DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “La Lupa: drammaticità fino al parossismo. Ennesimo cedimento, omicidio o femminicidio?”

A Verga basta la sottolineatura di uno solo degli attributi fisici della donna, quello della prosperosità del suo seno, «fermo e vigoroso da bruna», per evidenziare l’irresistibile attrazione da lei esercitata nei riguardi degli uomini. Ma è non più giovane, ‘gna Pina, e ha un colorito pallido che la fa sembrare malata. Il modo in cui viene fornita la descrizione della protagonista della novella La Lupa ricalca alla perfezione il punto di vista da cui potrebbe esprimersi una donna di paese, capace di riflettere, nell’atto di guardare alla Lupa, la morale condivisa e la condanna implicita da parte della popolazione di quel centro abitato, di cui Verga non rivela il nome.

Insistendo su un altro particolare dell’aspetto fisico in grado di focalizzare l’attenzione sulla sensualità del suo corpo, l’autore sottolinea, ancora, come la donna possieda, inoltre, «delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano». Famelica come un animale selvaggio, ‘gna Pina si è guadagnata l’appellativo di “Lupa”, e proprio come fosse una cagnaccia randagia e reietta, le donne del paese si fanno il segno della croce quando lei passa.

Non va mai in chiesa, la Lupa, in nessuna occasione, «né per ascoltare messa, né per confessarsi». Di tutt’altro tipo, rispetto a lei, è la figlia Maricchia, sempre chiusa in casa e timorosa, affranta per via del destino crudele che l’ha voluta figlia della Lupa. Ragazza a modo e di sani principi, possiede dei beni da dare in dote a un suo eventuale marito, ma è consapevole che probabilmente nessuno avrà mai l’ardire di chiederla in moglie, proprio per l’onta inaccettabile dell’esser figlia della Lupa.

Maricchia riflette la morale collettiva in relazione alla quale si inquadra la prospettiva di vita che una donna a modo deve seguire; ‘gna Pina è, al contrario, l’individuo il cui atteggiamento risulta deviato rispetto alla normalità. La Lupa viene emarginata dalla popolazione del paese, proprio perché deviante rischia di essere la sua frequentazione rispetto al progetto di vita normale che la gente comune deve seguire.

Una passione irrefrenabile spinge la Lupa a innamorarsi di un giovane di nome Nanni che lavora nei campi, presso le proprietà rurali di un notaio. ‘Gna Pina fa di tutto per stargli vicino e per sedurlo. Nanni, però, rivela alla donna che il suo interesse è rivolto, piuttosto, nei riguardi della figlia Maricchia, che è nubile.

Una volta obbligata la figlia a sposarsi con Nanni, in modo da poterlo avere sempre vicino come genero, la Lupa continua a comportarsi da donna “non a modo”. Pur non andando più in giro per il paese in cerca di uomini da ammaliare, la ‘gna Pina lavora tutto il giorno per i campi proprio come fosse un uomo, e si reca all’aia dove lavora anche Nanni, mentre Maricchia rimane a casa ad accudire i figli.

Nanni cede alle avances della donna e i suoi incontri con la Lupa diventano abitudinari. Incapace di resistere alla tentazione, scongiura più volte la Lupa di smettere di provocarlo. La figlia Maricchia, invece, decide addirittura di denunciare la madre alle forze dell’ordine, con l’obiettivo di mettere fine all’abominio dell’incesto che Nanni ha confessato.

Il brigadiere minaccia Nanni di metterlo in galera ed egli, non negando che i fatti corrispondano a verità, chiede aiuto affinché il tormento di questa tentazione diabolica smetta, accettando persino la prigione pur di non incontrare né vedere più la ‘gna Pina.

L’ossessione per Nanni non si placa, la Lupa continua a perseguitarlo e Nanni, non avendo più risorse né sapendo più che fare per tentare di «svincolarsi dall’incantesimo», giunge perfino a minacciare di morte ‘gna Pina.

