STEFANIA CELENZA: “Turandot, La donna che voleva vivere senza uomini”

Ascolta l’audio con la voce di Paola Ramella

La comprensione di ciò che sta accadendo nella nostra nuova società, senza ideali e senza idee, può essere forse agevolata, attingendo all’immenso patrimonio artistico e culturale che la Storia ci ha lasciato.
Conoscere il passato, per capire il presente, insomma.
L’eterno, atavico rapporto degli uomini con le donne, l’ancestrale bisogno di unirsi, di stare insieme, di vivere insieme, di fare famiglia, che hanno dimostrato di avere gli uomini e le donne di tutto il mondo e di tutte le epoche, deve avere qualche significato, deve darci qualche spiegazione.
Queste spiegazioni noi le possiamo rinvenire ovunque, in ogni forma di espressione artistica, letteraria, poetica, teatrale e persino musicale.
Il mondo dell’Opera ci fornisce un osservatorio speciale ed assai interessante.
Prendiamo Puccini, per esempio, che ha molto rappresentato l’inquietudine ed il tormento delle coppie del suo tempo, essendo stato lui stesso angosciato, per causa delle innumerevoli donne che hanno incrociato la sua vita.
Il tempo di Giacomo Puccini non è affatto dissimile dal nostro, in fatto di crucci esistenziali. Non vi è dubbio che le maggiori afflizioni derivino dal mai risolto rapporto dell’uomo, con la donna e della donna con l’uomo.
In Turandot, Puccini rappresenta la donna in modo complesso. 
Turandot, personaggio emblematico del suo incompiuto capolavoro, è l’ultima creazione di Giacomo Puccini.
Turandot è una donna algida e cattiva, che vuole vendicarsi su tutti gli uomini, affetta com’è da una sorta di complesso atavico per lo spregio patito da una sua antenata stuprata ed uccisa. In realtà, è una donna che non sa amare o, per meglio dire, che ha paura dell’amore, perché l’amore è come un terremoto, che sconvolge tutto ciò che trova.
La storia di Turandot ha, probabilmente, origine da un’antica leggenda persiana o cinese.
Turandot non è la donna sentimentale, che muore, pronta a fare sacrifici, per amore, come Manon, Butterfly o Tosca. Turandot è una donna fredda e sopravvive alla propria crudeltà.
La  principessa Turandot, donna prevenuta contro gli uomini,  è descritta come una persona dall’apparenza forte e determinata, che sfida gli uomini a risolvere enigmi complicati, per potere ambire alle nozze con lei. In realtà è proprio lei a rivelare che l’enigma imposto ai pretendenti è un pretesto per tenerli lontani da sé, perché lei non vuole essere avvicinata da alcuno, non vuole nessun uomo nella sua vita. La stessa Turandot dichiara che abborrisce il sesso mascolino, che solo il pensiero di esser soggetta ad un uomo la fa soffrire tremendamente. Ma dichiara pure che tiene superbamente a non essere superata nei cimenti d’acume: il cielo le ha dato questo talento, questa acutezza e vuole con tutte le sue forze che non venga offuscata. E’ chiaro che Turandot ha paura degli uomini e che si illude della propria superiorità.
Tuttavia, questa freddezza  e  questa crudeltà possono anche apparire come una rappresentazione negativa delle donne, viste come figure dominanti e spietate. Puccini scrisse, infatti, un ruolo drammatico per Turandot, che richiedeva corde vocali d’acciaio. La sua aria “In questa reggia” è un’enorme prova di forza. Si pensa che il musicista abbia dovuto impiegare molta energia per sentire questo ruolo.
C’è chi sostiene che Turandot di Puccini rimase incompiuta, non a causa dell’inesorabile progredire del male che lo affliggeva, bensì per l’incapacità, o piuttosto l’intima impossibilità, da parte del maestro, di interpretare quel trionfo d’amore conclusivo, che pure l’aveva inizialmente acceso d’entusiasmo e spinto verso questo soggetto. Il nodo cruciale del dramma, che Puccini cercò invano di risolvere, è costituito dalla trasformazione della principessa Turandot, algida e sanguinaria, in una donna innamorata.
Questa difficoltà sarebbe stato, dunque, uno dei motivi principali per cui Puccini non sia riuscito a finire l’opera.
Le emozioni di Puccini appartengono, invece, a Liù, la piccola donna, la sfavorita della vicenda. Sono dati a Liù i temi più belli, non a Turandot.
Tre delle sei arie di quest’opera risuonano dalla bocca di Liù. Si dice addirittura che i versi dell’ aria, in cui Liù dice addio alla terra, siano stati scritti proprio da Puccini stesso.
Il personaggio di Liù rappresenta, infatti, una immagine più tradizionale della donna, come figura compassionevole e sacrificale, pronta a dare la propria vita per l’uomo amato, incondizionatamente. 
L’anima di Giacomo Puccini vive in tutte queste donne e con loro, e ci conduce verso la conoscenza dell’imperscrutabile universo femminile.
Il Maestro ci offre la visione contrastante della complessità del genere femminile, niente affatto diversa da quella attuale, viene da dire.
Invece, assai differente è la rappresentazione dell’uomo, in questa opera. Da un lato, i pretendenti di Turandot sono dipinti come uomini coraggiosi e  determinati, disposti a rischiare la propria vita, per conquistare l’amore della principessa. 
Tuttavia, la sfida imposta agli uomini da Turandot mette in luce anche la loro fragilità e vulnerabilità, perché devono dimostrare, non solo la propria intelligenza e astuzia, ma anche la propria capacità di amare e rispettare le donne. 
Invece, il personaggio di Calaf, l’eroe principale dell’opera, rappresenta una immagine positiva dell’uomo, come figura forte, determinata e trionfale, anche capace di compassione e di amore. 
Il terremoto di Turandot si chiama, infatti, Calaf, il giovane principe che rimane folgorato dalla sua bellezza. Nonostante il carattere della principessa, l’eroe senza paura riuscirà a sfondare il muro di paura e d’insicurezza che avvolge il cuore della crudele fanciulla.
Complessivamente, Turandot offre una visione eroica della figura maschile, seppur mostrando sia i lati positivi, che quelli negativi degli uomini.
Il ruolo tenorile di Calaf occupa, infatti, la posizione più importante nell’opera di Puccini. Calaf è la figura primaria di quest’opera e quindi deve assumersi il compito di un ruolo drammatico, di primo piano. Il tenore deve cantare costantemente, in registri alti, contro una grande orchestra e deve farsi sentire nelle scene di massa. L’effetto spettacolare del personaggio è senza dubbio il suo ruolo di vincitore, suggellato ed immortalato nel Nessun Dorma.
Calaf è forte, Calaf è ardimentoso, Calaf è sincero, Calaf è innamorato ed è Calaf che grida al mondo, orgogliosamente, che lui, all’alba vincerà.
E infatti vincerà, anche se ancora al terzo atto la principessa è nettamente contraria all’amore di Calaf: “Cosa umana non sono! Son la figlia del Cielo libera e pura. Tu stringi il mio freddo velo ma l’anima è lassù!“.
Nell’opera di Puccini è risolutivo il bacio passionale che Calaf strappa a Turandot. Il calore del bacio passionale disgela, trasforma la principessa.
Da mostro di gelo, a donna. Questo bacio è un passo avanti, è una emancipazione, verso una più alta considerazione della donna.
Possiamo dire che Turandot fonde, con il fiabesco, l’intenso universo femminile pucciniano. Fra crudeltà, enigmi e morte. Un Principe pronto all’estremo sacrificio, per un improvviso amore totalizzante. E una Principessa che si nega alle gioie dell’amore, prigioniera di sè stessa, ossessiva e misteriosa. Puccini sviluppò l’opera basandosi sull’amore sconfinato di Calaf. Questo amore è al centro. Questo amore eroico inaugurava un nuovo ciclo e trionfava sulla freddezza, sulle parole vane, sulla crudeltà mentale.
La musica ispiri, dunque, anche questi nostri tempi confusi e sbagliati, alla riscoperta dei valori immemorabili ed insopprimibili su cui si fonda la nostra storia millenaria.
La vita e l’amore che replica la vita.

