STEFANIA CELENZA: “La famiglia come mitologia”

E se la famiglia fosse una forma di mitologia?
E se la mitologia stessa fosse la famiglia?
Dopo avere analizzato, in ogni settore, le criticità del pensiero contemporaneo, le lacune valoriali della cultura attuale e dopo avere capito e approfondito ciò che non va nell’assetto della odierna società, occorre guardare alle soluzioni.
Occorre costruire una nuova alternativa. Occorre preparare le risposte.
Il nucleo centrale della nostra attenzione è stato la famiglia.
Abbiamo visto come la famiglia è stata destrutturata, svilita e persino banalizzata. Dobbiamo provare a ricostruirla.
Gli scritti dei pensatori, dei filosofi, degli psicoanalisti e degli scienziati di tutti i tempi, che si sono interrogati sul significato profondo di famiglia, possono aiutarci.
Mi ha colpita, per esempio, James Hillman, che, nel suo testo “Fuochi Blù”, ha indagato sulla natura mitologica della famiglia.
James Hillman, nato in una famiglia ebraica, è stato uno psicoanalista americano, fondatore della Psicologia Archetipica, che ha trasformato la psicologia in terapia delle idee.
L’aspetto rivoluzionario della psicologia di Hillman è stato l’avere portato l’analisi fuori da un rapporto medicalizzato e l’avere polarizzato l’attività psicologica e psicoanalitica su due nuovi concetti: l’anima e l’archetipo.
La terapia, o l’analisi, non è solo qualcosa che gli analisti fanno ai pazienti, essa è un processo che si svolge in modo intermittente nella nostra individuale esplorazione dell’anima, negli sforzi per capire le nostre complessità, negli attacchi critici, nelle prescrizioni e negli incoraggiamenti che rivolgiamo a noi stessi. Nella misura in cui siamo impegnati a fare anima, siamo tutti, ininterrottamente, in terapia” (Re-visioning Psychology, 1975).
Hillman (e prima di lui Jung) ha individuato l’archetipo come la forma primaria delle esperienze vissute dall’umanità, nello sviluppo della coscienza. Gli archetipi, pure forme, sono condivisi da tutta l’umanità, sedimentate nell’inconscio collettivo di tutti i popoli, senza alcuna distinzione di luogo e di tempo, si manifestano come simboli e pre-esistono alla psiche individuale, che organizzano. Un tipico archetipo è, per esempio, il matrimonio.
Hillman definisce gli archetipi come «i modelli più profondi del funzionamento psichico, come le radici dell’anima che governano le prospettive attraverso cui vediamo noi stessi e il mondo. Essi sono le immagini assiomatiche a cui ritornano continuamente la vita psichica e le teorie che formuliamo su di essa».
James Hillman ha sottratto la psicologia a coloro che l’avevano ridotta a una scienza del comportamento e ne ha fatto un discorso, o un’arte dell’anima, che, rinunciando a ogni «fantasia di cura, di guarigione», intende esplorare le basi più profonde e misteriose della vita.
Per questo mi ha molto interessato il ragionamento che fa Hillman sull’archetipo della famiglia. Innanzitutto, cos’è la famiglia?
E’ un insieme dato dalla somma di componenti prestabiliti con ruoli fissi e non intercambiabili e gerarchie di varia natura o è, invece, una piccola comunità di persone che decidono di condividere un progetto di vita? E per definire tale aggregato non occorre forse considerare prima di tutto il modo di stare insieme, bello o meno bello, improntato a solidarietà o a rancore, a tenerezza o a invidia e competizione?
La famiglia di cui tratta Hillman è la famiglia mitica, archetipica. La famiglia viene elevata alla sfera della pura metafora. Tutte le nostre abitudini inconsce derivano dalle figure mitiche della famiglia (il padre, la madre, il bambino, i fratelli). Insomma, per Hillman, la famiglia è un sistema simbolico a se’ stante, una mitologia di ampia portata, radicata nel profondo.
Sono stata sorpresa di riconoscere tutte le nostre attuali considerzioni sulla deriva della famiglia, nello scritto di Hillman. Già in tempi che ancora non ci sembravano sospetti, nel 1997, egli scriveva che “niente ha fatto violenza alla famiglia più delle nostre teorie dello sviluppo psicologico, con i loro miti dell’indipendenza dell’individuo”. Secondo i nuovi archetipi della società contemporanea, la famiglia è concepita come un male necessario, che va lasciato alle spalle, in nome della propria indipenza e della libertà di conseguire la propria felicità personale. Hillman accusa la psicoanalisi moderna di avere accettato e diffuso il mito dello “sviluppo dell’individuo attraverso il distacco dalla famiglia”, in nome del prioritario “rafforzamento dell’io”.
Chi l’avrebbe mai detto? Chi avrebbe mai pensato che è anche colpa degli psicoanalisti se la famiglia moderna è entrata in crisi !?
