DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Italo Calvino: nel Mare dell’oggettività, un appiglio per rifondare le coscienze”

Il cambiamento epocale che interessa la cultura italiana nel passaggio dalla prima alla seconda metà del Novecento è al centro della riflessione proposta in diversi interventi pubblicati sulla rivista Il menabò, fondata da Elio Vittorini e da Italo Calvino nel 1959.

All’interno del quadro complessivo dei rapporti che mettono in relazione la letteratura e il mondo dell’industria, ampia risonanza si dà sul Menabò alle questioni relative al cambio di prospettive che si registra, nel secondo Novecento, nel rapporto tra la coscienza individuale e la realtà oggettiva.

In un’ottica di totale ribaltamento delle prospettive individualistiche che sostanziavano le tendenze di inizio Novecento, la cultura evidenzia un annichilimento sempre più schiacciante della soggettività sotto il peso di un mondo improntato sul valore estrinseco dell’esistente e dell’oggettività.

Nel secondo numero del Menabò, uscito nel 1960, è presente un importante saggio di Italo Calvino intitolato Il mare dell’oggettività. In esso lo scrittore elabora un ragionamento rigoroso sui rischi catastrofici che si correrebbero se si lasciassero scorrere senza controllo le tendenze degeneri associate al boom economico e all’imporsi di una comunicazione di massa.

Il punto di partenza della valutazione proposta da Calvino è dato dal riferimento all’ “école du regard”, corrente letteraria francese che, nel corso degli anni Cinquanta, ha dato origine al “nouveau roman” e che ha dettato alcuni orientamenti nell’ambito della teoria e della critica letteraria.

Secondo questa nuova scuola di pensiero nella narrazione letteraria non si deve più operare nella direzione di un’antropomorfizzazione degli oggetti e delle “cose” che ci circondano, come si è sempre fatto; non deve esserci alcuna proiezione del soggetto sul contesto che gli fa da contorno, ma l’io deve limitarsi a testimoniare, rispetto a questo contesto, l’assoluta estraneità della dimensione umana.

Accogliendo la proposta di questo nuovo orientamento culturale, la scrittura letteraria dovrebbe limitarsi a una registrazione scritta delle testimonianze di vita fornite dalla gente comune. Si tratta di un atto fine a se stesso che comporta uno sguardo mimetico nei confronti dei linguaggi parlati e che induce a registrare passivamente la babele linguistica dei dialetti, perdendo totalmente di vista quella linea propulsiva al miglioramento rappresentata dalla lingua italiana.

L’accoglimento incontrollato dei vari aspetti in cui si estrinseca la dimensione dell’informalità configura quest’apertura come un’avanguardia e una novità sperimentale.

Calvino ritiene pericolosissimo il passaggio, che si evidenzia, da una cultura basata sul contrasto tra «il giudizio individuale e il mondo oggettivo, […] a una cultura in cui quel primo termine è sommerso dal mare dell’oggettività, dal flusso ininterrotto di ciò che esiste».

Si rileva, cioè, un mutamento epocale che, dice Calvino, «non entrava nei nostri piani, nelle nostre profezie, nelle nostre aspirazioni», ma che oramai non possiamo né trascurare né rifiutare, perché ci siamo dentro.

Prenderne atto però non significa “arrenderci”; riconoscerlo non deve equivalere a «lasciarci annegare anche noi nel magma, come coloro che credono di capirlo e contenerlo identificandosi con esso».

Nei primi quarant’anni del secolo l’avanguardia era stata mossa da una spinta che adesso ha radicalmente invertito la direzione della sua influenza. Prima si registrava un rifiuto del mondo oggettivo in virtù di una soggettività dirompente. Il mondo interiore rappresentava la sfera esistenziale unica, all’interno della quale l’io dialogava con se stesso. Espressionismo, Joyce e surrealismo inondavano tutto e le cose annegavano nella soggettività.

«Ora è il contrario: è l’oggettività che annega l’io; il vulcano da cui dilaga la colata di lava non è più l’animo del poeta, è il ribollente cratere dell’alterità nel quale il poeta si getta».

L’atteggiamento dell’intellettuale deve bensì essere improntato all’opposizione. Egli cioè deve mantenere una posizione critica che sia speculare rispetto al contrasto che egli proponeva nei confronti delle tendenze primonovecentesche ordinate a un eccesso di soggettività.

L’uomo di coscienza proponeva agli scrittori e agli artisti di approntare un dovuto confronto con la durezza del mondo anziché abbandonarsi senza controllo agli slanci individualistici e alle prospettive identitarie mosse esclusivamente dalle istanze soggettive.

Tale deve essere ancora oggi l’atteggiamento del critico affinché egli proponga un più opportuno atteggiamento di moderazione a chi mostra una resa incondizionata all’oggettività.