Se la Lupa si presenterà ancora una volta al suo cospetto proprio lì, nell’aia, dove Nanni lavora, egli giura che la ucciderà con le sue stesse mani. La scena finale del racconto vede infatti il ragazzo agguantare una scure dopo averla staccata dal fusto di un albero nel quale era conficcata e volgersi, con l’arma in mano, verso la Lupa che, imperterrita, continua a procedere verso di lui, mangiandoselo con gli occhi.

Nella novella La Lupa, la drammaticità della materia rappresentata raggiunge il punto estremo nell’epilogo tragico della vicenda, che coincide con l’evento luttuoso della morte della protagonista. Non si tratta di un caso isolato nell’ambito della raccolta verghiana Vita dei campi, i cui racconti si concludono quasi sempre con un parossismo della tensione tra gli elementi del dramma.

Ciò che se ne ricava è la chiara percezione dell’irrisolvibilità tragica degli eventi attorno ai quali si enuclea la trama della vicenda.

La battuta finale pronunciata da Nanni, «Ah! Malanno dell’anima vostra!», potrebbe anche indurre a ipotizzare un finale ripensamento da parte del ragazzo, il quale, secondo questa interpretazione, cadrebbe, ancora una volta, in tentazione.

Romano Luperini è però intervenuto recentissimamente a sfatare ogni dubbio, precisando che in una lettera al Rod, datata 1908, Verga protestò vivacemente contro un commediografo di nome Grasso, il quale aveva proposto, per l’appunto, l’interpretazione secondo cui Nanni, alla fine, cederebbe per l’ennesima volta alla seduzione della donna.

Ciò che non necessariamente pare condivisibile, invece, è la proposta di parlare del finale della novella come di un “femminicidio”. Recentissimamente la studiosa Michela Fregona, in un suo articolo sulla Lupa di Verga (https://laletteraturaenoi.it/2023/06/05/scusi-per-il-maschilismo-inconsapevole-chiedi-a-verga/) , scritto come resoconto di una sua esperienza didattica realizzata per una classe di studenti in una scuola serale, ha parlato della novella verghiana come di un concentrato di tematiche scomode, quali: femminicidio, patriarcato, incapacità genitoriale, sessualizzazione, stigma, che, indubbiamente, “metterebbero il lettore in una condizione di grossa scomodità”.

Il neologismo “femminicidio” è attestato già a partire dal 2009 nel Dizionario Devoto-Oli, in cui il termine è identificato come “l’uccisione di una donna o di una ragazza”, ma anche come “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.

Il dizionario Treccani online, nel riportare l’etimologia del termine, fa riferimento alle sue origini anglosassoni e parla di Diana Russell come della studiosa che maggiormente ha contribuito all’elaborazione della categoria criminologica del femminicidio. La studiosa distingue i femminicidi dagli omicidi di donne per motivi accidentali o occasionali, e specifica che il femminicidio riguarda “tutte quelle uccisioni di donne, lesbiche, trans e bambine basate sul genere, e quelle situazioni in cui la morte di donne, lesbiche, trans e bambine rappresenta l’esito o la conseguenza di altre forme di violenza o discriminazione di genere” (Femicide. The politics of woman killing, 1992, p. 15).

L’attenta lettura della novella verghiana mette in luce, è vero, un evidente sguardo discriminatorio da parte della comunità di paese nei confronti del personaggio della protagonista, che di certo non è vista di buon occhio. A livello diegetico Verga, lo sappiamo già, appiattisce il punto di vista del racconto sul livello di un narratore collettivo che coincide, appunto, con la comunità del piccolo centro abitato.

Il narratore collettivo verghiano incarna, spesso, la prospettiva straniata da cui gli eventi vengono presentati; e siffatta prospettiva comporta, poi, che il lettore debba operare un reinquadramento dei fatti per antifrasi, in modo da individuarne una corretta interpretazione secondo una morale condivisibile.