Signa, 19.04.2024

Stefania Celenza

4 commenti su “STEFANIA CELENZA: “Turandot, La donna che voleva vivere senza uomini”

  1. Sono completamente d’accordo con te Stefania. La musica è l’arte che ispira le emozioni più profonde della nostra anima. Amo Puccini, e, la Turandot è l’esempio di come, anche la donna più dura, che odia gli uomini, in fondo, inconsciamente, cerca solo “quell’uomo” che apra le porte di quell’universo che solo l’Amore può aprire.
    L’Amore è vita, e come la vita, è fatto anche di sofferenza.
    Ma… quel bacio di Calaf non compensa forse ogni vuoto, ogni paura, ogni forma di odio?!

  2. Per un appassionato di Opera, come me, ho più che apprezzato l’insieme della riflessione di Stefania Celenza. Non solo per i suoi contenuti ma anche per la scrittura avvincente e efficace. L’Opera, non solo perché è prevalentemente in lingua italiana, rappresenta ancor più del vanto, l’anima più veritiera dell’Italia nel Mondo. Puccini è stato l’ultimo grande compositore dei capolavori della nostra Opera. E la Turandot è stata la sua ultima Opera. Ed è proprio nel finale dell’Opera che accade il miracolo, grazie all’amore, la cui forza travolgente abbatte tutte le barriere culturali o retaggio di traumi personali. In quel «All’alba vincerò! Vincerò! Vincerò!», che conclude l’aria “Nessun dorma”, si attua il miracolo. Il messaggio è che la nostra natura alla fine prevale e che, grazie all’amore, riscopriamo l’umanità vera che ci appartiene. Questo insegnamento vale sempre, anche per questo Mondo asservito al dio denaro che, avendo dimenticato l’amore, ha perso la propria umanità.

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