Quest’atteggiamento di opposizione è mosso, nel primo e nel secondo caso, da una medesima necessità di base, che consiste nel bisogno di riaffermare le prospettive per cogliere il perché delle cose e per giungere alla verità.

Bisogna, cioè, indagare il mondo e l’esistenza tutta affinché si individuino le vie lungo le quali poter affermare ancora la legittimità di un intervento attivo da parte dell’uomo nel mondo.

Calvino dimostra, in tal senso, di riconoscere quale sia il vero significato della crisi che egli individua nella realtà contemporanea. All’interno dell’esistenza umana, questa crisi coincide col drammatico decadimento dello “spirito rivoluzionario”, che comporta l’accettazione passiva di tendenze imposte dall’esterno e, di conseguenza, lo svilimento di ogni tensione ideale e di ogni credo convinto a sostenerla.

«La resa all’oggettività [è] un fenomeno storico di questo dopoguerra, [che] nasce in un periodo in cui all’uomo viene meno la fiducia nell’indirizzare il corso delle cose, non perché sia reduce da una brulicante sconfitta, ma al contrario perché vede che le cose (la grande politica dei due contrapposti sistemi di forze, lo sviluppo della tecnica e del dominio delle forze naturali) vanno avanti da sole, fanno parte d’un insieme così complesso che lo sforzo più eroico può essere applicato solo al cercar di avere un’idea di come è fatto, al comprenderlo, all’accettarlo».

La crisi dell’individualità è il trionfo della reificazione e dell’alienazione: i rapporti umani vengono sostituiti dai rapporti tra gli oggetti che finiscono per sommergere l’uomo, la cui personalità si aliena nelle cose che lo circondano.

La negatività che Calvino coglie in siffatta situazione culturale al centro delle tendenze artistiche contemporanee non viene però decretata dallo scrittore come condizione definitiva di sconfitta e di abbandono.

In nome di una tradizione umanistica razionale, Calvino afferma la necessità di non arrendersi, cioè di non annullare le vie di affermazione di una coscienza consapevole e di una prospettiva di azione. Prendere atto e acquisire consapevolezza non devono significare semplicisticamente abbandonarsi e accogliere.

Pur sprofondando all’interno di una realtà uniformante, Calvino rivela che in essa rimane comunque lo spazio per costituire un appiglio da cui ripartire. Si tratta dello sgomento che si prova nell’approcciarsi a un mondo che non ci piace. Questo piccolo sgomento rappresenta il primo passo per acquisire un distacco e per riconquistare una seppur minima libertà d’azione.

È il punto d’avvio per rifondare le coscienze. Gadda ne dà prova nel suo Pasticciaccio. Sprofondarsi nella materia narrata ispira questa sensazione di sgomento che si trasferisce nel lettore il quale se ne giova per «fare un passo in là, riacquistare il distacco storico, dichiarandosi diverso e distinto dalla materia [narrata]».

«In mezzo alle sabbia mobili dell’oggettività potremo trovare quel minimo d’appoggio che basta per lo scatto di una nuova morale, d’una nuova libertà?»

Il 1960 si colloca ancora in una fase iniziale di manifestazione degli estremismi culturali che conseguono all’incontrollabile sviluppo delle tecnologie e della realtà neo-industriale. In quella fase storica Italo Calvino è convinto che nella letteratura ci sia ancora una possibilità di scarto e una speranza di ricostituire un atteggiamento critico, nonché di rifondare le coscienze. Cosa risponderemmo noi che abbiamo già vissuto due decenni di questo terribile Ventunesimo secolo?

2 commenti su “DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Italo Calvino: nel Mare dell’oggettività, un appiglio per rifondare le coscienze”

  1. Complimenti Davide per questo articolo. È molto profondo e contiene ottimi spunti di riflessione.
    “Affermare una coscienza consapevole e una prospettiva d’azione”: incontro tante persone che non sanno perché fanno quel che fanno e non hanno alcuna prospettiva di azione. Vivono alla giornata e restano in superficie. Pensando alla scuola, credo che anche con i più piccoli, sia importante sapersi fermare, rallentare e imparare a riflettere per essere protagonisti del proprio percorso e per sapere dove si sta andando. Nell’ambiente famigliare spesso propongo i temi della Casa della Civiltà, stimolando il confronto su fatti di attualità, nella speranza che i miei figli imparino a riflettere e devo dire che si intrattengono volentieri esprimendo proprie osservazioni.

    1. Complimenti a te, Debora , perché stai agendo nell’ambito della tua quotidianità proprio in quell’ottica di rifondazione che nasce dalla presa di coscienza e dalla riflessione. Mantenere questa disciplina nella vita di tutti I giorni è proprio la chiave giusta per interpretare al meglio in che senso rinascere. “Rallentare e Imparare a riflettere per essere protagonisti”: una vera lezione per affrontare la vita. Grazie!

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