Hillman definisce a chiare lettere la psicoanalisi come un trattamento di igiene mentale, altrimenti detto lavaggio del cervello… Questo trattamento ha sistematicamente messo al centro l’IO indipendente, mentre ha individuato nella famiglia una influenza restrittiva della crescita personale. La psicologia ha scoperto tutta una demonologia interna della famiglia. Per rendere sempre più convincente il mito della indipendenza individuale, è stata enfatizzata l’invidia fraterna, le minacce di castrazione da parte del padre e le madri schizogeniche. Hillman è morto nel 2011, ma se fosse stato presente oggi, avrebbe aggiunto alla lista anche il femminicidio, il patriarcato ed i maltrattamenti domestici.
Tutto questo porta la scienza psicoanalitica occidenale ad approdare al nuovo mito della libertà dalla famiglia.
La pscicologia attuale (aggiungo io, in piena adesione alla ideologia dominante), troncando la grande catena delle generazioni, ha imposto la pseudoreligione del SE’ come centro della personalità, come primato dell’individualismo.
Al contrario, Hillman era convinto che l’IO si rafforza e la personalità matura appieno soltanto all’interno della famiglia. La famiglia che contiene tutte le difficoltà e le oscurità che le sono proprie, ma che costituisce comunque un valore in se’. Tutte le “esasperate, debilitanti difficoltà che logorano la vita familiare indicano che sono in gioco cose molto importanti”.
Ho trovato molto bella questa frase “qualunque intensa emozione segnala un valore”.
Secondo tale convinzione, allora Hillman ha cercato di “recuperare”questi valori, legati alla famiglia, di recuperare i tipici momenti emotivi della vita familiare, che lui suddivide in quattro fasi importanti.
1) La falsa identità. Durante l’infanzia incomincia a formarsi la nostra identità, anche in base alle percezioni degli altri (quello che gli altri si aspettano da noi o che credono di noi). La svolta è quella di non farsi determinare da quelle percezioni, ma di cercare di scoprire se quelle percezioni, provenienti dagli altri, corrispondano al vero. Il mito personale che si forma intorno ad un componente della famiglia è comunque frutto di amore, per cui, che una persona viva dentro quel mito o vi si ribelli, è importante innanzitutto che il mito ci sia. Che ci sia la famiglia. Sta all’individuo distinguere la falsa, dalla vera identità. Dunque, questo non è un problema invalidante.
2) Il parentado. Hillman esprime in maniera estremamente dotta il concetto che il parentado non è oggetto di nostra scelta, perchè “le persone che scegliamo di avere accanto non ci spingono mai davvero oltre i nostri consueti confini psicologici”. Scherzosamente, citando una frase di Terenzio “niente di ciò che è umano mi è estraneo”, Hillman risolve anche questo problema, affermando che “i parenti, consanguinei e acquisiti ci offrono l’occasione di ampliare fino all’inverosimile la nostra accezione di ciò che è umano”…
3) Il momento del pasto. Studi condotti sulle famiglie con problemi individuano nel pasto in comune il più importante punto di concentrazione delle tensioni familiari. Siffatta tensione segnala, secondo Hillman, l’inconscio riconoscimento della sacralità di questo atto quotidiano. L’individuazione di determinati rituali (i posti fissi a tavola, la puntualità, lavarsi le mani, apparecchiare o sparecchiare) è legato alle potenze archetipiche, a loro volta fondate sulle convenzioni della civiltà, ovvero sulle radici della nostra storia, sulle fondamenta delle nostre tradizioni. Questo archetipo va preservato, in nome della nostra stessa sopravvivenza.
4) Il ritorno a casa. Il ritornare in famiglia, dopo esserne usciti, è sempre vissuto come un ritornare indietro, è un atto regressivo, un atto fallimentare, un non essere riusciti. Al contrario, dovrebbe rappresentare una delle funzioni più importanti della famiglia, quella di offrire accoglienza, quella di fornire un luogo dove leccarsi le ferite. Sono proprio queste circostanze di “ritorno” che attestano la capacità della famiglia di contenere i bisogni regressivi dell’anima.
Questi quattro punti sono sintomatici, per Hillman, di ciò che sta alla radice dei problemi familiari.
E’ la attuale cultura moderna, è la nostra coscienza caratterizzata dalla mancanza di radici, da un senso di esilio e da una inclinazione “antifamiliare” ad impedirci di tornare a casa, di tornare in famiglia, di tornare alla famiglia.
Invece, occorre assolutamente tentare di ripristinare il modello familiare del secolo scorso, riproponendolo nella storia della nostra vita.
Per ricreare la famiglia occorre una prospettiva che guardi, più che ai rapporti gerarchici tra genitore e figlio o alle questioni dell’autorità e della ribellione, al rapporto d’anima. L’interesse per l’anima deve diventare preminente e la reciprocità del fare anima insieme è la chiave del successo. Tutti gli ostacoli sono superati.
Cambiare punto di vista, come si vede, non è impossibile.
Non dipenderà dal Governo, dalle riforme, ne’ dalla religione, ne’ dalle ideologie. Dipenderà esclusivamente da noi, come ci ha insegnato questo visionario psicoanalista.

