Testo videoconferenza “Dopo le elezioni europee: cosa cambia per noi?” (Lunedì 10 giugno 2024)

di Magdi Cristiano Allam

Cari amici buonasera. La domanda che ci poniamo è: cosa cambia per noi dopo le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo che si sono svolte sabato 8 giugno e domenica 10 giugno 2024?

Questi sono i dati diffusi dal sito del Ministero dell’Interno.
Si è votato per:
i 76 membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia;
il consiglio e il presidente della giunta regionale del Piemonte;
il turno annuale di elezioni amministrative, che hanno riguardano complessivamente 3.698 comuni di cui 3520 delle regioni a statuto ordinario, 114 del Friuli Venezia Giulia, 27 della Sardegna e 37 della Sicilia.

L’affluenza ai seggi è stata del:
– 49,69% per le europee sul territorio nazionale;
– 62,62% per le amministrative.

Il dato per noi più significativo è la conferma del calo dei votanti.
Alle precedenti elezioni europee nel 2004 la partecipazione al voto è stata del 45,47%; nel 2009 del 42,97%; nel 2014 è stata del 42,61%; nel 2019 era salita al 50,66%; nel 2024 è calata a 49,69%.

L’astensionismo è stato una costante delle elezioni europee, che attesta lo scarso interesse dei cittadini degli Stati membri per questa struttura sovranazionale.
Lo si rileva anche dal confronto tra il 62,62% di votanti alle elezioni amministrative e il 49,69 di votanti alle europee, ovvero con un calo del 12,93%.

Per quanto concerne l’affluenza alle europee, si registrano delle differenze significative tra le 5 circoscrizioni elettorali:
Nel Nord-ovest ha votato il 55,09%
Nel Nord-est ha votato il 53,96%
Al Centro ha votato il 52,52%
Al Sud ha votato il 43,72%
Nelle Isole ha votato il 37,77%

In rapporto ai votanti, che sono il 49,69% degli aventi diritto, questi sono i consensi ottenuti dai partiti che, avendo superato la soglia del 4%, avranno dei propri rappresentanti nel Parlamento Europeo:
Fratelli d’Italia 28,81%
Partito Democratico 24,08%
Movimento 5 Stelle 9,99%
Forza Italia – Noi moderati 9,61%
Lega Salvini Premier 9%
Alleanza Verdi e Sinistra 6,73%

Quanto ai Gruppi politici in seno al Parlamento Europeo, questi sono i risultati pressoché definitivi:
Partito Popolare Europeo 186 seggi (+10)
Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici 135 seggi (-4)
Renew Europe (Liberali) 79 seggi (-23)
Conservatori e Riformisti Europei 73 seggi (+4)
Identità e Democrazia 58 seggi (+9)
I Verdi – Alleanza Libera Europea 53 seggi (-18)
Non iscritti 45 seggi (-17)
Sinistra al Parlamento Europeo 36 seggi (-1)
Altri 55 seggi

Il risultato delle elezioni europee conferma che anche la nuova legislatura sarà all’insegna del consociativismo e della perpetuazione di un sistema di potere che si fonda sulla spartizione delle cariche e delle risorse, a condizione che non si intacchino le vere leve del potere, che sono innanzitutto l’egemonia della grande finanza virtuale speculativa globalizzata.
Il Parlamento Europeo continuerà a reggersi sulla coalizione popolari-socialisti-liberali, praticamente tra il primo Gruppo politico del Partito Popolare Europeo; il secondo Gruppo politico dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici; il terzo Gruppo politico dei liberali di Renew Europe.
Le elezioni hanno registrato la prevista crescita dei partiti politici favorevoli a una maggioranza autonomia o sovranità degli Stati nazionali, il Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei, che è attualmente presieduto da Giorgia Meloni; e il Gruppo Identità e Democrazia, a cui aderisce la Lega di Matteo Salvini.
Ma la realtà evidenzia che questi due Gruppi, indicati come euroscettici o sovranisti, non potrebbero assurgere a maggioranza politica, anche nell’eventualità di un’alleanza con il Partito Popolare Europeo.

Dopo la scelta del Presidente del Parlamento, l’atto più significativo sarà l’elezione del Presidente della Commissione Europea, ovvero del Capo del Governo dell’Unione Europea, che richiede una maggioranza che superi la soglia del 50% più uno, pari a 361 deputati sui 720.
Al momento si prospetta la riconferma di Ursula von der Leyen per un secondo mandato. È cittadina tedesca e aderisce al Gruppo del Partito Popolare Europeo, che tradizionalmente detiene la maggioranza relativa.
Ma sussiste anche l’alternativa di Mario Draghi, già Presidente della Banca Centrale Europea per due mandati ed ex Presidente del Consiglio italiano, che ha fallito nella nomina a Presidente della Repubblica alla fine del primo mandato di Sergio Mattarella nel 2021.

