DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Dalla cultura nazional-popolare di Gramsci al nuovo umanesimo di uno Stato a misura d’uomo”

A differenza di ciò che si può dire a proposito della produzione di molte letterature straniere, quella italiana non ha carattere popolare. Ciò che gli scrittori italiani hanno prodotto e producono risulta indirizzato a un pubblico colto, perlopiù chiuso all’interno dei confini di una casta di eletti.

In diverse lingue straniere, per esempio, gli aggettivi “nazionale” e “popolare” sono considerati sinonimi o si richiamano al medesimo ambito semantico. Così non è in Italia, dove il concetto di nazionalità è nato in virtù di una serie di eventi che non hanno coinvolto il popolo.

Queste sono le considerazioni a partire dalle quali Antonio Gramsci propone alcune sue riflessioni negli anni Trenta del secolo scorso, formulate all’interno della sezione dei suoi Quaderni del carcere intitolata Letteratura e vita nazionale. Quivi egli denuncia l’incapacità costitutiva della tradizione italiana di rivolgersi agli strati più ampi della popolazione al fine di educarli, di formarli e di fornire loro una concezione della vita intorno alla quale far convergere tutti.

Gramsci ritiene che la motivazione storica alla base di siffatta incoerenza culturale sia da evidenziare nella disparità che egli individua nel rapporto tra intellettuali e popolo italiano. Ogni proposito letterario ha sempre evidenziato il carattere esclusivo di una lingua che non ha mai voluto coinvolgere gli strati popolari e che non si è mai proposta come veicolo di un messaggio rinnovatore rivolto al popolo.

L’origine di siffatto problema Gramsci lo individua a partire dalla fondazione dello Stato nazionale italiano. Egli afferma che la formazione di una coscienza «politico-nazionale unitaria della penisola» è sempre stata in forte ritardo. La stessa questione della lingua posta e affrontata da Manzoni dimostra, a suo modo di vedere, il problema di una mancanza di unità intellettuale e morale dello Stato italiano.

Di fatto non si è manifestato nel Risorgimento italiano alcun proposito da parte della borghesia finalizzato al coinvolgimento degli strati popolari negli ideali nazionali. Gli eventi che hanno portato all’unità nazionale italiana rispondono a un progetto politico alla cui origine si evidenziano intenti mossi da interessi del tutto non corrispondenti con i valori patriottici né con la maturazione, nelle coscienze, di un sentimento di unità politica.

La storia letteraria italiana dimostra, invero, uno spirito identitario che sin dalle Origini si basa sulla condivisione di un’essenza culturale unitaria innegabile. Essa si rivela nei temi e negli stili di una produzione in versi e in prosa che trova un senso di univocità patriottica nelle articolazioni di un pensiero chiaro e coscienziosamente maturo nelle menti di molte individualità artistiche.

Il percorso di progressiva affermazione delle istanze alla base dell’identità nazionale italiana, tuttavia, è storicamente in divenire. Il concetto di “Nazione” non corrisponde con quello di “Patria”. Gramsci sottolinea una disparità che, nella concretezza della vita nazionale italiana, non si è ancora appianata.

I Quaderni del carcere sono un’opera che viene pubblicata postuma e che si inserisce nel clima di ricostruzione postbellica a partire dal 1948.

L’appello che anche oggi riecheggia nelle coscienze degli uomini che colgono suggestioni ancora valide nel pensiero di Gramsci è quello di verificare realisticamente e con onestà le esigenze di un popolo a cui non approcciarsi solo con un atteggiamento di inclinazione paternalistica.

Si sente il bisogno di realizzare un nuovo umanesimo, frutto di una partecipazione concreta alla vita del proprio tempo dalla quale l’intellettualità non può ritenersi avulsa. Il modello culturale e letterario che si propone e che anche oggi risulta necessario perseguire è quello che punta a una persuasione diretta del popolo e che intende attuare propositi di organizzazione costruttiva della vita.

Ciò che in particolare si intende condivisibile della visione proposta da Gramsci è l’idea di un intellettuale che sia «un’articolazione […] del popolo stesso» e che realizzi concretamente una cultura in grado di cambiare la realtà nazionale in cui tutti vivono.

Cogliere i bisogni della realtà in cui si vive, porsi individualmente nella prospettiva di una consapevolezza e di una interiorizzazione umana profonda di ciò che attornia la propria esistenza deve poter tradursi in una rifondazione collettiva della vita futura in cui proiettare il senso di tutto.

Si tratta di un nuovo «moderno umanesimo» che non punti però solo a dar voce alle esigenze del popolo ma che sappia educarlo al fine di maturare un nuovo concetto di “sovranità” da esercitare nella definitiva prospettiva di uno Stato dalle strutture politiche, sociali ed economiche finalmente a misura d’uomo.

2 commenti su “DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Dalla cultura nazional-popolare di Gramsci al nuovo umanesimo di uno Stato a misura d’uomo”

  1. D’accordo. Il concetto è chiaro e condivisibile. Ma, haime’ astratto e scarsamente realizzabile. Se i nostri attuali intellettuali assomigliano a Diego Fusaro, dalle idee lucide e dal linguaggio aulico e talvolta criptico, comprendiamo come la prospettiva di Gramsci sia ancora utopica.
    Ma la riscoperta del nazionalismo e del patriottismo è senz’ altro la strada giusta.

    1. Appunto. Ma a me non interessa la prospettiva popolare di Gramsci. A me interessa quella storicamente determinata che affonda nelle nostre origini, cioè quella di un gruppo di eletti che guida tutto il popolo verso un nuovo umanesimo a misura d’uomo. E da questa prospettiva siamo lontani anni luce. Ah, non mi piacciono nemmeno i termini in -ismo.

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