In questo momento l’ Emilia-Romagna è ferita e annegata nel fango, per l’incapacità dei suoi governatori, attualmente presidente e segretario del Partito Democratico, Bonaccini e Schlein, di usare per la manutenzione idrogeologica i fondi già stanziati dalla Corte dei Conti. Particolarmente grave da parte della persona che doveva essere la più direttamente interessata in questa manutenzione, la signora Elena Schlein, l’assoluta incapacità a esprimere cordoglio subito. Coloro che sono veramente addolorati istintivamente si muovono subito per cercare di dare consolazione, quando anche c’è maggior bisogno di ricevere conforto. Tutti sono capaci i giorni successivi, magari con qualcun altro che ha scritto il discorso e suggerito cosa fare, di slanciarsi in consolazioni tardive. Non solo questa persona nei primi importantissimi giorni non si è fatta vedere sui luoghi del disastro, ma non si è presa il disturbo di sprecare troppe sillabe per esprimere cordoglio. Questo bizzarro personaggio politico che dichiara serenamente di non essere nemmeno capace di scegliersi i vestiti da sola, è stata vicegovernatore dell’Emilia-Romagna, una terra dove non è nata, che non le appartiene, di cui, evidentemente, le importa talmente poco da non essere nemmeno stata capace di esprimere cordoglio. Possiamo considerare che con le loro tasse o cittadini dell’Emilia-Romagna le hanno pagato lo stipendio di vicegovernatore. Questa persona ha avuto quel posto per amore dell’Emilia-Romagna o perché l’Emilia Romagna è da sempre una regione rossa, dove quindi è facile essere eletti, e quindi quelli che “ devono” essere eletti li mandano lì? La signora in questione dichiara che deve rivolgersi a cosiddetti esperti per l’acquisto di camicette e pantaloni in quanto non ha tempo. Potremmo sapere che accidente ha da fare? Negli anni in cui è stata vicegovernatore della Emilia-Romagna di certo non si è occupata di argini. E il tempo per andare a consolare disperati di persona lo ha trovato con molta ma molta calma. Il venerdì del disastro il presidente della Repubblica Mattarella ha tenuto un interessante discorso su quanto i diritti di gay, lesbiche, bisessuali, transessuali (e altri che questo momento non ricordo) siano fondamentali, e non ha detto una sola parola sulle popolazioni dell’Italia annegata nel fango. Il martedì successivo ha fatto un altro magnifico discorso su diritti universali, tra i quali evidentemente non c’è quello di non farsi inoculare farmaci strani e conservare il lavoro, e sulla dignità, evidentemente non quella di poter salire sul treno senza subire esperimenti farmacologici, ma non una sola parola sui popoli sommessi nel fango. Martedì era il termine ultimo per poter parlare ancora decentemente dell’alluvione. Quindi il primo proverbio che può venire in mente davanti a questa assoluta indifferenza è “gli amici si vedono nel bisogno “. Quando la tua casa è stata distrutta nel fango, quando qualcuno che amavi è annegato come un sorcio, il bisogno di una voce che ti consoli è assoluto, non meno impellente dell’acqua per chi sta attraversando deserti. È indispensabile qualcuno che sia addolorato dal tuo dolore e che ti ricordi che il sole tornerà. Mentre l’ Emilia-Romagna sprofondava nel fango nella evidente indifferenza della sua ex vice governatrice e dell’attuale Presidente della Repubblica, non poteva che venirci in mente l’alluvione descritta da Guareschi. Guareschi descrive un mondo fatto di fede, uomini, donne, sangue, coraggio e paura, sole infuocato e freddo porco, zanzare, filari e vacche. Era un mondo fatto di molta fatica, di sudore, di tanto dolore e di gioie, poche ma totali. La guerra, il campo, il mitra, il bambino, e, su tutto, il suono delle campane che aleggia sulle acque dell’inondazione come lo spirito di Dio ha aleggiato su quelle della Genesi C’è una scena struggente e bellissima in uno dei film ricavati dai romanzi, in cui la voce di Don Camillo si alza sull’acqua che sommerge il paese, per consolare coloro che sono dovuti scappare dalle loro case, per promettere il sole tornerà e che tutto ciò che è stato distrutto sarà ricostruito ancora più bello. Vedendo la scena ci vengono in mente due cose: la prima è che da allora non è stato fatto nulla, non sono stati alzati gli argini, non sono stati fatti bacini artificiali di riserva, non è stato fatto nulla. La seconda cosa che ci viene in mente è la domanda sul perché il personaggio di Don Camillo sia stato portato sullo schermo da un attore francese. Profondamente cattolico, profondamente convinto come