Il 24 giugno 2022 la Corte Suprema degli Stati Uniti, con 6 voti a favore e 3 contrari, ha emesso una sentenza che afferma: «La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto». Poi aggiunge: «L’aborto presenta una profonda questione morale. La Costituzione non proibisce ai cittadini di ciascuno Stato di regolare o proibire l’aborto».
Quindi la Corte Suprema non ha abolito un diritto all’aborto, né avrebbe potuto farlo semplicemente perché non sussite, ma si è limitata correttamente a far presente che la Costituzione degli Stati Uniti non sancisce il diritto all’aborto.
Tuttavia, subito dopo aver preso atto che non esiste un diritto costituzionale all’aborto, la Corte Suprema ha aggiunto che la Costituzione non proibisce a ciascuno dei 50 Stati federali di regolare o proibire l’aborto. Quindi la Corte Suprema non ha in alcun modo modificato l’attuale realtà che già consente a ciascuno dei 50 Stati federali americani di decidere autonomamente su una «profonda questione morale».
L’iniziativa della Corte Suprema in definitiva fa chiarezza sulla realtà della Costituzione in riferimento all’esercizio della pratica dell’aborto. Un intervento chiarificatore che evidentemente era necessario e che non è stato comunque recepito correttamente, se persino il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden il 24 giugno ha esclamato: «La Corte Suprema ha portato via un diritto costituzionale». Oltre a aver violato l’autonomia del potere giudiziario, colui che incarna il potere esecutivo nella “maggiore democrazia al Mondo” ha dimostrato una palese ignoranza costituzionale.
Ugualmente a livello mondiale, operando una indebita interferenza negli affari interni degli Stati Uniti, il Presidente francese Emmanuel Macron ha detto: «L’aborto è un diritto fondamentale per tutte le donne». Il Parlamento Europeo ha invece emesso una risoluzione in cui chiede al Consiglio Europeo di includere nell’articolo 7 della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”l’affermazione di un nuovo diritto all’aborto, aggiungendo il seguente testo: «Ogni persona ha diritto all’aborto sicuro e legale». Da rilevare l’indicazione del soggetto «persona», genere sessuale indistinto, anziché «donna», genere sessuale femminile.
A questo punto affrontiamo la questione di fondo: può esserci un «diritto all’aborto»?
Affermiamo innanzitutto che non esiste un «diritto all’aborto» nelle Costituzioni degli Stati che riconoscono i diritti fondamentali della persona. L’avvocato matrimonialista Annamaria Bernardini de Pace, pur essendo stata una delle artefici insieme al Partito Radicale della Legge n. 194/1978 che ha consentito la pratica dell’aborto in condizioni specifiche, pur definendosi personalmente antiabortista «perché considero irrinunciabile il valore costituzionale per chiunque della libertà di scegliere», ha difeso la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti e ha chiarito che anche in Italia non esiste un «diritto all’aborto».
In un intervento sul quotidiano “La Stampa” del 4 luglio 2022, scrive: «Neppure la legge italiana, tanto sbandierata come espressione del “diritto” all’aborto, cita mai, direttamente o indirettamente, questo presunto diritto. Anzi, si riferisce solo ed esclusivamente, all’art. 5, ai “diritti di madre e lavoratrice”. L’articolo 1, invece, che introduce la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, scrive chiaramente che “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”. E, continua: “l’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite”. Per, poi, affermare un principio sacrosanto, secondo il quale “lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”. Chi mai può interpretare queste parole come diritto all’aborto? È stato solo legalizzato ciò che prima era reato. Ma sempre di scelta si tratta, di fare o di non fare, non di diritto. Dunque, la contrapposizione di guerra che si è creata in questi giorni, come 50 anni fa, vede, da una parte, il diritto alla vita – che esiste – e, dall’altra, il presunto diritto all’aborto – che non esiste; esiste, infatti, soltanto, ma non è poco, l’aiuto da parte dello Stato per risolvere il problema, che può essere anche gravissimo e doloroso, di non voler proseguire una gravidanza in qualsiasi modo indesiderata. Non è corretto che i femministi proclamino a gran voce il diritto all’aborto e deprimano, con la stessa gran voce, coloro che sostengono il diritto alla vita».
