STEFANIA CELENZA: “Da materiale di scarto a recupero di risorse. Gli anziani”. Ascolta l’articolo con la voce di PAOLA RAMELLA

Ascolta l’articolo con la voce di Paola Ramella

La famiglia è stata davvero la cellula primordiale di qualsiasi società, è stata davvero il primo, grande ed insostituibile ammortizzatore sociale.
Che sia stata e sia insostituibile lo comprovano i fatti.
Oggi che la famiglia è stata smantellata come istituzione, demonizzata come ideale di vita e ridicolizzata come valore comune, oggi che, dunque, la famiglia non esiste più, emergono, da ogni dove, tutte le lacune che questa eliminazione comporta.
Invece, l’istituzione familiare rappresenta il pilastro su cui si fondano le comunità, su cui si fonda il sistema educativo, su cui si fonda la solidarietà umana, su cui si fonda il contenimento delle forme di bisogno, su cui si fonda, insomma, il benessere sociale ed economico.
Senza la famiglia, al di fuori della famiglia, tutto il resto è business, capitalismo, speculazione, plutocrazìa, denaro. Cosicchè, ciò che all’interno della famiglia, intesa come pluralità di individui, costituiva motivo di reciproco aiuto, di mutuo sostegno o di conforto nei singoli bisogni, oggi, in una logica fondata sull’individuo singolo (meglio sull’individuo solo), l’aiuto ed il sostegno si pagano. Ad ogni bisogno del singolo corrisponde un servizio, ad ogni servizio erogato corrisponde un prezzo.
Questo concetto lo si comprende molto bene, parlando degli anziani.
Se le persone anziane, un tempo, erano considerate amorevoli fonti di saggezza, oggi prevale l’intolleranza nei loro confronti. Non si sopportano i loro limiti fisici, le loro esigenze assistenziali, le loro difficoltà motorie o cognitive. Non servono più, non sono più efficienti, non sono più veloci, non sono più utili. O così sembra.
L’ideale contemporaneo si concentra sulla giovinezza, come prima fonte di benessere.
La forza, la prestanza e la bellezza fisica sono il feticcio del mondo di oggi.
Una persona anziana non rientra in questa equazione, è un materiale di scarto, non se ne vuole avere a che fare, quasi che la sua vulnerabilità faccia paura.
Eppure, se pensiamo che le società industriali contemporanee stanno invecchiando assai rapidamente e che molte, come sappiamo, non riescono neanche a compensare le morti con le nascite, il tema della vecchiaia dovrebbe assumere rilevanza prioritaria.
In una popolazione sempre più ingrigita dalla longevità, urge la riscoperta del senso e del significato della vita, che orienti le persone e le comunità, per superare l’idea comune che concepisce questa fase della vita solo come un lento e doloroso declino e l’anziano come un corpo ammalato e inutile.
In assenza di un orizzonte di significati capace di dare senso a questa fase della vita, spesso gli unici alleati dei nostri anziani diventano i farmaci e i medici, mentre le relazioni si svolgono all’interno di istituzioni alienanti, come ospedali, istituti e case di riposo, in cui è facile perdere la propria identità e la propria storia.
Infatti, da qualche decennio, è sceso in massa, sul nostro territorio, un popolo assolutamente sconosciuto alle realtà familiari di sempre: il popolo delle badanti.
Ai primi segnali di un qualche bisogno di aiuto, i figli, i nipoti, i parenti e gli affini, tutti super impegnati, super occupati e super indaffarati, sembrano non avere tempo da dedicare ai vecchi. Per questo devono ricorrere all’accudimento del badante, rigorosamente straniero, proveniente dall’est. Al nonno ci pensa uno sconosciuto, che magari non ha ancora imparato la nostra lingua e che è legato ad usi, tradizioni ed alimentazione distanti anni luce da quelli del nostro anziano.
Poi, dal badante, all’inserimento in RSA, il passo è breve.
E’ sufficiente che la condizione psico fisica dell’anziano abbia qualche peggioramento (e l’abbandono fisico ed affettivo della sua famiglia lo provoca immancabilmente), è sufficiente che richieda una assistenza più specialistica, di tipo infermieristico, che si cominciano subito le pratiche per l’inserimento in struttura.
E da lì l’anziano uscirà solo da morto.
Soprattutto nelle grandi città, i farmaci, i badanti, gli istituti di vario genere sono diventati, dunque, le stampelle ‘medicalizzanti’ dei vecchi, utilizzate come mezzi che vadano a riempire un ‘vuoto’: quel vuoto è una voragine di significati, di relazioni, di comunità, di affetti e di relazioni familiari.
Possiamo dire che, in questa nostra società occidentale, iperfocalizzata sulla velocità, sulla bellezza, sulla efficienza e sulla competizione, ci sia quasi una forma di fobia verso tutto ciò che riguarda il tema della vecchiaia.