ogni persona di elementare buon senso della profonda bontà di un mondo piccolo basato sulla famiglia, sulla terra, le vacche, l’alternanza delle stagioni, Guareschi è stato uno scrittore che ha osato mettere in dubbio la sacralità del marxismo e di tutti i suoi servi. Il primo libro è del ‘48. Il primo film è del ‘52. I film di Don Camillo ebbero un regista francese, Duvivier, perché di registi italiani disposti a filmare una così plateale difesa degli odiati valori della tradizione, una beffa così aperta a chi considerava Stalin un paladino dell’umanità, non se ne trovò nemmeno uno. Duvivier scelse per la parte principale un attor francese: Fernandel, perché è stato assolutamente perfetto. Possiamo anche aggiungere che, mentre nessuno va più a vedere i cosiddetti film impegnati dei grandi registi dell’epoca, i film di Don Camillo continuano a essere visti e poi rivisti e poi rivisti. E qui arriviamo al punto fondamentale del secondo proverbio di oggi “il lupo perde il pelo ma non il vizio”. Personaggi politici che sono talmente indifferenti al popolo e al dolore del popolo al punto tale che non si ricordano nemmeno di simulare uno straccio di cordoglio, sono però in prima fila quando si tratta di attaccare l’avversario per eliminare anche i più elementari diritti di parola. Il presidente Mattarella con intere città bloccate, 14 fiumi esondati, 26 comuni alluvionati e 15 morti spiega che l’ omofobia è un’insopportabile piaga sociale. Le parole della Bibbia, dei Vangeli e le lettere di San Paolo, le parole di santi e Papi sull’argomento sono quindi insopportabile piaga sociale. Anche gli inoppugnabili studi di genetica che dimostrano che non si tratta di una situazione genetica, ma di un comportamento che, come può essere acquisito può essere modificato, è considerato omofobia. Anche gli articoli di Pub Med che dimostrano come questi comportamenti moltiplichino le malattie sessualmente trasmissibili sono omofobia, una piaga sociale, appunto. Quindi le parole del nostro presidente sono state l’ennesimo attacco alla libertà di parola. La parola omofobia e la parola fascismo sono l’ assoluzione da ogni crimine di intolleranza. Una volta accusato l’ avversario di omofobia e fascismo lo si può impunemente massacrare, gli si può levare il più elementare diritto di parola. Da anni non metto piede alla Fiera del Libro di Torino, feudo indiscusso della sottocultura di sinistra che si spaccia per cultura. Alla Fiera del Libro di Torino i giganti hanno sempre avuto vita difficile, sommersi da fiumi di gnomi. Il più grande intellettuale della mia epoca è evidentemente Aleksandr Solženicyn. Nel 1973 fu pubblicato Arcipelago Gulag, saggio romanzato, scritto in dieci anni, dal 1958 al 1968 sul sistema dei campi di lavoro sovietici, luoghi di dolore e di morte dove milioni e milioni di innocenti hanno trovato la loro fine. Sono quindi cinquant’anni dalla sua pubblicazione, ma la Fiera del Libro di Torino non lo ha ricordato. Quando il libro uscì innumerevoli gnomi del pensiero, Moravia in testa, lanciarono fangose idiozie su questo testo che osava parlare di milioni di vite distrutte. Napolitano manifestò tutta la sua esecrazione. Alla Fiera del Libro è stato impedito a un cittadino di questa Repubblica, Eugenia Roccella, di presentare il suo libro. La signora Elena Schlein, giuliva ribelle in armocromiche tinte pastello ha spiegato che si trattava di lecito dissenso. Il dissenso è certamente lecito, impedire la parola è censura, ma la signora Schlein non è capace di distinguere tra le due cose, e spiega che criticare l’episodio è una forma di autoritarismo. Il lupo conserva il vizio di flirtare con la violenza, anche quello delle giulive figliole che con i capelli di tinte improbabili, che sono inquinanti, inquinano i nostri monumenti causandoci centinaia di migliaia di euro di danni pur di finire in televisione e perché gli altri smettano di inquinare. Il lupo non perde il vizio ma perde il pelo. Auguriamoci che il Partito Democratico resti in eterno all’opposizione e che un pochino alla volta, magari, tutti i suoi innumerevoli feudi, Fiera del Libro inclusa, comincino a stingersi un po’.
SILVANA DE MARI: “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”
1 commento su “SILVANA DE MARI: “Il lupo perde il pelo ma non il vizio””
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.
“Mi levo il cappello” ed uso la lingua italiana. Basta con i neologismi stranieri. Da emiliana sottoscrivo ogni parola, carissima Silvana. Hai detto tutto e in modo impeccabile. Un abbraccio.