Signa, 10.01.2024

Stefania Celenza

6 commenti su “STEFANIA CELENZA: “La famiglia come mitologia”

  1. ho letto l’articolo con molto interesse; “l’esplorazione dell’anima e gli incoraggiamenti che rivolgiamo a noi stessi” acquisiscono significato proprio all’interno di relazioni significative e non prendendo le distanze dagli altri per affermare la nostra personalità e il proprio io, in maniera individualista, come il pensiero dominante insegna. Pensare di bastare a sé stessi ci allontana da tutti coloro che invece possono dare senso alla nostra esistenza, Grazie Stefania!

  2. Un visionario psicoanalista, Hillman! Quindi sono visionaria anche io, che concordo con lui su molti aspetti, soprattutto sulla critica alla psicoanalisi moderna, centrata sull’uso di modelli statistici e dogmatici di indagine in un campo così polimorfico ed eclettico, quale la psiche. Le cure parentali sono l’espressione tipica degli animali e degli uccelli e sono la forma più elementare di “famiglia”. L’uomo, nel corso della sua evoluzione culturale, ha sviluppato e rafforzato questo nucleo primitivo, facendolo diventare ciò che Cicerone chiamava “la cellula prima della società”. Se si vuole destrutturare una società, è proprio dalla famiglia che si deve iniziare, come ben sapevano e sanno coloro che da decenni stanno lavorando al suo collasso.

  3. L’autodeterminazione individuale e l’affermazione di sé non devono significare rifiuto dell’archetipo della famiglia, con il suo sano e innegabile impianto strutturale. Bisogna essere promotori di individualismo in chiave moderna, non postmoderna, senza smentire il valore di guscio protettivo e di rivelatore dell’identità di sé quale è la famiglia. Quindi ben venga il riproponimento del modello “moderno” e liberale della famiglia.

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