E’ l’argomento, forse, più avversato dall’attuale spirito del tempo.
Siamo in presenza di una visione distorta della vita. Completamente capovolta.
Invece, come scriveva Arthur Schopenhauer, “i primi quarant’anni di vita ci danno il testo, i successivi trenta ci forniscono il commento allo stesso”.
Lo psicanalista e filosofo americano James Hillman ha analizzato, studiato ed interpretato questa fase della vita, sovvertendo, in modo del tutto originale ed inaspettato, la prospettiva sulle sfide che attraversano questo momento dell’esistenza.
Scrive Hillman, “per spiegare la vecchiaia ci rivolgiamo di solito alla biologia, alla genetica e alla fisiologia geriatrica, ma per comprendere la vecchiaia abbiamo bisogno di qualcosa in più: dell’idea di carattere. La biologia non è il corpo, è soltanto un modo di descrivere il corpo”.
E’ molto interessante il ragionamento che fa Hillman, ribaltando il senso stesso della età della vita “La vecchiaia è mediata dalle storie che si raccontano su di essa. La biologia racconta un tipo di storia, la psicologia un altro. O per meglio dire, la psicologia si sforza di comprendere le spiegazioni della biologia. Anch’io voglio debellare un’idea, o almeno voglio respingere la nozione monolitica che noi si sia fondamentalmente creature fisiologiche e che di conseguenza il nostro pensiero su di noi possa essere ridotto a pensiero sul nostro corpo. E’ una nozione che ci condanna a morte: ecco che diventiamo vittime dell’invecchiamento. Siamo convinti che la nostra intera esistenza sia soggiogata e governata (in un modo che acquista evidenza drammatica negli anni finali della vita) dalla fisiologia “ (James Hillman “La forza del carattere”, oltre la vecchiaia).
Il nostro carattere, allora, la nostra personalità tesse la trama del nostro destino, sullo sfondo degli eventi più importanti della nostra vita. Trama che diviene evidente e che ha la sua massima espressione al crepuscolo dell’esistenza.
“Invecchiare non è un mero processo fisiologico: è una forma d’arte e solo coltivandola potremo fare della nostra vecchiaia una ‘struttura estetica’ possente e memorabile, e incarnare il ruolo archetipico dell’avo, custode della memoria e tramite della forza del passato.”
Ho trovato straordinario questo passaggio del testo di Hillman “Nonne e nonni tengono in vita riti e tradizioni, possiedono una riserva di storie delle origini, insegnano ai giovani, alimentano la memoria degli spiriti ancestrali guardiani della collettività”.
Ed ancora, secondo Hillman, i nonni “hanno poco tempo da vivere, ma tanto tempo da dedicarti.”
Anche il pensiero dello storico Theodore Roszak sulla vecchiaia è molto intrigante.
Egli afferma che, trascurando i vecchi, impediamo l’evoluzione della specie umana. Continueremo a impedirla finché non riconosceremo che il carattere invecchiato è in grado di proteggere la civiltà, dalla sua stessa frenesia predatoria (Theodore Roszak “La nascita di una controcultura: riflessioni sulla società tecnocratica e sulla opposizione giovanile”).Questa, dice ancora Hillman, è “una difesa dei valori della civiltà, contro la forza distruttiva e l’angusta immaginazione dell’ingegneria genetica, del capitalismo selvaggio, del governo tecnocratico e dei fondamentalismi salvifici, disposti a calpestare la bellezza di questo mondo, per la smania di arrivare primi nell’altro”.
Questi pensatori, illuminati da un sapere che va oltre lo spazio ed il tempo della loro stessa vita, ci hanno offerto una diversa e sorpendente chiave di lettura.
“Ciò che resterà quando noi vecchi ce ne saremo andati è quella bellezza, l’eredità per le nuove generazioni. Prima di andarcene, dobbiamo ottemperare alla nostra parte del patto di reciproco sostegno tra gli esseri umani e l’essere del pianeta, restituendo quello che abbiamo preso, assicurandoci che esso duri anche dopo di noi”.
Voglio aggiungere che questa bellezza è stata preservata, da tempo immemore, attraverso il testimone della famiglia, attraverso il passaggio interfamiliare delle generazioni. Recuperando gli anziani come vero patrimonio sociale, recuperando la famiglia e le immense risorse che sono custodite al suo interno, ritroveremo anche noi quella antica bellezza.
Mi piace concludere con un bellissimo motivo di Francesco Guccini, che canta, alla prima strofa, “Un vecchio e un bambino si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera”. E il vecchio, guardando lontano, raccontava al bambino, che non lo sapeva:
“Immagina questo coperto di grano
Immagina i frutti, immagina i fiori
E pensa alle voci e pensa ai colori
E in questa pianura, fin dove si perde
Crescevano gli alberi e tutto era verde
Cadeva la pioggia, segnavano i soli
Il ritmo dell’uomo e delle stagioni”

