DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Dante antitaliano? La sapienza come fattore identitario dello spirito e la ragione come strumento per ristabilire l’ordine civile e politico”

Le radici del popolo italiano sono culturali e linguistiche. L’Italia nasce come un’istanza intellettuale che unisce la collettività in una tradizione unitaria. Delineare la storia della civiltà italiana espone, tuttavia, al rischio di dimostrare come il carattere di italianità non rappresenti una virtù ma piuttosto un disvalore.

La conformità a ciò che si considera peculiarità italiana induce a identificare un insieme di virtù che la comunità riconosce come propri tratti distintivi. Questa tradizione trova in Dante Alighieri colui il quale da molti è considerato un Padre dell’Italia.

A quei valori che stanno alla base di una tradizione illustre si contrappone un insieme confuso di vizi e di difetti che inducono molti altri a identificare Dante come il più prestigioso degli antitaliani.

È condivisibile la necessità di sconfessare Dante in quanto eroe “nazionale” nella misura in cui quest’idea nasca da un atteggiamento poco scientifico e da un’interpretazione antistorica.

Marco Santagata scredita i sostenitori di un Dante Padre della Patria in quanto, sostiene il critico, «l’Italia non [esiste]. Nel [tempo di Dante], che [è] il Medio Evo, [esistono] tante piccole formazioni politiche che si [fanno] la guerra tra loro. L’idea dello stato nazione è nata secoli dopo, e non [può] rientrare nell’orizzonte dantesco. Dante [ha] in mente l’Impero: un’istituzione sovranazionale che [deve] garantire la pace, la prosperità e la sicurezza di tutti i cristiani» (Cfr. Dante, l’antitaliano – HuffPost Italia (huffingtonpost.it).

L’idea di Patria non è riducibile a quella di “Nazione”. Non sarebbe sostenibile un cortocircuito concettuale come quello che si realizzerebbe se si parlasse di Italia come Stato, adottando una terminologia appartenente alla modernità e non certo al Medioevo.

Nel rispetto di un approccio analitico che consenta la contestualizzazione storica di eventi e prospettive, Giulio Ferroni, recuperando il parere di Giuseppe Prezzolini, parla di Dante come di un antitaliano. Il critico si riferisce all’idea di un’Italia degenere che deve essere riformata e rispetto alla quale ruolo illuminante è proprio quello svolto da Dante Alighieri, fuoriuscito politico e aspro fustigatore di costumi. Secondo Ferroni, lo scrittore fiorentino sarebbe il promotore di “un’Italia diversa”, che contravviene alla mentalità votata al “particulare” familistico tipico di un popolo mediocre e corrotto.

Il proposito del Poeta di farsi giudice severo e critico implacabile del popolo italiano induce a ritenere Dante “il più grande degli antitaliani”. Giuseppe Prezzolini, per esempio, condivide con il grande Trecentista la condizione di esule, avendo egli appositamente scelto di vivere fuori dall’Italia, lontano da casa. Il suo considerare Dante un antitaliano dà la misura della delusione insostenibile che egli prova nei confronti della propria Nazione e dei propri concittadini.

Prezzolini sembra avere lo stesso proposito di Dante: ergersi a contraltare rispetto all’atteggiamento comune degli Italiani. Al pari di Dante, egli punta a farsi eccezione rispetto a un’italianità che, anche in lui, coincide con immoralità e disvalori. Prezzolini riconosce «la forza dominante, la probità e la fede incomparabili», nonché «l’unità di poesia, pensiero ed azione» di Dante Alighieri, che fanno dello scrittore fiorentino un esempio eccellente a cui rivolgersi come modello ispiratore da contrapporre alla massa e al popolo senza cultura.

In realtà, non esiste alcun dubbio sul fatto che Dante provi un sentimento di appartenenza identitario e di orgoglio nei riguardi dell’Italia. È fortemente presente in lui il bisogno di ribadire la centralità della tradizione romana, in quanto nucleo politico, etico e culturale di un Impero da riedificare.

La convergenza di una morale individuale e di un’etica collettiva attraverso il coronamento della spiritualità cristiana, rappresenta la via unitaria per la redenzione della società. In questa sintesi perfetta che vede nell’Italia la misura concreta dell’incontro tra spiritualità e temporalità, Dante dà sostanza al messaggio di salvezza che egli propone, identificando nella conoscenza e nell’intellettualità il primo passo per il raggiungimento della meta di questo percorso, cioè la felicità.

Virgilio e la romanità pagana sono l’allegoria della razionalità che ha guidato e guida l’uomo a una condizione di pace che, sul piano terreno, è necessaria affinché l’uomo possa compiere un ulteriore passo in avanti. La mentalità politica di Dante si intona a un ritorno al passato e rappresenta, al contempo, una via progressiva verso una direzione perenne di miglioramento di sé, comune a tutte le epoche.

Nella sua dimensione politica in quanto insieme di comuni e di regni che tendono a diventare signorie e nella sua configurazione socio-culturale in quanto realtà di popoli, di tradizioni e di valori, nell’epoca di Dante l’Italia sta attraversando un periodo storico apocalittico.

La Commedia, capolavoro dantesco, vuole rappresentare la risposta definitiva alla decadenza storica dell’epoca contemporanea a Dante. Attraverso la stesura della Commedia Dante dà un contributo fondamentale e fuori dal tempo rispetto alla consacrazione dell’Italia in quanto patria comune di tutto il popolo.