Nella Lupa, però, si tratta di soppesare la responsabilità individuale del personaggio di ‘gna Pina, la quale si pone al di fuori dell’ordine comune e naturale delle cose in maniera volontaria. La sua prorompente e incontrollata sensualità, alla quale lei non pone rimedio, la induce a strumentalizzare prepotentemente il matrimonio della figlia allo scopo di soddisfare il proprio perverso tornaconto.

Il personaggio di Nanni, quantunque autore finale dell’omicidio perpetrato per disperazione nei riguardi della donna, più che carnefice appare vittima della persecuzione condotta nei suoi riguardi da parte della protagonista. La Lupa, per soddisfare i propri desideri, mostra di non avere scrupoli. La sua incapacità di controllarsi e la sua ottica deviata rispetto al normale e sano vivere i rapporti interpersonali, la rendono senz’altro vittima e “vinta” della vicenda narrata, però consapevole ella stessa della propria condizione di malattia.

Nessuna indulgenza nei suoi riguardi pare possibile nemmeno da parte di Verga. Se è vero che la moralità dello scrittore lo induce a rifuggire ogni finalismo economico e a rifiutare le disumanizzanti prospettive positivistiche della modernità, spesso incarnate, appunto, nelle scelte operate dai propri personaggi (finanche Nanni si interessa subito alla possibile dote della sua futura moglie), tuttavia è da sottolineare anche come egli sia un intellettuale che si colloca su posizioni ideologiche conservatrici. La sua visione del mondo lo induce a credere che il rispetto della micro dimensione della famiglia sia un possibile baluardo temporaneo contro l’imperante forza distruttiva della fiumana del progresso.

Vinti sono, invero, anche tutti gli altri personaggi, non solo ‘gna Pina. E soprattutto lo è Maricchia, vero contraltare della Lupa. Ragazza dalle prospettive di vita relegate a quelle di una donna che subisce il malsano individualismo egoistico della madre, Maricchia piange amaramente per la convinzione di non poter godere della vera libertà di gestire in autonomia la propria vita e di attingere a quella normalità che le sembra chimerica.

La condizione di “perdenti” concerne tutti i personaggi di questa novella, i quali incarnano al contempo il ruolo di vittime e quello di carnefici, ognuno di loro rispetto all’altro. L’analisi psicologica che Verga conduce nei confronti della piccola umanità rurale perviene, nella Lupa, a un livello di consapevolezza decisamente alto. L’essenzialità dei bisogni del mondo dei piccoli di Vita dei campi si arricchisce ulteriormente cogliendo aspetti di universalità umana e di attualità antropologica negli eccessi morbosi di una passione incontrollabile.

2 commenti su “DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “La Lupa: drammaticità fino al parossismo. Ennesimo cedimento, omicidio o femminicidio?”

  1. Condivido la valutazione di Davide Ficarra sull’abuso, in senso lato, e sull’inappropriatezza, nel caso specifico della novella “La Lupa” di Giovanni Verga, del concetto e dell’accusa di “femminicidio”. La valutazione di un omicidio, in generale, e in particolare di una donna, non può essere decontestualizzato. Il fatto che la vittima sia una donna, non ci esime dal considerare la specificità del suo comportamento e dall’accertamento delle sue responsabilità. Trovo corretta la conclusione: «La condizione di “perdenti” concerne tutti i personaggi di questa novella, i quali incarnano al contempo il ruolo di vittime e quello di carnefici, ognuno di loro rispetto all’altro». Ringraziamo Davide Ficarra per il suo nuovo contributo per farci conoscere e ad apprezzare la straordinarietà e l’attualità del pensiero di Verga e, al tempo stesso, per il suo invito a rifuggire da quanti pretendono di applicare dei parametri ideologici, prima ancora che culturali e giuridici, per manipolare il passato affinché corrisponda alla loro concezione faziosa della vita.
    Magdi Cristiano Allam

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