Prendiamo atto che il risultato delle elezioni europee non porta bene ai leader politici italiani che in quel momento sono al vertice del gradimento popolare.
Matteo Renzi fu eletto Presidente del Consiglio il 22 febbraio 2014. Il Pd aveva vinto le elezioni politiche del 2013 con il 29,55% dei consensi ed era il primo partito sia alla Camera con 344 seggi sia al Senato con 123 seggi.
Alle Elezioni Europee del 25 maggio 2014 Renzi ottenne con il Pd il 40,8% dei consensi, un risultato eccezionale, finora ineguagliato nella Storia della Repubblica Italiana. Probabilmente Renzi si lasciò prendere dall’euforia, immaginò di poter diventare lui il “salvatore della Patria”, e ipotecò il proprio futuro politico con l’esito di un Referendum sulla riforma della Costituzione che si svolse il 4 dicembre 2016, perso da Renzi con 40,88% di voti favorevoli e 59,12% di voti contrari. Pur non essendo obbligato a dimettersi, Renzi rassegnò volontariamente le dimissioni da Capo del Governo il 7 dicembre 2016, rispettando seppur parzialmente l’impegno preso perché ha continuato a fare politica dopo aver promesso che si sarebbe ritirato dalla politica.

Matteo Salvini, alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 prese come Lega il 17,35% dei consensi, partecipando alle elezioni in coalizione con il Centrodestra. Poi il Governo l’ha però fatto con il M5S, che prese il 32,68% dei consensi, pur essendo un soggetto politico antagonista soprattutto del Centrodestra ma anche del Centrosinistra, sostenendo che solo così c’erano i numeri per governare.
È così che dal primo giugno 2018 Salvini è diventato Vice-Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’Interno. Sfruttando magistralmente la visibilità mediatica concessagli, Salvini ha ottenuto uno straordinario risultato alle Elezioni Europee del 26 maggio 2019 diventando il primo partito italiano in seno al Parlamento Europeo con il 34,26% dei consensi.
A quel punto Salvini ha sovrapposto il fatto che è il primo partito italiano nel Parlamento Europeo con la realtà italiana, dimenticando però che nel Parlamento italiano la Lega era un partito di minoranza. Immaginare che sulla base dei sondaggi favorevoli alla Lega e del voto alle Europee si potesse andare subito a nuove elezioni, è stato un grave errore. Siamo in una Repubblica parlamentare e la prerogativa di sciogliere il Parlamento è esclusivamente del Presidente della Repubblica. Che, prima di farlo, ha l’obbligo costituzionale di verificare se ci siano altre maggioranze in Parlamento. Ed effettivamente c’era un’alternativa. Mattarella non sciolse il Parlamento e si formò un Governo tra il M5S e il PD.
Successivamente, sempre con lo stesso Parlamento, Mattarella promosse un “Governo di unione nazionale”, guidato da Mario Draghi, a cui parteciparono la Lega, il M5S, il PD e Forza Italia. A beneficiarne fu Fratelli d’Italia, che scelse di non aderire pur identificandosi come “opposizione costruttiva”.

Val la pena sottolineare come sempre Mattarella incarni più di altri, per l’alto incarico che ricopre, la strategia di rinuncia totale della nostra sovranità e di totale assimilazione nell’Unione Europea. Il 2 giugno, commemorando il Referendum che diede vita alla Repubblica nel 1946, Mattarella ha detto: «È dovere civico e preziosa opportunità per riflettere insieme sulle ragioni che animano la vita della nostra collettività, inserita oggi nella più ampia comunità dell’Unione Europea cui abbiamo deciso di dar vita con gli altri popoli liberi del continente e di cui consacreremo, tra pochi giorni, con l’elezione del Parlamento Europeo, la sovranità».

A differenza dell’Italia, la Francia è una Repubblica semi-presidenziale. Il Capo dello Stato viene eletto direttamente dal popolo ed è lui che nomina il primo ministro a capo del governo.
Il Presidente Macron, a poche ore dalle proiezioni che davano il suo partito al 14,60% dei consensi contro il 31,37% del Rassemblement National di Marine Le Pen, ha affermato di non poter agire come se nulla fosse accaduto e ha annunciato la convocazione delle elezioni per il prossimo 30 giugno. Ha affermato di aver deciso di «restituire loro la scelta del futuro parlamentare attraverso il voto». Questo scioglimento è una «decisione seria, pesante», ma «è soprattutto un atto di fiducia».
La prospettiva, in caso della vittoria del Rassemblement National alle elezioni legislative, è una convivenza con l’opposizione fino a ieri condannata come «estrema destra», e che ora lui stesso ha sdoganato.
«Siamo pronti a esercitare il potere se i francesi avranno fiducia in noi», ha detto Marine Le Pen, tre volte candidata all’Eliseo. Il suo delfino, Jordan Bardella, a soli 28 anni, è il candidato per assumere la carica di Capo del Governo.

Nulla accade per caso. In Italia è stato Mario Draghi, l’uomo della grande finanza al pari di Macron in Francia, a sdoganare Giorgia Meloni e farle da garante presso i circoli finanziari e politici che contano a livello globale.
Perché? La risposta è nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa: «tutto cambia perché nulla cambi». Chi veramente controlla il “gioco della democrazia” ha la necessità di cambiare i volti, dopo essersi assicurato la loro fedeltà e la promessa di non intaccare le leve del potere che interessano, in primis la finanza virtuale speculativa.

Magdi Cristiano Allam

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