L’opera è pienamente ascrivibile al contesto storico del Trecento, eppure l’ampiezza delle prospettive che segnano i propositi alla base della stesura della Commedia la rende irriducibile ai ristretti confini mentali e culturali del secolo.

Le trasformazioni in atto in Italia sul piano strutturale ed economico-politico dimostrano una situazione in fermento. Si evidenzia una crisi economica che indebolisce l’aristocrazia e che rende stantio il sistema tradizionale di produzione della ricchezza.

La decadenza economica apre, al contempo, allo sviluppo di una riorganizzazione del sistema produttivo che favorisce attività di tipo imprenditoriale attraverso l’affermazione di nuovi ceti borghesi.

Il passaggio da una prospettiva familiare a un’altra caratterizzata da scambi economici di ampiezza maggiore, determina un incremento delle attività commerciali che comporta un aumento della sete di denaro e un accrescimento in tutta la società dell’interesse nei confronti della materialità.

Dante individua in questa prospettiva di cambiamento economico un fattore di potenziale accrescimento della situazione di discordia e di anarchia in cui l’Italia si trova già, vessata da guerre intestine e da contrasti fratricidi.

Questa situazione di carattere politico allontana l’obiettivo della pace terrena, che solo ubbidendo all’ordine della ragione e all’equilibrio morale è possibile raggiungere.

La via della sapienza e della conoscenza salva dall’errore dell’ignoranza e fortifica il concetto stesso della vita. La conoscenza è condizione intrinseca a quella dimensione di sviluppo olistico della persona che per elevarsi a Dio ha bisogno che l’altezza dell’anelito spirituale si accordi con la profondità del pensiero e con la pienezza della ragione.

È la mancanza di sapienza nella società italiana del Trecento la condizione che Dante reputa alla base della cecità in cui si trova l’uomo e che determina la dispersione dei legami sociali.

Per rischiarare il percorso di fortificazione della propria identità e delle proprie radici, Dante illustra agli italiani la via della razionalità e della conoscenza come quella da seguire per uscire dal buio in cui la penisola si trova avvolta.

Nel canto VI del Purgatorio Dante formula una lunga invettiva rivolta alle città italiane e agli uomini del suo tempo, che coinvolge anche i due poteri universali, il Papato e l’Impero, che secondo lui reggono le fila di tutta l’esistenza umana. In quei versi il Poeta rappresenta l’Italia in forma personificata come un cavallo non corretto da sproni. Le convinzioni politiche di Dante rappresentano un corrispettivo concreto della morale e dell’ideologia che le sottende.

L’aspra critica mossa dal Poeta nei riguardi dell’Italia è quella di trovarsi in una situazione caratterizzata da aspre contese che smentiscono il sentimento di concordia e di pace sociale che dovrebbe invece vigere tra gli stessi concittadini.

Le lotte interne continue sono dovute alla mancanza di una guida politica che sappia mantenere l’ordine e dominare sugli slanci egoistici al soddisfacimento delle ambizioni di potere (cfr. Purgatorio, Canto VI, vv. 124-126).

Dante presenta il Comune di Firenze come l’esempio più emblematico di questa decadenza morale e civile; e in lui si manifesta ancor più forte il bisogno di chiarire il senso di appartenenza a un’identità condivisa che induce a rafforzare con convinzione la ricerca nel Passato dei valori su cui ricostruire il Presente.

Il lume della ragione, se ci fosse, indurrebbe i cittadini ad acquisire consapevolezza del bisogno di curarsi e di ristabilirsi in quanto popolo e a livello unitario. «Il popol tuo», sostiene sarcasticamente Dante rivolgendo le sue parole direttamente a Firenze, «[non] si argomenta/» (Purgatorio, Canto VI, vv. 128-129).

Cioè i cittadini sono talmente assetati di potere e di ricchezze che non ragionano e non si rendono nemmeno conto di essere stati totalmente avvinti da una forza corruttiva che pare averli trasformati, rendendoli incapaci di usare l’intelletto.

È l’ingovernabilità del sistema di potere la caratteristica che a fine canto Dante decreta come conseguenza principale dell’instabilità e delle tensioni che sconvolgono la città. È tanto poco efficace l’attività governativa svolta dalla reggenza del Comune di Firenze che «[Oh Firenze], tu fai tanto sottili/ provvedimenti, ch’a mezzo novembre/ non giugne quel che tu d’ottobre fili/» (Purgatorio, Canto VI vv. 142-143).

La breve durata nel tempo delle decisioni sotto forma di leggi e di provvedimenti economici provoca cambiamenti repentini che Dante non può che giudicare negativamente: «Quante volte, del tempo che rimembre,/ legge, moneta, officio e costume/ hai tu mutato, e rinovate membre!/».

Firenze appare infine come una persona ammalata, la quale è costretta a non trovare mai riposo né pausa, condannata ad agitarsi continuamente nell’inutile tentativo di cercare conforto al proprio dolore. Nella straordinaria efficacia comunicativa dell’immagine finale con cui si chiude il canto, si sottolinea ancor più la validità attuale della denuncia dantesca.

La scarsa durata dei governi che anche oggi si avvicendano al potere in Italia è il segno evidente di un bisogno di riformare in maniera radicale la struttura governativa del Paese, a partire dalla necessità di ristabilire un’integrità morale negli uomini, capace di rendere l’impegno politico una sincera missione e non una corsa al guadagno di denaro più sfrenato.

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