DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Il racconto La paura di Federico De Roberto e la Grande Guerra: lo smarrimento esistenziale e la frammentazione della società”

La paura è un racconto di Federico De Roberto pubblicato nel 1921. Negli anni in cui la guerra viene combattuta, lo scrittore siciliano non la vive in prima persona, non parte per combattere, all’epoca è già troppo anziano per farlo. De Roberto è però tra i pochissimi scrittori che dedica alla Grande Guerra alcune delle sue opere, ambientandole proprio nella vita di trincea. Nella Paura De Roberto, il quale aveva espressamente preso posizione in favore dell’intervento dell’Italia in guerra, descrive con veristica precisione e con drammatico realismo l’episodio dell’uccisione di un intero manipolo di soldati, a uno a uno, da parte di un cecchino nemico mentre essi, a turno, tentano di raggiungere un posto di vedetta.

L’ufficiale Alfani è l’uomo responsabile delle operazioni che si svolgono in una zona di confine sulle Prealpi vicentine, alle prime luci dell’alba. L’ambientazione è desolata e silenziosa. Il contesto paesaggistico è composto di particolari che colpiscono per la loro scarna essenzialità, all’interno di uno scenario naturale privo di vegetazione e ridotto a un cumulo di roccia e di pietre. L’azione deturpante dell’insediamento dell’uomo ha violentato quelle zone con mine e dinamiti, determinando un’alterazione della natura, che è stata modificata per ricavarne trincee e punti di appostamento.

L’asciuttezza di quest’ambiente privo di vita, amplifica le suggestioni ricavate dagli stati d’animo, dai gesti, dalla mimica e dalle battute dei soldati, pronunciate nella lingua dialettale di ognuno di loro.

Prima è il turno di un ragazzo imberbe, «poco amante dei lavori manuali» ma sempre pronto e capace con coraggio ad affrontare i nemici. Poi tocca a un giovane poco attento ma pronto a destarsi per rispondere agli ordini del superiore. E via via si passa a uno dei soldati più anziani volontariamente messosi a disposizione di svolgere l’azione ma con l’animo divorato dal timore; e poi a un soldato, marito di una donna e padre di figli che lo aspettano a casa. Uno alla volta, questi giovani cadono tutti sotto il tiro del fucile di precisione del nemico.

L’ultimo soldato, un prode veterano, un giovane forte e prestante, già decorato per meriti acquisiti in battaglia, si rifiuta di eseguire gli ordini del tenente e, con fermezza ma con l’animo colmo di paura, rivolgendosi al superiore dice: – Signor tenente, io non ci vado-.

Di fronte allo stupore e all’incredulità del tenente, il veterano decide di non andare incontro a morte certa, ma nella dignità di voler essere artefice unico del proprio destino, con dentro di sé una foga e una determinazione che vincono il terrore e l’angosciosa certezza di morire per mano di un altro, il soldato impugna rapidamente il fucile, se lo punta sotto il mento e senza alcuna esitazione si uccide, facendosi saltare in aria il cervello.

Stando a quanto dice Carlo Alberto Madrignani, storico della letteratura e studioso di De Roberto, nella Paura l’atto di accusa nei confronti della guerra «è affidato alla brutalità della rappresentazione, all’inequivocabilità delle situazioni e dei gesti. Il realismo smentisce l’ideologia».

La letteratura, in quanto strumento di conoscenza e di rivelazione della verità, scredita ogni retorico belligerante ideologismo e proprio nell’aridità asciutta delle parole di un intellettuale di formazione ottocentesca, trova modo di esprimere una condanna della guerra che non lascia spazio a interpretazioni né dà adito a prospettive di rivalutazione.

Il riconoscimento della contraddittorietà della guerra è la cifra per un suo netto rifiuto e per decretarne una definitiva svalutazione. De Roberto è tra i pochi in grado di sottolineare, all’inizio del Novecento, quanto le leggi della guerra siano l’esatto opposto rispetto alle leggi della vita. La morte non può trovare alcuna forma di giustificazione né di accettazione.

