsiasi altra specie animale.

Colpisce profondamente l’ottica secondo cui Pirandello, con lucidità dissacrante, scardina ogni appello a possibili approcci elettivi nei confronti dell’umanità. Se ne ricava una drammaticità che nasce dal contrasto che siffatta prospettiva evidenzia rispetto al tradizionale antropocentrismo coscienziale di cui anche la storia letteraria è depositaria.

Il riconoscimento di pari dignità a forme di vita diverse accomunate da una stessa condizione esistenziale, sortisce un’euforia che esalta la varietà stessa degli esseri viventi. Nel suo saggio sull’Umorismo Pirandello si esprime così:

«Pensiamo a un gran bosco dove fossero parecchie famiglie di piante: querci, aceri, faggi, platani, pini, ecc. Sommariamente, a prima vista, noi distingueremo le varie famiglie […]. Ma dobbiamo poi pensare che in ognuna di queste famiglie non solo un albero è diverso dall’altro, un tronco dall’altro, un ramo dall’altro, una fronda dall’altra, ma che, fra tutta quella incommensurabile moltitudine di foglie, non ve ne sono due, due sole, identiche tra loro.»

Dal riconoscimento della molteplicità del reale Pirandello ricava lo stimolo per un approfondimento analitico nei confronti del mondo, nel quale riconosce il predominio dell’individualità e la disomogeneità dell’esistenza. Pur evidenziando la compartecipazione dell’uomo alla medesima sostanza del creato, la materia dell’indagine scientifica pare qui mantenere una dignità che non ne svilisce il valore istituzionale.

L’accento posto da Pirandello sulla disomogeneità e sul carattere multiforme della vita e dell’esistenza, giunge però a conseguenze estreme nel finale della vicenda di Vitangelo Moscarda in Uno, nessuno e centomila, dove si denuncia l’entropica dispersione del centro identitario e l’impossibilità di un dominio volontaristico sul mondo:

«Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo. […] Muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori.»

Se, da una parte, la multiformità della vita sortisce un’immersione panica con la natura, dall’altro si determina un distanziamento abissale di tutto il creato dalle vicende umane.

È quanto avviene molto di frequente negli epiloghi di Novelle per un anno nei quali gli elementi naturali sono introdotti a farsi testimoni indifferenti e lontanissimi di ciò che accade.

«E quella luna […] Cantava il vetturino monotonamente, mentre i cavalli stanchi trascinavano con pena la carrozza nera per lo stradone polveroso, bianco di luna.» (Sole e ombra)

«E l’incanto della notte gli apparve ritrovato, con le stelle ben ferme e brillanti nel cielo, e quelle sponde e quella pace e quel silenzio.» (Il coppo)

«C’era la Luna! la Luna! E Ciàula si mise a piangere, senza volerlo, […] mentr’ella saliva pel cielo, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti che rischiarava, ignara di lui» (Ciàula scopre la luna)

Le vicende vengono collocate in una cornice post-umana, facendo riferimento a elementi del creato che si mostrano indifferenti rispetto alle sorti umane e ai fatti narrati. L’identificazione panica con il creato lascia drammaticamente il posto alla frattura che si determina attraverso il distanziamento assoluto del contesto naturale rispetto all’uomo. Le stelle e la luna mostrano un disinteresse che determina l’ironia cosmica del creato nei confronti delle vicende umane. È la “filosofia del lontano” che sta alla base del sentimento dell’umorismo.

L’adozione, in ambito letterario, di una nuova prospettiva nei riguardi della natura umana conferma la presa di coscienza di un imbarbarimento antropologico che sottostà alla modernità.

Rileggere in quest’ottica Pirandello sostanzia ulteriormente la convinzione di dover procedere a un radicale azzeramento della civiltà, rinunciando alle forme estreme e degeneri di una modernità che ha comportato uno svilimento dei rapporti umani tra gli individui e col mondo.

L’auspicio è che si rifondi una naturalezza che riconosca l’oggettività dei valori non negoziabili sui quali si costituisce l’esistenza umana e che si attinga a un passato che insegna che il percorso di affermazione e di definitiva costituzione della civiltà dell’Occidente forse presenta contenuti in grado di identificare la nostra umanità senza svilirla, tornando a esserne orgogliosi.

Pirandello aveva capito bene. L’atteggiamento intellettuale attraverso il quale si prende coscienza dei cambiamenti epocali che minano alla stabilità degli equilibri antropologici preesistenti a crisi radicali quali quelle che la nostra civiltà ha attraversato nel corso del Novecento, e che continua a vivere, non è un comportamento passivo. Si tratta del fondamentale atto di meditazione rivolto alla comunicazione con gli altri. Adesso sta a noi, dopo averne preso coscienza, ricominciare da capo.

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