Il supposto «diritto all’aborto» si fonda sulla tesi di un supposto «diritto all’autodeterminazione» della madre in quanto donna, sulla cui base si enuncia il principio «l’utero è mio e me lo gestisco io», attribuendo acriticamente e incondizionatamente il diritto della madre di uccidere il proprio figlio che cresce nel proprio utero, operando una indebita sovrapposizione e un immorale appiattimento tra la realtà di un figlio vivo e l’utero al cui interno cresce, pervenendo alla criminale conclusione che una madre ha il diritto di uccidere il proprio figlio per il fatto che cresce nel proprio utero. La verità è che l’utero è un organo del corpo della donna adibito alla crescita del proprio figlio, ma che il proprio figlio ha una sua autonoma vita pur crescendo grazie alla madre.
Sul piano giuridico sono tre i soggetti depositari di diritti. La madre, che accoglie l’ovulo fecondato e consente la crescita del proprio figlio in seno al proprio utero. Il padre, che opera la fecondazione dell’ovulo con il proprio spermatozoo e consente che acquisisca una vita autonoma. Il figlio, che sin dal concepimento è una creatura umana viva che nell’arco di nove mesi completa la propria formazione ospitato nell’utero materno.
Ecco perché è illogico sul piano scientifico, immorale sul piano umano, arbitrario sul piano giuridico sostenere un presunto «diritto all’aborto» della madre, che si sostanzia del diritto della madre di uccidere il proprio figlio che cresce nel proprio utero.
L’apice della civiltà è riconoscere il diritto alla vita di una creatura umana indifesa, non il diritto della madre di uccidere il figlio che cresce nel proprio grembo. L’apice della civiltà è riconoscere il diritto alla vita, alla dignità e alla libertà del figlio sin dal suo concepimento perché è una creatura umana che ha la propria individualità, un proprio corpo, una propria mente e una propria anima. Una società civile si fa carico di una creatura umana indifesa, anche se nasce in un contesto avverso che porta la madre a non volerlo o a non poterlo accudire, proprio perché è un soggetto depositario di valori umani inalienabili e di diritti giuridici inviolabili.
Cari amici, la Casa della Civiltà concepisce il diritto alla vita del nascituro come l’apice della civiltà, si impegna ad iscriverlo in una nuova Costituzione e ad affermarlo in ogni sede culturale, sociale e politica. Solo quando riconosceremo il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale, potremo essere una società civile che promuove la vita e persegue il bene autentico dell’insieme dell’umanità.
Andiamo avanti a testa alta e con la schiena dritta, forti di verità e con il coraggio della libertà. Con l’aiuto del Signore insieme ce la faremo.
Magdi Cristiano Allam
Fondatore e Presidente della Comunità Casa della Civiltà
Martedì 12 luglio 2022
Essere donna comporta grandi responsabilità perché siamo custodi di una vita che può crescere dentro di noi. Questa è una cosa bellissima, ma come tutte le cose veramente importanti porta con se grandi responsabilità.
Le donne devono ridiventare consapevoli di questo, abbiamo un grande dono e dobbiamo coltivarlo. Una nuova vita non può mai essere un qualcosa di negativo perché è la vita stessa che reclama che ciò accada.
Le donne si devono riappropriare della propria femminilità e la società deve proteggerle e custodirle come si fa con i diamanti più preziosi.
E’aberrante parlare e sostenere il “diritto all’aborto” e metterlo sullo stesso piano del ” diritto alla vita”. La vita è un dono divino e chi la interrompe compie un peccato mortale, peccato riconosciuto non solo dal credente ma anche da chi in un qualsivoglia tribunale in ogni recondito Stato del mondo condanna l’assassino. Definire un diritto togliere la vita non rientra nell’ordine umano delle cose, non fa parte dell’etica umana, è al di fuori delle più basilari norme deontologiche, fa parte di un modus operandi di chi non riconosce di avere un’anima e quindi una coscienza. E’ un CRIMINE.
Disamina lucida e condotta a rigor di logica. Il “diritto” non può riconosciuto dove, in sostanza, non può esistere. Aggiungo che è deplorevole il polverone popolare di giudizi e di reazioni di disappunto che si è mosso a seguito della quella sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti. Siamo davvero un mondo ribaltato
Grazie Magdi per questo aggiornamento, molto importante sapere queste cose.