La Grande Guerra non è stata oggetto di rappresentazione artistica e letteraria se non nei termini in cui è stata guardata dall’interno, sottolineandone le risonanze soggettive e individuali. Se ne è evidenziata la tragicità e se ne è dato un resoconto drammatico, del tutto in antitesi con prospettive di esaltazione epica ed entusiastica o di inneggiamento alla vittoria.

Diverso è il coinvolgimento di molti scrittori italiani in occasione della Seconda Guerra Mondiale, che si rivela, in maniera imprescindibile, un’esperienza storica a cui ognuno di loro partecipa personalmente. Fenoglio, Pavese, Calvino, Vittorini sono autori che non sarebbe possibile inquadrare senza un dovuto esplicito riferimento alla Resistenza e alla guerra.

La letteratura dell’inizio del secolo registra, invece, pochi richiami espliciti alla guerra come evento di coinvolgimento collettivo, ma ne assimila gli effetti sul piano dello smarrimento esistenziale e nelle note intimistiche e soggettive di un’indagine di tipo sentimentale e psicologico.

Grandi romanzieri come Svevo, Tozzi e Pirandello fanno riferimento all’evento della guerra solo in maniera parziale nelle loro opere. I protagonisti dei loro romanzi non sono personalmente coinvolti in attività militari. Essi, però, risentono in maniera individuale del blocco esistenziale che si accompagna alla crisi dei valori da cui tutta la società è investita.

Come per i soldati del racconto La paura di De Roberto, gli uomini percepiscono una frattura insanabile tra la dimensione intima e soggettiva dell’esistenza e le prospettive di una collettività che deve rispondere a un regolamento imposto e a delle norme, rispetto alle quali il bene dei singoli risulta ciecamente compromesso e sacrificato.

Gli orientamenti letterari e filosofici della cultura primonovecentesca presentano interessanti punti di convergenza con la realtà dell’inizio del nuovo millennio. Le manifestazioni culturali nell’ambito della produzione narrativa e poetica di quel momento cruciale della nostra storia rivelano la frammentarietà di un mondo in cui l’uomo si ritrova marginalizzato e solo, costretto a subire l’evento della guerra, da cui tenta di allontanarsi piuttosto che accoglierlo e gestirlo entusiasticamente.

Alla Grande Guerra si correla un caos infernale che determina uno smembramento della società e che comporta una chiusura individualistica nella ricerca di sé e della vera sostanza dell’esistenza.

Freud, Einstein, Bergson hanno contribuito a scardinare le certezze positivistiche della conoscenza del mondo, e l’esperienza storica della Prima Guerra Mondiale determina un’insanabile frammentazione sociale perché manca di una sostanziale partecipazione ideologica che accomuni gli uomini.

Il coinvolgimento agli eventi della Resistenza, che concluderanno le vicende del secondo grande conflitto bellico dello scorso secolo, sarà molto più sentito e vedrà una partecipazione diretta di scrittori e intellettuali schierati e, spesso, orientati alla denuncia e alla sottolineatura delle istanze conflittuali in gioco. L’approfondimento della sostanza umana ed esistenziale passerà spesso attraverso questioni politiche e di impegno militante e partecipato.

4 commenti su “DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Il racconto La paura di Federico De Roberto e la Grande Guerra: lo smarrimento esistenziale e la frammentazione della società”

  1. Davide, a proposito della spontaneità della produzione letteraria italiana sulla cosiddetta Resistenza comincio a nutrire qualche dubbio, da un po’ di tempo a questa parte. La stessa Resistenza dovrebbe essere rivista, ristudiata e reinterpretata, alla luce dell’oggi. Di quello che oggi si sta disvelando. Per dirla con Manzoni, la Resistenza “fu vera gloria”? Quei posteri cui spetta l’ardua sentenza siamo noi. Oggi.

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