Noi qui a discutere da mesi di egemonia culturale, ma non ci rendiamo conto che da tempo ormai la cultura se n’è andata. Sparita, evacuata. Altro che egemonia, c’è anemia culturale. Soprattutto quella più strettamente legata alla politica.
Non ci sono in giro o all’orizzonte pensieri affacciati sulla politica. La riflessione politica si è come esaurita. Dalla politica non ci aspettiamo nulla, o quasi. Da tempo. Chiunque vada al governo. Perché la politica, la sovranità politica, popolare e nazionale non contano nulla, non decidono niente, o quasi. Chi vuol durare deve spoliticizzarsi, smussare gli spigoli della sua identità e della sua proposta, limitarsi a qualche seduta per motivare la sua base, ma poi deve neutralizzarsi, integrarsi nel flusso delle governance. Si dice che non c’è spazio per i radicalismi politici e le rivoluzioni messianiche; a sparire però non solo solo i pensieri radicali e antagonisti, ma ogni pensiero politico critico, lungimirante, profondo.
E’ accaduto altre volte. Ma in passato, di fronte all’inespugnabile sistema e agli assetti dominanti, davanti all’impotenza della politica e all’impossibilità di rivoluzioni o forti mutamenti, si ripiegava sulla metapolitica. Cos’è la metapolitica? È il piano superiore della politica, il laboratorio in cui si pensa e si vede più lontano. La metapolitica indaga su quelle linee, quegli ambiti, quei pensieri che precedono la politica, la guidano, la oltrepassano. I suoi vicini di sapere sono la politologia, la scienza politica, la filosofia politica, la cultura politica. Ma la metapolitica, almeno nell’accezione che ne dava ad esempio la Nouvelle Droite, è un pensare strategico e pre-politico, non un puro studio accademico e scientifico della politica. Impraticabile la politica, si dava corso alla teoria; essendo carente l’azione, suppliva il pensiero come una specie d’investimento sul futuro. Ma oggi non c’è scampo, non c’è rifugio, neanche in quell’ambito ideale e culturale; la metapolitica è un ircocervo, per dirla con Croce, puro mostro immaginario; è una landa desolata, non ha interlocutori, non ha possibilità di incidenza.
Il pensiero, storico o politico, ma forse si dovrebbe dire il pensiero e basta, tout court, è un percorso di solitudine, che cade nel nulla e nel vuoto, in assenza di destinatari, di risposte, di consensi, di interlocutori e di obiezioni. Le idee sono bandiere che parlano al vento. Irrilevanti, smettono di essere interessanti anche sul piano storico, perché oltre il pensiero anche la storia si va velocemente atrofizzando. Anestesia generale. Non c’è l’accenno all’elaborazione di un pensiero, da nessuna parte. Non c’è al governo perché chi governa è preso dalla realtà e non ha tempo da perdere col pensiero o peggio con le ideologie; non c’è nemmeno all’opposizione perché senza potere non c’è possibilità d’inverare il discorso metapolitico, è pura accademia, senza nemmeno un dialogo accademico; chi si oppone aspetta solo la scivolata del governo o al più tenta lo sgambetto; ma sul piano dell’espediente, della trovata pratica, dell’incidente. Nulla che somigli al respiro di un pensiero e al disegno di un’alternativa. La totale intercambiabilità dei soggetti politici al governo e delle loro strategie, conferma la vanità di ogni discorso. La durata è affidata alla neutralizzazione e alla spoliticizzazione, al passaggio dall’innovazione alla manutenzione, dall’antagonismo all’integrazione. Sarà liquido il pensiero del nostro tempo, ma scorre in una sola direzione, e acque reflue più che fluviali, reti fognarie; non pensiero liquido ma liquame spensierato.
Ieri la povertà dei fatti era almeno compensata dalla fioritura delle idee; oggi alla povertà dei fatti corrisponde pure la miseria delle idee, la loro assenza. Il cerchio è chiuso, c’è una perfezione del nulla, dentro c’è solo il vuoto. Stiamo cioè raggiungendo quel punto in cui è vano discutere, pensare, paragonare perché non può accadere nulla di diverso da quel che accade e non desta alcun interesse sapere, solo sapere, che almeno in passato, nella storia, sono stati possibili altri modi di essere e di pensare. E non ci sono tempi futuri in cui poter immaginare qualche rivincita o qualche svolta. Il futuro non prevede salti.
Avevamo avuto in passato momenti di stallo della politica, ma ora è in stallo pure la metapolitica, cioè il pensiero che progetta oltre gli assetti esistenti. Chi ancora si cimenta in questi percorsi entra nelle nicchie amatoriali dei profeti new age, quasi degli invasati, che vivono fuori dal tempo e sono giudicati come scorie radioattive del passato, già isolate.
Trovatemi un solo tema metapolitico su cui si cimentano oggi non dirò i cittadini, ma almeno la piccola cittadella degli intellettuali; solitudini domestiche, solipsismi autoreferenziali, e poi nulla. Nulla ravviva, neanche i più ristretti cenacoli. Solo origami ideologici a uso singolo, senza alcuna presa e alcuna condivisione.
Più che la critica poté il disinteresse; tutto scivola via, tra le ombre del nulla. E’ il deserto senza la minima sete di pensieri diversi. Lo stadio della solitudine, del pensiero-selfie, delle storie senza storia, rende obsoleto tutto ciò che non verte sulla tendenza del giorno. L’assenza di lettura e di interesse lo conferma anche sul piano statistico. Non si legge, non si discute. Solo like o cancel.
E’ vano contrapporre un pensiero politico a un altro, una visione alternativa a quella vigente, o addirittura un pensiero governativo a uno di opposizione. Ci sono collocazioni diverse ma sono posizioni toponomastiche per cerchiare il punto in cui abitate o vi trovate al momento. E’ superflua ogni differenza, senza la minima percezione che un vuoto così non ha precedenti. Siamo in una fase di tale aridità unilaterale che non è possibile un pensiero politico, salvo imprevisti cambi di scena. L’unica via d’uscita a cui si resta appesi è il fattore sorpresa. O miracolo.
La Verità – 9 luglio 2023
Esistono ancora delle riviste di politica nelle quali i vari intellettuali vicini alla destra o alla Sinistra, criticano e progettano. Ma non incidono nella realtà politica. E i partiti che le tengono in vita le considerano e le trattano come gli Apache delle riserve degli indiani d’America: souvenir di un popolo vinto e omologato.
La politica ipocrita e ciarlatana dei partiti ha irregimentito e omologato gli intellettuali che scrivono ed operano nei mass media, riducendoli a velinari.
Chiunque si ritenga e si manifesti onesto intelletto viene emerginato dal sistema dell’informazione. Bene, coltiviamo la terra o andiamo a lavorare nei gulak. Le grandi opere dell’umanità non nascono dalla sensibilità umana dei cicisbei.