Firenze, 02.05.2024

Stefania Celenza

5 commenti su “STEFANIA CELENZA: “Da materiale di scarto a recupero di risorse. Gli anziani”. Ascolta l’articolo con la voce di PAOLA RAMELLA

  1. Articolo che fotografa la situazione familiare di oggi.
    Troppi esempi, nella quotidianità, danno purtroppo ragione a quanto ho letto. La tristezza dell’anziano accompagnato alla rsa dai figli stessi, fa si che si lasci morire giorno dopo giorno, consapevole dell’inutilita’ del suo continuare a vivere. È struggente.

  2. Grazie Stefania! bellissimo articolo !!
    Nella nostra famiglia stiamo vivendo il passaggio dalla presenza di “nonni tutto-fare” alla loro presenza in qualità di persone “bisognose di tutto”; i nonni hanno bisogno di famigliari che dimostrino loro vicinanza e tanta sensibilità, che sappiano riconoscere tutti i loro bisogni.
    Noi cerchiamo di esporre i nonni ad una famiglia “giovane e accelerata” e viceversa esponiamo i nostri figli alla lentezza e saggezza che caratterizza i più anziani. In questo modo ognuno dà e ognuno riceve!

    1. Appunto. È questo passaggio che non si accetta più. Fin quando gli anziani possono aiutare, tutto va bene. Ma quando sono gli anziani a dovere essere aiutati, tutti spariscono.
      E taccio del momento in cui si risveglia l’interesse del parentado…quello della apertura della successione…

  3. Buonasera Stefania, bellissimo articolo, hai descritto perfettamente quello che sta succedendo nelle famiglie Italiane. Ho presso un po’ fragmenti e li ho dedicati una persona cara che ci ha lasciato. I nonni sono la nostra ricchezza.. grazieee.

Lascia un commento

error: Questo contenuto è protetto